AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 32 del 13 gennaio 2023
Esportazioni indirette – Recupero dell’IVA versata a seguito di regolarizzazione della fattura – Articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], nel prosieguo istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante operando nell’ambito della realizzazione di prodotti […], nonché nella ricerca di soluzioni tecnologicamente avanzate in termini di innovazione di prodotto e di processo effettua cessioni all’esportazione frequentemente nell’ultimo periodo di ogni anno.
Trattasi di operazioni non imponibili ai fini IVA ex articolo 8, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA), poiché le vendite in parola hanno ad oggetto beni con partenza dall’Italia e trasporto fuori del territorio dell’Unione europea, entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente.
Al riguardo, l’istante riferisce di incontrare sistematicamente notevoli difficoltà nel recuperare, nei predetti novanta giorni, la prova della avvenuta ”tempestiva” esportazione.
In dette circostanze (non imputabili a sua imperizia o negligenza), nei successivi trenta giorni, decorrenti dal termine predetto, ritiene opportuno procedere alla regolarizzazione delle fatture che recano titolo di non imponibilità IVA, emettendo apposite note di debito di sola imposta come prescritto dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 senza però mai recuperare in capo al cessionario l’IVA versata. Secondo l’istante, infatti, «tale procedura non deriva mai da una mancata esportazione bensì da un mero ritardo nell’ottenimento dell’informazione; successivamente, ricevuta la prova dell’avvenuta esportazione, al fine di recuperare l’IVA versata con la nota di debito di cui sopra, la Società procede all’emissione di un’apposita nota di credito ed alla sua registrazione nella contabilità IVA». Tale comportamento è in linea con le istruzioni fornite con la risoluzione 10 novembre 2014, n. 98/E, che prevede l’obbligo di ottemperare all’adempimento in oggetto «entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione».
In proposito, l’istante segnala che in ragione dell’intervenuta modifica normativa dovuta al decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, nonché dei successivi chiarimenti forniti con le circolari 17 gennaio 2018, n. 1/E e 29 dicembre 2021, n. 20/E è stato ridotto il termine di emissione delle note di variazione in diminuzione, sicché l’adempimento disciplinato dalla predetta risoluzione n. 98/E del 2014 andrebbe eseguito entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui l’esportazione ha avuto luogo.
Ciò premesso, l’istante, che, come anticipato, realizza le cessioni all’esportazione oggetto di interpello a fine anno, rappresenta la sostanziale impossibilità di ottemperare ”tempestivamente” all’emissione delle note di credito, in quanto, nell’ipotesi di:
– «consegna della merce e fattura emessa in data 30 dicembre 2021;
– decorso dei 90 giorni previsti dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 471/1997 in data 30 marzo 2022;
– procedura di regolarizzazione operabile da 91esimo al 120esimo giorno successivo, ovvero fino al 29 aprile 2022;
– emissione della nota di credito entro il termine della presentazione della dichiarazione IVA, ordinariamente entro il 30 aprile dell’anno successivo (i.e., il 30 aprile 2022).
Ebbene, in detta fattispecie è di tutta evidenza che, […] il contribuente avrebbe un solo giorno per:
i) risollecitare e ricevere la prova dell’avvenuta esportazione e
ii) procedere all’emissione della nota di credito. […]».
Ciò detto, l’istante, nell’ipotesi prospettata, chiede di chiarire:
«a) il momento in cui sorge il diritto di detrazione per il contribuente; e
b) se, a tal fine, è necessario procedere all’emissione di una nota di variazione in diminuzione» nei confronti del cessionario.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, a parere dell’istante:
«Con riferimento al primo punto […] si potrebbe concludere che il momento in cui sorge il diritto di detrazione per il contribuente si realizza allorquando sussistono entrambi i seguenti requisiti:
1) il requisito sostanziale, ovvero l’avvenuta esportazione della merce;
2) il requisito formale, ovvero l’avvenuta ricezione di un documento da parte del contribuente dal quale egli possa evincere o verificare l’avvenuta esportazione.
Ciò, peraltro, sarebbe coerente con quanto espresso dall’amministrazione finanziaria in relazione alle fatture d’acquisto con la più volte citata Circolare n. 1 del 2018 dove è stata evidenziata la necessità di effettiva ricezione del documento fiscale da parte del contribuente.
[…]
Con riguardo al secondo punto, ovvero alla necessità di emissione o meno della nota di credito per il recupero dell’IVA versata per effetto della regolarizzazione e non rivalsata al cliente, sulla scorta dei chiarimenti forniti dall’amministrazione finanziaria, sembra potersi concludere che una tale necessità non sussista nel caso di specie.
In mancanza, infatti, della necessità per il cliente estero (i.e. extraunionale e senza posizione IVA in Italia) di registrare la nota di credito per procedere al ”riversamento” dell’IVA) […], potrebbe trovare applicazione la semplificazione prevista dall’art. 26, comma 8 del Decreto IVA il quale prevede la diretta annotazione in rettifica sui registi IVA.
[…]
Da quanto sopra emergerebbe dunque che la risposta positiva al primo punto permetterebbe ai contribuenti di adottare la procedura di regolarizzazione senza rischiare che un ritardo nell’ottenimento dell’informazione possa incidere sulla detrazione dell’IVA, che altrimenti risulterebbe compromessa nei termini sopra descritti.
Così, ad esempio, riprendendo il caso sopra analizzato, anche laddove l’esportazione dei beni risultasse effettuata il 30 dicembre 2021 ma il contribuente ottenesse dal suo cliente la dichiarazione di esportazione con MRN verificabile ovvero la bolla di importazione il 30 giugno 2022, egli potrebbe procedere all’emissione della nota di credito come segue:
– il dies a quo per operare la variazione in diminuzione coinciderebbe con il 30 giugno 2022;
– il dies ad quem per operare la variazione in diminuzione coinciderebbe con il 30 aprile 2023;
e, pertanto,
– nell’ipotesi di emissione della nota di credito tra il 30 giugno e il 31 dicembre 2022, il termine per operare la detrazione coinciderebbe con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità 2022 ovvero il 30 aprile 2023;
– nell’ipotesi di emissione della nota di credito tra il 1° gennaio 2023 e il 30 aprile 2023, il termine per operare la detrazione coinciderebbe con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità 2023 ovvero il 30 aprile 2024.
La risposta positiva la secondo punto, invece, permetterebbe da una parte una notevole semplificazione amministrativa e, d’altro canto, legittimerebbe il contribuente al recupero dell’IVA senza vincolarlo all’emissione della nota di credito entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.
Riprendendo l’esempio sopra riportato, dunque, in assenza di emissione della nota di variazione in diminuzione, il contribuente potrebbe procedere al recupero dell’IVA come segue:
– nell’ipotesi di annotazione dell’IVA a credito tra il 30 giugno e il 31 dicembre 2022, il termine per operare la detrazione coinciderebbe con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità 2022 ovvero il 30 aprile 2023;
– nell’ipotesi annotazione dell’IVA a credito tra il 1° gennaio 2023 e il 30 aprile 2023, il termine per operare la detrazione coinciderebbe con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità 2023 ovvero il 30 aprile 2024.
In alternativa alla soluzione dianzi indicata, laddove l’Agenzia delle Entrate volesse propendere per ricollegare comunque la detrazione al momento in cui è effettivamente avvenuta l’esportazione, si ritiene che il contribuente possa legittimamente procedere al recupero dell’imposta illo tempore versata mediante presentazione di dichiarazione integrativa a favore ai sensi dell’articolo 8 comma 6bis, del d.P.R. n. 322 del 1998.».
Parere dell’Agenzia delle Entrate
In via preliminare, con riferimento alla fattispecie oggetto di interpello, si evidenzia che la presente risposta esula da ogni esame della documentazione prodotta a riprova dell’avvenuta esportazione sulla cui correttezza la scrivente non si pronuncia, perché trattasi di aspetti meramente fattuali, non oggetto di quesito, la cui valutazione, in ogni caso, esula dal procedimento di interpello, restando integro al riguardo il potere di controllo da parte degli organi competenti.
L’articolo 8, comma 1, del decreto IVA stabilisce che «Costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili:
[…]
b) le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica europea entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto, ad eccezione dei beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato e dei beni da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio della Comunità economica europea; l’esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall’Ufficio doganale o dall’Ufficio postale su un esemplare della fattura» (cd. ”esportazioni indirette”).
Con riferimento alle predette operazioni l’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997 precisa che «Chi effettua cessioni di beni senza addebito d’imposta, ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettere b) e bbis), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alle cessioni all’esportazione, è punito con la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento del tributo, qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell’Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto. La sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell’imposta».
Quanto alle esportazioni ”indirette”, la Corte di Giustizia della UE con sentenza emessa in data 19 dicembre 2013 nel procedimento C-563/12 ha chiarito che «ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112, gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente, o per conto del medesimo, fuori dall’Unione. Tale disposizione deve essere letta in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva, ai sensi del quale si considera «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.
Da tali disposizioni e, segnatamente, dal termine «spediti», contenuto nell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), deriva che l’esportazione di un bene si perfeziona e l’esenzione della cessione all’esportazione diviene applicabile quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato al di fuori dell’Unione e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio dell’Unione».
Ciò premesso, il Giudice Unionale ha precisato, altresì, che «l’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva non prevede una condizione in base alla quale il bene destinato all’esportazione deve aver lasciato il territorio dell’Unione entro un termine preciso, affinché l’esenzione prevista da tale articolo divenga applicabile. […]
Ne deriva che la qualificazione di un’operazione quale cessione all’esportazione ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva non può dipendere dal rispetto di un termine preciso entro il quale il bene in parola deve aver lasciato il territorio doganale dell’Unione, la cui inosservanza avrebbe come conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione all’esportazione.
Tuttavia, come deriva dall’articolo 131 della direttiva 2006/112, le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 del titolo IX di tale direttiva, di cui fa parte l’articolo 146 della stessa, si applicano alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso. […]
A tale riguardo occorre rilevare che una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che assoggetta l’esenzione all’esportazione a un termine di uscita, con l’obiettivo, in particolare, di lottare contro l’elusione e l’evasione fiscale, senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento di detto obiettivo.
Infatti, in una fattispecie in cui le condizioni previste dall’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112, segnatamente l’uscita dei beni in questione dal territorio doganale dell’Unione, sono soddisfatte, nessuna IVA è dovuta per tale cessione (v., per analogia, sentenza Collée, cit., punto 30 e giurisprudenza ivi citata). In tali circostanze, non esiste più, in via di principio, un rischio di evasione fiscale o di perdite fiscali che possa giustificare l’assoggettamento all’imposta dell’operazione in parola».
La pronuncia in parola, dunque, impone agli Stati membri di assicurare in ogni caso il rimborso dell’IVA assolta, nell’ipotesi in cui venga fornita la prova dell”’avvenuta esportazione”, ancorché ”tardiva”, pur riconoscendo alla normativa interna la possibilità introdurre condizioni ragionevoli finalizzate a prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso.
Per l’effetto, la risoluzione n. 98/E del 2014 nel recepire le indicazioni fornite dalla sentenza emessa dalla Corte di Giustizia della UE ha chiarito che «si ritiene che il regime di non imponibilità, proprio delle esportazioni, si applichi sia quando il bene sia stato esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione, sia quando il bene esca dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni previsto dal citato articolo 8, primo comma, lettera b), del D.P.R. n. 633 del 1972, purché, ovviamente, sia acquisita la prova dell’avvenuta esportazione».
Conseguentemente, al fine di assicurare in ogni caso il recupero dell’IVA versata ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, il documento di prassi in parola individua due modalità alternative, precisando che «il contribuente potrà procedere all’emissione di una nota di variazione ex articolo 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione.
In alternativa, il contribuente potrà sempre azionare la richiesta di rimborso ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs. n. 546 del 1992, entro il termine di due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso.
È evidente, infine, che laddove la merce risulti esportata oltre i 90 giorni ma, comunque, entro i 30 giorni previsti, ai fini della regolarizzazione, dall’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997, e si abbia prova dell’avvenuta esportazione, il contribuente potrà esimersi dal versamento dell’imposta senza per questo incorrere in alcuna violazione sanzionabile».
Ciò detto, come correttamente rilevato dall’istante, con la circolare n. 1/E del 2018, emanata a commento dell’intervento normativo recato dal decreto-legge n. 50 del 2017, è stato chiarito che, «In seguito all’intervento normativo in commento, quindi, risultano invariate le regole che disciplinano la nascita del diritto alla detrazione, che resta ancorato all’esigibilità dell’imposta (i.e. momento di effettuazione dell’operazione), mentre è stato ridotto il termine entro il quale il soggetto passivo può esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA. Tale termine è, dunque, individuabile al più tardi nella data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto.
[…]
I giudici unionali, pertanto, indicano chiaramente che l’esercizio del diritto alla detrazione è subordinato all’esistenza di un duplice requisito, dovendosi in particolare considerare:
– oltre al presupposto sostanziale dell’effettuazione dell’operazione
– anche il presupposto formale del possesso di una valida fattura d’acquisto.
[…]
L’applicazione dei principi unionali determina quindi, in sede di coordinamento delle norme interne (articoli 19, comma 1, e 25, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, come riformulati dal D.L. n. 50), che il dies a quo da cui decorre il termine per l’esercizio della detrazione deve essere individuato nel momento in cui in capo al cessionario/committente si verifica la duplice condizione i) (sostanziale) dell’avvenuta esigibilità dell’imposta e ii) (formale) del possesso di una valida fattura redatta conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 21 del menzionato d.P.R. n. 633.
É da tale momento che il soggetto passivo cessionario/committente può operare, previa registrazione della fattura secondo le modalità previste dall’art. 25, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, la detrazione dell’imposta assolta con riferimento agli acquisti di beni e servizi, ovvero alle importazioni di beni.
Tale diritto può essere esercitato al più tardi entro la data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui si sono verificati entrambi i menzionati presupposti e con riferimento al medesimo anno.
Ciò, in coerenza, peraltro, con la nuova formulazione dell’art. 25, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in base alla quale le fatture relative agli acquisti effettuati devono essere registrate al più tardi entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura e con riferimento al medesimo anno».
La successiva circolare n. 20/E del 2021, ha poi ulteriormente precisato che «Come già chiarito con alcune risposte a istanze di interpello (cfr. la n. 192 e la n. 119 pubblicate, rispettivamente, il 24 giugno 2020 e il 17 febbraio 2021 nell’apposita sezione del sito internet dell’Agenzia delle entrate), a parziale modifica e integrazione di quanto già chiarito con la circolare n. 1/E del 2018 (cfr. paragrafo 1.5), i principi sopra richiamati si applicano anche con riferimento alla detrazione dell’IVA relativa alla nota di variazione in diminuzione, nel senso che emessa tempestivamente detta nota entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione ”l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento”. Rileva, in altre parole, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione, che rappresenta il presupposto formale necessario per l’esercizio concreto del diritto».
Ciò premesso, non v’è dubbio che le indicazioni fornite con la risoluzione n. 98/E del 2014 vadano attualizzate alla luce dei successivi interventi normativi e dei relativi chiarimenti intervenuti con i succitati documenti di prassi.
A tal fine, occorre rammentare che nelle esportazioni ”indirette”, disciplinate nel nostro ordinamento dall’articolo 8, comma 1, lettera b), del decreto IVA, l’operazione si compone di due momenti:
– quello della consegna della merce nel territorio dello Stato italiano al cessionario non residente, e
– quello della successiva esportazione ”fisica” della stessa a cura o per conto di quest’ultimo; esportazione ”fisica” di cui il cedente deve acquisire la prova, senza la quale per evitare l’applicazione della sanzione proporzionale dal 50 al 100 per cento dell’IVA non applicata la fattura va regolarizzata, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, tramite emissione della nota di debito ed il versamento dell’IVA.
Ciò detto, per quanto concerne le modalità di recupero dell’imposta versata in sede di regolarizzazione, si ritiene che l’istante possa procedere all’emissione di una nota di variazione, in base all’articolo 26, secondo comma, del decreto IVA, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui si intende realizzato il presupposto, da intendersi nel momento cui si considera avverato:
a) sia il presupposto ”sostanziale” avvenuta esportazione che, tuttavia, a tal fine, retroagisce temporalmente alla data della cessione del bene, sempreché sia stata acquisita la prova che l’esportazione è effettivamente avvenuta;
b) sia quello ”formale” emissione della nota di debito IVA per regolarizzare la fattura non imponibile, cui fa seguito il versamento dell’imposta da recuperare.
Per l’effetto, il dies a quo per l’emissione della nota di variazione decorrerà dalla data di emissione della nota di debito.
Sicché, nell’ipotesi prospettata dall’istante:
– consegna della merce e fattura emessa in data 30 dicembre 2021 (presupposto sostanziale);
– decorrenza dei 90 giorni previsti dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997 in data 30 marzo 2022;
– procedura di regolarizzazione operabile da 91esimo al 120esimo giorno successivo, ovvero fino al 29 aprile 2022 (presupposto formale);
– emissione della nota di credito entro il termine della presentazione della dichiarazione IVA, ordinariamente entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello in cui si è perfezionato il presupposto, tanto dal punto di vista ”sostanziale” (cessione all’esportazione) quanto da quello ”formale” (emissione di una nota a debito), ovvero fino al 30 aprile 2023;
e, pertanto,
– nell’ipotesi di emissione della nota di credito entro il 31 dicembre 2022, il termine per operare la detrazione coinciderà con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità 2022, ovvero il 30 aprile 2023;
– nell’ipotesi di emissione della nota di credito tra il 1° gennaio 2023 e il 30 aprile 2023, il termine per operare la detrazione coinciderà con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità 2023, ovvero il 30 aprile 2024.
Laddove, invece, l’emissione della nota di variazione in diminuzione non sia più consentita, perché la prova dell’avvenuta esportazione è stata acquisita oltre il termine entro cui la stessa poteva essere emessa, non configurandosi una ”colpevole” inerzia dell’istante, resta la possibilità di azionare la richiesta di rimborso, oggi ai sensi dell’articolo 30ter del decreto IVA norma sopravvenuta che opera ai fini IVA specularmente all’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 secondo cui «il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».
In tale evenienza, non potendosi qualificare indebito il versamento eseguito per effetto dell’emissione della nota a debito, il presupposto per la richiesta di rimborso sarà l’acquisizione della prova di avvenuta esportazione.
Ne deriva che la situazione descritta dall’istante che dovrebbe costituire pur sempre un’eccezione rispetto alla regola ordinaria che prevede l’acquisizione della prova dell’esportazione nei novanta giorni dalla materiale cessione dei beni potrà essere gestita tramite il ricorso alla nota di variazione o, in alternativa, mediante il ricorso all’istituto del rimborso sopra richiamato, in linea con le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia della UE, che impone agli Stati membri di assicurare sempre il beneficio della non imponibilità, ovvero prevedere il ”diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA” assolta, nell’ipotesi in cui venga fornita la prova dell’ ”avvenuta esportazione”.
Quanto, infine, alla richiesta dell’istante di poter procedere alla diretta annotazione in rettifica sui registi IVA, come previsto dall’articolo 26, comma 8, del decreto IVA, in luogo dell’emissione della nota di variazione in diminuzione, si rappresenta che la procedura è ”incompatibile” con la necessità di ”tracciare” con un documento, ai fini del successivo controllo, la variazione (cui andrà collegata la prova acquisita); nonché con le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 3bis, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, che prevedono di ”tracciare” telematicamente le operazioni effettuate nei confronti di soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato (cd. esterometro).
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