La vicenda ha riguardato una società il titolare di una ditta individuale imputato del reato di cui all’art. 2 D.lvo 74/2000, per aver indicato nella dichiarazione dei redditi elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti. Il titolare dell’impresa individuale era stato chiamato dall’Agenzia delle Entrate a chiarimenti nel corso di una verifica compiuta nei confronti della società a responsabilità limitata, la quale aveva emesso fatture per operazioni che si ipotizzano inesistenti, indirizzate alla ditta individuale. Il titolare a seguito di tali chiarimenti provvedeva ai sensi dell’art. 13 del D.lvo 74/2000 al versamenti integrale di quanto dovute senza tener conto delle fatture della società oggetto di accertamento da parte dell’Agenzia. Il giudice per l’udienza preliminare assolveva l’imputato dal reato ascrittogli. Il procuratore avverso tale decisione proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini respingevano la doglianza ritenendo che il soggetto utilizzatore delle false fatture può beneficiare della causa di non punibilità di cui articolo 13, comma 2, D.Lgs. 74/2000 anche quando si sia ravveduto dopo essere venuto a conoscenza dell’avvio di un’attività accertativa nei confronti dell’emittente delle fatture false.
Il contenuto dell’articolo 13, comma 2, D.Lgs. 74/2000 prevede che i reati non sono punibili se i debiti tributati, unitamente alle rispettive sanzioni e interessi, sono estinti mediante il pagamento integrale degli importi dovuti a seguito di ravvedimento operoso, ovvero di presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo. L’esclusione trova applicazione a condizione che il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.