La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 21324 depositata il 16 settembre 2013 intervenendo in materia di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ha statuito che in tema di esattezza e tempestività dell’adempimento della prestazione oggetto di un accordo transattivo intervenuto tra il contribuente e l’ufficio finanziario volto a far dichiarare l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere quando in tale atto si sia fatto riferimento a una procedura automatizzata predisposta dall’Amministrazione finanziaria per il rimborso dei tributi.
La vicenda ha riguardato alcuni contribuenti che avevano chiesto il rimborso della tassa di concessione governativa per l’iscrizione al registro delle società. Nel corso del lungo contenzioso nel giudizio di appello veniva determinato in misura inferiore rispetto al giudizio di primo grado, in applicazione dei principi affermati dalla corte di Giustizia Ce con le sentenze 15 settembre 1998, cause C-231-96, C-260-96 e C-279-96 circa il margine di compatibilità col diritto comunitario della decadenza triennale di cui all’articolo 13 del Dpr n. 641 del 1972.
Tra contribuenti e Fisco sorgeva un contrasto sull’interpretazione dell’accordo transattivo intervenuto nel giugno 2001. Tale contrasto riguardava la previsione che le somme avrebbero dovute essere dai contribuenti “tempestivamente restituite (…) anche se attualmente pendente ancora il giudizio avanti la corte d’appello”, con l’immediata rinuncia alla prosecuzione del contenzioso in atto, mentre la proposta di rinuncia alla continuazione del processo era avvenuta il 14 gennaio 2003, ossia dopo il deposito della sentenza d’appello.
La Corte di Cassazione a cui i contendenti erano giunti esclude l’estinzione del giudizio non tanto sul riconoscimento della tardività della comunicazione di estinzione del giudizio, ma sull’insufficienza di quanto corrisposto dalle società contribuenti rispetto a quanto indicato nell’atto di transazione per effetto del rinvio a quanto stabilito nella procedura automatizzata prevista dall’articolo 11, comma 4, legge n. 448 del 1998, per il calcolo degli interessi dovuti sul rimborso.
Infatti, poiché in tale accordo le società interessate si erano obbligate a proporre “formale rinuncia alla prosecuzione delle cause pendenti, controfirmata dall’ufficio locale dell’agenzia delle entrate competente, al fine della dichiarazione di cessazione della materia del contendere e l’avvocatura dello stato produrrà tale dichiarazione al giudice adito per l’estinzione del giudizio”, per la pronuncia in commento è palese che l’estinzione del giudizio presupponeva la previa ricognizione dell’esattezza dell’adempimento.
Invero, la corrispondenza dei conteggi alle previsioni pattizie aveva rilevato una differenza tra l’offerta (di 15.145,40 euro) versato e la pretesa (di 38.058,48 euro), che aveva impedito la controfirma dell’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate sulla dichiarazione di rinuncia, con l’effetto – sotto il profilo processuale – che l’oggetto del contendere è stato ritenuto non limitato al profilo del presupposto processuale della transigibilità, ma verteva soprattutto sull’inesatto inadempimento di quanto pur pattuito.
I giudici di legittimità sulla questione di diritto posta ha ritenuto applicabili le regole di diritto comune stabilite nel codice civile, ricordando che, oramai, la giurisprudenza di Cassazione si sia consolidata, con la decisione delle sezioni unite n. 13533 del 30 ottobre 2001, secondo cui – in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione – il creditore è in generale tenuto a provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza.
Alla luce di quanto sopra riportato discende che l’ente creditore, nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate, è onerato soltanto alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte. Mentre grava sul debitore l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento e viene ricordato che “Un eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile all’intimato nel caso in cui si discorra dell’adempimento dell’obbligazione restitutoria fatta valere a mezzo di cartella esattoriale”.
In tali termini si esprimono anche le sentenze – parimenti citate da questa in commento – 15 luglio 2011, n. 15659, per la quale grava sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, perché l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento, e la successiva sentenza della Suprema corte n. 11173 del 2012 (che non ci risulta edita).
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