La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44665 depositata il 5 novembre 2013 intervenendo in tema di reati fiscali ha statuito che anche la fatturazione soggettivamente inesistente può integrare il delitto di falsa fatturazione.
Il caso ha tratto origine dalla scoperta di un complicato sistema di fatturazione per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti effettuato tra varie società, volte a bypassare la normativa sull’impiego di manodopera attraverso la stipulazione di contratti di appalto e subappalto.
Le società che hanno partecipato al sistema di cui sopra furono, ad opera del GIP, destinatarie del provvedimento di sequestro preventivo. I soggetti, colpiti dal provvedimento di sequestro preventivo, si rivolgevano al Tribunale del riesame per chiederne l’annullamento. Il collegio giudicante accolse le doglianze degli imputati ed in particolare ritenne, l’organo giudicante, insussistente il reato nel caso di fatture soggettivamente inesistenti.
Avverso la decisione del giudice di merito il PM ricorse alla Corte Suprema per la sua cassazione. Gli Ermellini accolsero le doglianze del PM ritenendole fondate.
I giudici di legittimità hanno puntualizzato che il dolo nel reato di emissione di fatture false è costituito dal fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o l’Iva. Tale fine, tuttavia, può anche non essere esclusivo, ossia il reato è integrato quando lo scopo è anche quello di trarne un profitto personale.
Altra importante precisazione dei giudici della Corte Suprema e quella relativa alla esistenza dell’interesse fiscale e cioè che sia perseguito l’obiettivo di evadere le imposte in quanto, in assenza, il delitto non sarebbe configurabile.
Tale orientamento conferma quanto già affermato, in precedenza, dalla Suprema Corte aveva secondo cui nel caso delle fatture soggettivamente inesistenti può comunque esistere il fine del conseguimento dell’illecito risparmio di imposta, consentendo, infatti, ad altri l’evasione.
Nel caso di specie, per i giudici del Palazzaccio, l’emissione di fatture intestate ad un soggetto diverso da quello che, in realtà, ha partecipato all’operazione commerciale ha certamente consentito una indebita detrazione fiscale.
I giudici nella sentenza in esame non precisano quale sia l’imposta “risparmiata” fraudolentemente attraverso la falsa fatturazione soggettiva. Si può ritenere che si tratti dell’Iva e non anche delle imposte sui redditi. Va, infatti, ricordato che l’eventuale risparmio fiscale indebito, mediante la falsa fatturazione soggettiva, può riguardare solo l’imposta sul valore aggiunto e non le imposte sui redditi.
Queste ultime infatti, fermo restando il rispetto dei criteri di inerenza, competenza e certezza, sono deducibili anche in virtù del decreto legge 16/12. Ne consegue che la fatturazione soggettivamente inesistente, che avrebbe influito solo sulle imposte sui redditi, non può costituire reato.
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