La Corte di Cassazione con la sentenza n.17428 del 17 luglio 2013 intervenendo in ema di fatture per operazioni inesistenti ha affermato che le fatture false e quindi la contabilità irregolare possono essere provate dall’amministrazione finanziaria anche mediante lo scostamento dagli studi di settore del reddito d’impresa. Incombe, quindi, poi sul contribuente fornire la prova contraria e la buona fede nella trattativa con la cartiera.
Il caso riguarda una macelleria che, secondo l’Amministrazione finanziare, aveva acquistato la merce da una cartiera. Per questo le fatture erano state considerate soggettivamente false e la contabilità inattendibile. Quindi era stato disposto un recupero a tassazione nonché la responsabilità per dichiarazione infedele.
La contribuente aveva impugnato l’atto impositivo inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, ottenendo un annullamento. L’Agenzia delle Entrate propone, avverso la sentenza di primo grado, ricorso mediante deposito alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di prime cure che aveva annullato un avviso di accertamento, con il quale erano state irrogate sanzioni alla società contribuente, ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, per infedele dichiarazione e irregolare tenuta delle scritture contabili e sostenendo che il mero scostamento dagli studi non era una presunzione abbastanza grave per legittimare l’accertamento fiscale.
L’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza dei giudici di appello propone ricorso alla Corte Suprema per la cassazione della decisione di Appello basandolo su due motivi.
Gli Ermellini della sezione tributaria, accogliendo il ricorso dell’amministrazione finanziaria, hanno ribaltato il verdetto ritenendo che i giudici di appello hanno omesso di valutare tutte le circostanze allegate in atti e risultanti dal PVC della GdF, secondo cui la contribuente si era rifornita di bestiame da una ditta priva di locali propri e di attrezzature tecniche necessarie allo svolgimento dell’attività, nonché priva di personale. I giudici di legittimità hanno evidenziato che in tema d’accertamento delle imposte gli accertamenti del reddito di impresa alle persone fisiche, di cui all’art. 39, primo coma lett. d) del dpr 26.10.1972 n. 633 possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis dello stesso dl n. 331 del 1993 (cfr. Cass. n. 9613/2008). Ma non solo: La legittimità dell’utilizzo degli studi di settore sulla produttività media da parte dell’amministrazione per la ricostruzione del reddito e il loro valore di idonea presunzione comporta l’inversione dell’onere della prova sul contribuente il quale potrà contestare specificamente il dato ed eventualmente offrire la prova contraria (cfr. Cass. n. 6229/13).
La sentenza contiene inoltre un interessante chiarimento sul valore della fatture. Per gli Ermellini, infatti, il documento contabile è idoneo a rappresentate operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità, così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate.
Ora la causa tornerà alla commissione tributaria regionale della Campania che dovrà riesaminare il caso tenendo conto dello scostamento del reddito dichiarato dagli studi di settore. Di diverso avviso la procura generale del Palazzaccio che aveva invece chiesto di respingere il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
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