AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 21 dicembre 2018, n. 126
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n.212 – Errata compilazione della dichiarazione d’intento – Sanzione
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
Quesito
La [ALFA] (di seguito anche “società istante”), nell’esporre il quesito qui di seguito sinteticamente riportato, fa presente di:
– essersi qualificata, per il periodo d’imposta 2017, quale esportatore abituale agli effetti dell’IVA;
– aver compilato, con riferimento alle dichiarazioni d’intento inviate a partire dal 1° marzo 2017, il campo “operazioni fino a concorrenza di euro” al fine di assegnare, a ciascun fornitore, uno specifico tetto massimo di fatturazione non imponibile ai fini IVA;
– aver successivamente inviato, ad alcuni fornitori, una o più dichiarazioni d’intento per incrementare l’ammontare del plafond originariamente dichiarato, barrando, per mero errore, la casella “Integrativa” e riportando il numero di protocollo di invio della dichiarazione d’intento in precedenza trasmessa.
Avendo verificato, anche sulla base delle istruzioni allegate al modello di dichiarazione d’intento e dei chiarimenti forniti con la risoluzione n. 120/E del 22 dicembre 2016, che con tali successivi invii il plafond originariamente dichiarato è stato annullato e sostituito (anziché integrato), la società istante chiede di conoscere il regime sanzionatorio applicabile alla violazione commessa e se la stessa possa essere regolarizzata, anche avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, la [ALFA] ritiene che all’errata compilazione della sezione “Integrativa” della dichiarazione d’intento sia applicabile la sanzione di cui all’articolo 11, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, ravvedibile ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. E ciò perché l’errore commesso non risulta integrare i presupposti di alcuna delle violazioni relative alle esportazioni, come sanzionate dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 471 del 1997. Del resto, la medesima società evidenzia come la stessa:
– possegga i requisiti, soggettivi ed oggettivi, per potersi avvalere dello status di esportatore abituale. In particolare, ha realizzato, nell’anno d’imposta 2016, un volume d’affari rappresentato per almeno il 10 per cento da esportazioni e/o cessioni intra-comunitarie e non ha superato, nell’anno d’imposta 2017, il plafond disponibile;
– abbia correttamente adempiuto agli obblighi dettati per la trasmissione telematica delle dichiarazioni d’intento, inviandole ai propri fornitori in data antecedente l’effettuazione delle operazioni.
In alternativa, qualora la soluzione prospettata non fosse ritenuta corretta, la società istante ritiene che la violazione commessa possa essere regolarizzata anche mediante:
– l’emissione di un’autofattura, per l’importo relativo all’operazione effettuata sulla base di dichiarazione d’intento erroneamente compilata, con indicazione della data della dichiarazione d’intento originariamente trasmessa;
– l’annotazione di tale autofattura sia nel registro delle fatture emesse sia in quello delle fatture ricevute.
Parere dell’agenzia delle entrate
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 0213221 del 2 dicembre 2016 ha modificato il modello per la dichiarazione d’intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’IVA. Detto modello – che sostituisce quello approvato con il provvedimento prot. n. 159674 del 12 dicembre 2014 e modificato con provvedimento prot. n. 19388 dell’11 febbraio 2015 – è utilizzabile a partire dal 1° marzo 2017. Rispetto al precedente, l’attuale modello non prevede più la possibilità di riferire la dichiarazione d’intento ad un determinato periodo, da specificare nei campi “3” e “4” della sezione “Dichiarazione”, che di conseguenza sono stati eliminati. Pertanto, allo stato attuale, l’esportatore abituale può compilare esclusivamente i campi:
– “1”, se la dichiarazione d’intento si riferisce ad una sola operazione, specificando il relativo importo;
– “2”, se la dichiarazione d’intento si riferisce ad una o più operazioni fino a concorrenza dell’importo ivi indicato. In quest’ultima ipotesi, è stato chiarito che il dichiarante deve inserire l’ammontare fino a concorrenza del quale intende utilizzare la facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza IVA nei confronti dell’operatore economico al quale è presentata la dichiarazione (cfr. risoluzione n. 120/E del 2016). Ciò significa che nel campo “2” di ciascuna dichiarazione d’intento trasmessa all’Agenzia delle entrate l’esportatore abituale deve indicare esclusivamente la quota parte di plafond che intende “spendere” presso uno specifico fornitore.
Qualora l’esportatore abituale intenda modificare l’ammontare di plafond già dichiarato al fornitore, lo stesso deve presentare prima dell’effettuazione della singola o della prima operazione (a seconda che abbia, rispettivamente, compilato il capo “1” o il campo “2”), una nuova dichiarazione d’intento, barrando la casella “Integrativa” ed indicando il numero di protocollo della dichiarazione che intende rettificare. Gli estremi della dichiarazione d’intento integrativa – che sostituisce interamente la precedente – devono essere richiamati nella fattura emessa all’atto dell’effettuazione dell’operazione.
Qualora, invece, sia stato compilato il solo campo “2” ed il plafond sia già stato parzialmente utilizzato, per implementare l’ammontare di plafond in precedenza dichiarato è necessario che l’esportatore abituale presenti, prima dell’effettuazione dell’eventuale operazione non interamente coperta dalla dichiarazione d’intento già presentata, una nuova dichiarazione, senza barrare la casella “Integrativa” ed indicando l’importo ulteriore fino a concorrenza del quale intende avvalersi della facoltà di effettuare acquisti senza IVA. La fattura relativa a detta operazione deve, in tal caso, richiamare gli estremi di entrambe le dichiarazioni d’intento (ovvero, sia la dichiarazione nella quale è indicato il plafond insufficiente a coprire l’imponibile dell’operazione che si vuole porre in essere sia quella che “integra” il medesimo plafond).
Sulla base di quanto sopra rappresentato risulta chiaro come la società istante, al fine di incrementare l’ammontare del plafond originariamente comunicato ad alcuni fornitori, avrebbe dovuto inviare una o più dichiarazioni d’intento senza compilare il campo “Integrativa”. L’effetto prodotto dall’errata compilazione del modello è stato quello di annullare le dichiarazioni d’intento originariamente presentate e, di conseguenza, l’importo del plafond nelle stesse indicato e già utilizzato per effettuare acquisti non imponibili ai fini IVA. Tuttavia, la scrivente ritiene che, in tale ipotesi, non possa configurarsi in capo al fornitore né la violazione sanzionata dall’articolo 7, comma 3, del decreto legislativo n. 471 del 1997 (effettuazione di operazioni senza addebito d’imposta in mancanza di dichiarazione d’intento) né quella sanzionata al successivo comma 4 della medesima disposizione (effettuazione di operazioni senza addebito d’imposta oltre il limite del plafond disponibile) qualora:
– le dichiarazioni d’intento siano state rilasciate in presenza dei presupposti richiesti dalla legge;
– il fornitore, prima di emettere fatture senza addebito d’imposta, abbia verificato, in relazione ad ogni singola dichiarazione d’intento, l’inoltro delle stesse all’Agenzia delle entrate nonché i dati, anche relativi al plafond, nelle medesime contenute;
– il plafond sia stato utilizzato nei limiti normativamente consentiti.
Si è, infatti, dell’avviso che, al ricorrere dei suddetti presupposti, l’irregolare compilazione della dichiarazione d’intento integri una violazione di carattere formale sanzionata dalla disposizione, di carattere generale, di cui all’articolo 11, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 471 del 1997. Peraltro, poiché il sistema di acquisizione telematica delle dichiarazioni d’intento non consente di apportare modifiche ai singoli campi di una dichiarazione già presentata, si ritiene che la società istante possa sanare ciascuna violazione commessa con il solo versamento della sanzione di 250 euro, con la riduzione prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997, quando ne ricorrano le condizioni.
Per completezza si fa presente che l’articolo 9 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, disciplina la definizione agevolata delle “Irregolarità formali”.
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