La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 39873 depositata il 26 settembre 2013 ha statuito che si configura la dichiarazione fraudolenta per il commercialista che contabilizza nelle dichiarazioni del cliente fatture che sapeva essere inesistenti in quanto emesse da un’impresa fittizia con sede nel suo studio.
La vicenda ha avuto origine dal controllo fiscale a carico di una società dal quale emersero delle presunte fatture per operazioni inesistenti di altra società fittizia che aveva la sede legale nello studio del commercialista. Lo stesso veniva accusato per i reati di cui all’art. 2 d.Lgs. n. 74/2000, (per avere – quale commercialista consulente della società cooperativa a resp. lim. “S.” – indicato, nelle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte dirette riferite agli anni dal 2004 al 2006, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture relative ad operazioni inesistenti emesse dalla s.r.l. “E.C.” in liquidazione e dalla s.r.l. “G. S.” – , il 24.10.2005, il 29.10.2006 ed il 7.9.2007)
Il Tribunale condannava il professionista che ricorsa alla Corte di Appello. I giudici della Corte Territoriale confermava la condanna inflitta in primo grado, a un anno e sei mesi di reclusione, di un commercialista ritenuto responsabile del reato di dichiarazione fraudolenta, mediante l’utilizzo di documenti per operazioni inesistenti.
Al consulente era contestato che nelle dichiarazioni presentate per una società cooperativa a responsabilità limitata, sua cliente, erano stati inseriti elementi passivi fittizi documentati da fatture false emesse da due imprese.
Il professionista impugnava la decisione dei giudici di merito presso la Corte Suprema per la cassazione della sentenza lamentando l’insussistenza di elementi di responsabilità e in particolare dell’elemento soggettivo. Veniva inoltre eccepito che alcune dichiarazioni, rese dal responsabile amministrativo della società a uno dei verificatori, secondo cui il commercialista aveva dato disposizioni per far sostituire le fatture (peraltro già acquisite dai verificatori) con altre intestate a “fornitore sospeso”, al fine di ostacolare il controllo, non avevano alcun valore perché non riferite direttamente dal dipendente della società ma dal maresciallo della Gdf.
I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso. Circa la consapevolezza della falsità delle fatture, la sentenza evidenzia che è incontrastato che le società emittenti fossero delle mere “cartiere”. Infatti, non avevano dipendenti, magazzino, macchinari o apparecchiature per svolgere l’attività, né documentazione bancaria idonea ad attestare effettive movimentazioni sui conti.
Le fatture, inoltre considerate in sé, erano tali da poter far sorgere il sospetto della loro falsità, in un «commercialista appena avveduto», poiché contenevano descrizione di attività generiche, a fronte di importi rilevanti. Una delle cartiere, poi, aveva la sede sociale presso l’ufficio del commercialista, mentre l’altra aveva sede presso l’indirizzo di un amministratore nel frattempo deceduto.
In merito alla testimonianza resa dal maresciallo della Gdf, su quanto riferito dal responsabile amministrativo della società, i giudici l’hanno ritenuta legittima, in quanto nessuna parte aveva espressamente richiesto di deporre direttamente al teste di riferimento. Comunque tali dichiarazioni sono state ritenute di “mero contorno” attesi i dati oggettivi accertati.
La sentenza fornisce elementi per delineare più compiutamente la responsabilità penale del consulente nell’ambito della sua attività professionale. Responsabilità non facilmente definibile, non fosse altro perché il beneficio fiscale derivante da eventuali evasioni di imposta, lo consegue il contribuente e le dichiarazioni sono sottoscritte pure dal contribuente.
Nel caso esaminato dalla Cassazione c’è certamente un elemento rilevante e grave: una delle due “cartiere” aveva la sede nello stesso studio del commercialista.
Suscitano invece qualche perplessità le altre due circostanze evidenziate dai giudici: l’altra impresa aveva sede presso un amministratore deceduto, quasi che il consulente debba verificare se i fornitori dei propri clienti siano in vita ed operino regolarmente; la descrizione sommaria delle fatture rispetto agli importi.
Va tenuto infatti presente che il commercialista, di norma, è chiamato a contabilizzare i documenti fiscali e non a sindacare nel merito il contenuto di tali documenti, altrimenti rischierebbe, senza averne titolo, di sostituirsi al fisco.
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