La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 18267 del 30 luglio 2013 interviene in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro affermando che l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.
La vicenda ha riguardato un operaio ascensorista esposto all’amianto ed affetto da grave patologia aveva citato in giudizio di datore di lavoro per il risarcimento del danno. Il cui ricorso i giudici della Corte Suprema hanno respinto.
Dall’indagine fatta risultava che l’esposizione alle fibre di asbesto fosse stata, per la durata temporale in cui era intervenuta, inidonea a causare la neoplasia, e inferiore ai valori-soglia statisticamente rilevanti.
Nulla da fare per il lavoratore, che aveva anche eccepito il riconoscimento da parte dell’INAIL della malattia professionale con relativa rendita, che però riguarda solo la menomazione della capacità lavorativa.
I giudici hanno dato importanza alla circostanza che il dipendente fosse un accanito fumatore, e che nel suo albero genealogico fossero presenti numerosi casi di tumore, e che, quindi, avesse ‘familiarità con la malattia.
E decisiva è stata anche la ctu che ha attestato che l’esposizione fosse stata inferiore al valore limite, e comunque insufficiente a cagionare una neoplasia del tipo di quella occorsa al lavoratore.
Esclusa, quindi, la ‘elevata probabilità scientifica’ fra presunto fattore causale, e danno verificatosi, i giudici hanno negato il risarcimento ex art. 2087 del codice civile, norma che impone al datore di adottare tutte le misure idonee per tutelare i lavoratori.
Nell’ipotesi di accertata esposizione all’amianto, di regola non hanno, di per sé, rilievo al fine di interrompere il nesso causale la predisposizione fisica oppure infermità pregresse del lavoratore, così come l’abitudine al fumo di sigarette.
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