La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 239 depositata il 9 gennaio 2014 intervenendo in tema di fatture false e detrazione IVA ha statuito che non spetta alcuna detrazione IVA sull’acquisto di merce o la prestazione di un servizio se il fornitore è diverso rispetto a quello indicato nella fattura, salvo che il contribuente non riesca a dimostrare la propria buona fede, cioè la non conoscenza della provenienza reale della merce o della prestazione del servizio.
La vicenda ha riguardato una società contribuente a cui, dopo un processo processo verbale di constatazione emesso dall’organo di verifica fiscale, veniva notificato un avviso di rettifica ai fini IVA con il quale l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione l’imposta indebitamente detratta su una fattura per prestazioni di servizi di assistenza tecnica per montaggio impianti, e ritenuta dall’Ufficio relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Il contribuente avverso l’atto impositivo proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accolsero le doglianze del ricorrente. Il Fisco impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che rigettava il gravame dell’Agenzia delle Entrate. In particolare i giudici di appello ritenevano che il reale perfezionamento dell’operazione di prestazione di servizi, di cui alla fattura in contestazione, desumibile dall’emissione e dall’incasso di un assegno bancario, a favore della società E.B. s.r.l., dovesse escludere il carattere fittizio dell’operazione e comunque la partecipazione della contribuente all’ eventuale accordo evasivo posto in essere da terzi.
Per la cassazione della decisione dei giudici di seconde cure l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema. Lamentando, in particolare, che il giudice di merito aveva ritenuto che l’onere di provare l’inesistenza soggettiva dell’operazione in contestazione, laddove tale dimostrazione sarebbe stata ampiamente fornita mediante rinvio alle dettagliate ed esaustive risultanze del processo verbale di constatazione, era stato posto solo a carico dell’Amministrazione finanziaria.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate cassando la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno precisato che la nozione di “fattura inesistente” va riferita non soltanto all’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata sul piano fattuale, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di “inesistenza soggettiva” (Cass. 23074/12; 8132/11).
Inoltre, per i giudici supremi, rifacendosi al consolidato indirizzo secondo cui il committente – cessionario, al quale sia contestata, sulla scorta di elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione Finanziaria (gravata dal relativo onere probatorio), la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto, diverso dall’effettivo cedente – prestatore, che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta nella sola ipotesi in cui possa dimostrare ex art. 2697 comma 2 cod. civ. che non sapeva o non poteva sapere di partecipare a un’operazione fraudolenta.
Per cui sul cessionario grava l’onere di provare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente e il fatturante, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (cfr. Cass. n. 8132/2011 e 23074/2012; CGUE 6/7/06 C-439/04, 21/2/06 C-255/02 e 21/06/12 C-80/11).
Tali affermazioni di principio – operate in più occasioni da questa Corte – trovano, peraltro, adeguato riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria in materia.
Nel caso di specie il contribuente si è solo limitato ad eccepire l’avvenuto pagamento del servizio, a suo dire, ricevuto dalla società indicata nella fattura, senza neppure dedurre di non essere stata in grado di conoscere la finalità evasiva perseguita da terzi. Ciò ha reso inefficace la difesa articolata dalla medesima contribuente con conseguente impossibilità per i giudici di ritenere infondato l’accertamento oggetto di controversia. Circa l’effetto di evasione d’imposta che comunque si produce con la fatturazione soggettivamente inesistente, non è sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e che la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata. Ciò anche in considerazione del fatto che “la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture, non è una circostanza indifferente ai fini dell’IVA”.