La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 11935 del 10 novembre 2016 intervenendo in tema di sequestro probatorio in tema di reati di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 ha statuito che qualora il decreto di convalida del sequestro probatorio delle fatture acquisite dalla Polizia Giudiziaria vanno restituite all’imprenditore, sospettato di frode, quando, nel decreto, viene omessa l’indicazione delle ragioni investigative che giustificavano l’apprensione dei due documenti.
A seguito del ricorso in Cassazione dell’imprenditore accusato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, basato su due motivi, gli Ermellini ritenendo fondato il primo motivo hanno disposto la restituzione delle fatture divenute oggetto di sequestro probatorio.
I giudici di legittimità hanno evidenziato che la motivazione del decreto di sequestro probatorio deve assolvere all’onere di spiegare all’interessato le ragioni per le quali è necessario sottrarre il bene. Pertanto la qualificazione del bene come “corpo del reato” o di cosa a esso pertinente non coincide con la esigenza del sequestro probatorio e non completa l’onere di motivazione sul punto. Occorre indicare quale sia la necessità che giustifica la temporanea compressione del diritto di proprietà (o comunque di godimento) del bene sottratto all’interessato.
Per cui la Cassazione ha confermato il principio secondo cui “anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti” (Cass., Sez. Un., n. 5876/2004 e n. 18954/2016).
Pertanto nel decreto di sequestro probatorio vi è l’obbligo di indicare “le ragioni che giustificano in concreto la necessità dell’acquisizione interinale del bene ‘per l’accertamento dei fatti’ inerenti al thema decidendum del processo, secondo il catalogo enunciato dall’art. 187 c.p.p., in funzione cioè dell’assicurazione della prova del reato per cui si procede o della responsabilità dell’autore.” Ciò perché “la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e art. 1 primo Protocollo addizionale C.e.d.u. postula necessariamente che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, pur quando essa si qualifichi come corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato – lo spossessamento del bene – e il fine endoprocessuale perseguito – l’accertamento del fatto di reato […].”
Pertanto, i giudici del palazzaccio, hanno posto in evidenza che nella fattispecie esaminata questi principi sono stati violati, atteso che il decreto di convalida del sequestro eseguito d’iniziativa dalla Polizia Giudiziaria è stato motivato con la mera constatazione della natura di “corpo del reato” delle fatture, in mancanza di qualunque indicazione delle esigenze probatorie che presiedevano, per esempio, alla necessità di acquisire l’originale piuttosto che la copia conforme.
Infine per la Corte Suprema il giudice del riesame non ha integrato la motivazione del provvedimento di convalidata del sequestro da parte del P.M., potere che può essere esercitato quando “dal testo del provvedimento impugnato si evincano i presupposti del vincolo e della configurabilità del reato e le esigenze probatorie siano state indicate, seppure in maniera generica.”
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