La giurisprudenza e la dottrina ha determinato una nozione di fattura emessa per operazione falsa oppure inesistente. Per quanto concerne la natura della <<falsità>> della fattura emessa, notoriamente essa può essere inquadrata nell’ambito di:
- Fattura soggettivamente inesistente;
- Fattura oggettivamente inesistente;
La prima riguarda il caso in cui il documento viene emesso per una prestazione o una cessione realmente avvenuta ma l’emittente non è quello che effettivamente ha effettuato l’operazione.
La seconda concerne l’ipotesi in cui la fattura certifica la vendita di un bene o lo scambio di un servizio mai avvenuto.
L’art. 8 comma 1, 2 e 3 del D.L. 162/2012 prevede che i costi e le spese esposte in fattura che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi non possono essere resi indeducibili in capo al destinatario della fattura. Pertanto il bene o servizio acquistato non può essere ritenuto direttamente utilizzato per la consumazione del delitto, trattandosi di operazione commerciale lecita ma certificata da una fattura emessa da soggetto diverso dal cedente o prestatore.
La recente giurisprudenza della Suprema corte ha stabilito che se la società che emetta la fattura ha una struttura, personale e mezzi, il committente può non conoscere la presunta qualità fittizia dell’impresa che ha emesso i documenti fiscali soggettivamente inesistenti; grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la fittizietà delle operazioni medesime.
Autorevole e rilevante sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha statuito il principio soprascritto è quella del 21 giugno 2012 cause n. C-80/11 e C-142/11. Infatti La Corte ha stabilito che l’Amministrazione finanziari per contestare l’indeducibilità dell’imposta sul valore aggiunto in presenza di fattura soggettivamente inesistente deve dimostrare che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi, considerato che non è consentito richiedere ulteriori incombenze a chi ha detratto l’imposta. Infatti i Giudici Comunitari hanno sentenziato che l’Amministrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il contribuente che intende esercitare il diritto di detrazione dell’IVA debba verificare che l’emittente abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA. Pertanto, – i Giudici concludono – a condizione che ricorrano i requisiti di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto alla detrazione ed il committente soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto delle esistenze di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente, la detrazione dell’IVA assolta è legittima. Pertanto risulta chiaro che l’Amministrazione finanziaria, al fine di disconoscere la detrazione dell’IVA, deve provare, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi (vedasi anche sentenza relativa alla causa n. 324/11 del 06/12/2012 e della causa n. 409/04).
Anche la Corte di Cassazione ha iniziato ad adeguarsi alla giurisprudenza dei giudici Comunitari, infatti, nelle più recenti sentenze la Suprema Corte ha statuito che non si può contestare la fittizietà dell’operazione se non si dimostri che il contribuente fosse a completa conoscenza della frode posta in essere da terzi. L’onere della prova di dimostrare le operazioni inesistenti gravano sul contribuente solo nel caso in cui l’Amministrazione fornisca validi elementi alla strega del Dpr 633/1972 art. 54 e Dpr 917/86 art.75. (vedasi Corte di Cassazione sent. Del 19/10/2012 n. 18009 e sentenza del 26/10/2012 n. 18446) Pertanto grava sui verificatori individuare gli elemnti probatori sottesi all’inesistenza o falsità delle operazioni non potendosi limitare a ritenerle tali in virtù di indizi superficiali o peggio sulla presunta inattendibilità delle giustificazioni offerte dal contribuente. (vedi anche Cass. nn. 27341/2005, 21953/2007, 12802/2011)
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