
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 29885 depositata il 15 giugno 2017 intervenendo in tema di reati per bancarotta ha affermato che il mantenimento nei conti di un credito inesigibile costituisce falso in bilancio qualora la falsa appostazione contribuisce ad aggravare il dissesto si configura il reato di bancarotta impropria da falso in bilancio.
La vicenda ha riguardato l’amministratore unico di una srl, poi fallita, imputato per bancarotta fraudolenta patrimoniale, bancarotta impropria da falso in bilancio e bancarotta semplice per avere aggravato il dissesto non richiedendo il fallimento. Il Tribunale riconosceva colpevole l’amministratore. Avverso la decisione di primo grado l’imputato proponeva ricorso alla Corte di Appello, i cui giudici confermarono la sentenza impugnata.
Avverso al decisione dei giudici di appello l’amministratore proponeva ricorso in cassazione fondato su cinque motivi.
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso proposto ritenendo la sentenza impugnata avente motivazione logica e giuridicamente corretta su quanto sostenuto dai giudici di appello in merito alla permanenza nel bilancio della fallita del credito non esigibile – essendo la società debitrice sull’orlo del fallimento -, senza operare la dovuta svalutazione almeno del 90 per cento, aveva consentito la prosecuzione dell’attività, con aggravamento del dissesto.
Tale comportamento aveva reso impossibile prendere atto che il patrimonio netto era divenuto negativo e che quindi era necessario o provvedere alla ricapitalizzazione o alla liquidazione della società oppure alla richiesta di fallimento.
Pertanto per i giudici del palazzaccio l’aggravamento del dissesto per la prosecuzione dell’attività dovuta alla falsa appostazione nel bilancio ha certamente integrato la fattispecie di cui all’art. 223, comma 2, n. 1), L.fall., poiché tale norma punisce chiunque cagioni o concorra a cagionare, commettendo i delitti societari indicati – tra cui quello di cui all’articolo 2621del codice civile – il dissesto della società, “così sanzionando la condotta sia di chi il dissesto – da intendersi come squilibrio economico che conduce al fallimento – l’abbia interamente cagionato, sia di chi ne abbia causato una parte (l’abbia, in altri termini, aggravato) posto che il dissesto, nei suoi termini economici, non costituisce un dato di fatto immodificabile e può pertanto essere reso ancora più grave.”
Nella fattispecie esaminata dalla Corte Suprema contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato ha affermato “che l’imputato, a conoscenza dell’inesigibilità del credito (essendo anche la società debitrice a lui riconducibile), ha agito nella piena consapevolezza di appostare una voce falsa al bilancio della fallita, ciò facendo con lo scopo di procurare danno ai creditori della medesima, occultandone il dissesto e proseguendo l’attività così da aggravarlo.”
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