La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 17674 del 19 luglio 2013 interviene in materia di accertamento e fatture per operazioni inesistenti affermando che le dichiarazioni raccolte dalla Guardia di finanza nel verbale possono provare le fatture false. Inoltre ha statuito che Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste qualora il giudice di merito non abbia tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte degli elementi dimostrativi addotti in giudizio ed indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione, e si sia limitato ad assumere l’insussistenza della prova, senza compiere una analitica considerazione delle risultanze processuali (v.Cass. n. 3370 del 02/03/2012 in fattispecie di omessa contabilizzazione di ricavi ed indebita detrazione IVA, in conseguenza di operazioni ritenute inesistenti).
Per cui alla luce di quanto stabilito dalla sentenza in esame risulta più facile per l’amministrazione finanziaria provare le fatture false. Sono infatti rilevanti le dichiarazioni rese alla Guardia di finanza, incluse quelle del fattorino che non ha mai consegnato la merce fatturata.
La sezione tributaria ha dunque bocciato la decisione della Commissione Tributaria Regionale che aveva ritenuto invalido l’accertamento spiccato dal fisco in relazione a delle fatture inesistenti.I giudici di appello avevano ritenuto che, sulla base della documentazione prodotta dalla contribuente e dello stesso p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza, non si poteva “stabilire con certezza di essere in presenza di emissione di fatture per operazioni inesistenti”.
L’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di merito ha proposto ricorso, basato su un unico motivo, in Cassazione ottenendo una riformulazione della sentenza di appello.
Gli Ermellini hanno bacchettato i giudici di appello ritenendo, in merito al vizio di omessa o insufficiente motivazione, che “emerge dalla stessa motivazione della sentenza impugnata che il giudice del merito non ha tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte dalle anzidette circostanze, essendosi limitato il medesimo giudice ad assumere insussistenti gli elementi di prova, senza però fare analitica considerazione di quelli risultanti dal PVC ed elencati dall’Agenzia procedente. Nella specie, parte ricorrente ha evidenziato una pluralità di elementi di fatto non adeguatamente e specificamente considerati dal giudice del merito (risultanti dalle indagini espletate dalla GdF e riepilogati nel PVC) che costituiscono senz’altro idonei indici sintomatici di una possibile decisione ingiusta, siccome capaci di generare una difettosa ricostruzione del fatto dedotto in giudizio. Consegue da ciò che la censura può essere accolta e che, per conseguenza, la controversia debba essere rimessa al medesimo giudice di secondo grado che – in diversa composizione – tornerà a pronunciarsi sulle questioni e regolerà anche le spese del presente grado di giudizio.”
Infatti i Supremi giudici, ricostruendo la vicenda, hanno ritenuto rilevanti le dichiarazioni rese alla Guardia di finanza fra gli altri, anche dal fattorino che non aveva mai consegnato la merce.
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