FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 17 giugno 2020
Lavoro stagionale e bonus: perché serve una norma
Tra le diverse criticità createsi con il lockdown e la conseguente crisi economica c’è quella dei lavoratori stagionali, che per una serie di incongruenze normative si sono ritrovati senza alcun sussidio con cui mantenere se stessi e le loro famiglie.
La figura dello stagionale, inteso come lavoratore “naturalmente” impiegato a tempo determinato, ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento con la legge n. 230/62 e, più in particolare, con il DPR n. 1525/63 che ha declinato le “attività stagionali”, ovvero quei lavori il cui svolgimento è legato (melius possibile) a una o più stagioni. Quindi, il lavoratore stagionale si identifica con quello che è impiegato nell’ambito delle “attività stagionali”.
L’elenco di cui al predetto DPR è tassativo, come da costante interpretazione della Suprema Corte. Nel tempo, le strette che hanno riguardato, in generale, il contratto a tempo determinato, con particolare riferimento allo stop and go e al contingentamento, hanno trovato delle espresse deroghe per le “attività stagionali” che, per l’effetto, hanno iniziato ad assumere, relativamente alle stesse deroghe, dei contorni più ampi. Così, l’art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 368/2001 escludeva dall’applicazione dello stop and go le attività stagionali, come definite al successivo comma 4-ter del medesimo articolo, nonché le ipotesi di cui alla contrattazione collettiva. Il comma 4-ter prevedeva, infatti, che si trattasse delle attività di cui al DPR n. 1525/63, avvisi comuni e CCNL. Specularmente, l’art. 10 comma 7 del D.Lgs. n. 368/2001, con riferimento alle deroghe al contingentamento, prevedeva, alla lettera b), le assunzioni effettuate per ragioni di stagionalità, ivi comprese quelle di cui al citato DPR, richiamando – ancorché in maniera non esplicita – gli avvisi comuni e i CCNL.
Il suddetto allargamento del concetto di “attività stagionale”, sebbene solo con carattere derogatorio alla disciplina generale del tempo determinato, si riscontra simmetricamente nella disciplina in materia di contribuzione NASpI. In particolare, l’art. 2 comma 28, della legge n. 92/2012, ha introdotto, infatti, una contribuzione aggiuntiva dell’1,40% in caso di ricorso al tempo determinato. Il successivo comma 29 prevede che detta maggiorazione contributiva non si applichi nelle attività stagionali di cui al DPR n. 1525/63, avvisi comuni e CCNL stipulati entro il 31/12/2011. Queste due ultime esclusioni con applicazione fino a tutto il 31.12.2015 (sul punto, cfr. circolare Inps n. 121/2019 – punto 2.4). Conformemente le istruzioni dell’Inps per la compilazione del flusso UniEmens prevedevano la codifica:
lettera “T” – DPR 1525/63, “G” avvisi comuni e CCNL, lettera “S”, altre differenti ipotesi – ancorché quest’ultima ipotesi non trovasse un espresso riferimento e/o declinazione normativa.
Con il decreto legislativo n. 81/2015, c.d. “codice dei contratti”, viene abrogato il D.Lgs. n. 368/2001 e la disciplina sul tempo determinato è trasfusa nel citato codice agli artt. 19-29. Sono note le ulteriori restrizioni introdotte al tempo determinato dal D.L. n. 87/2018 (c.d. “decreto dignità”), con particolare riferimento alla reintroduzione delle causali. Anche nel nuovo assetto, le restrizioni (stop and go, durata, contingentamento e causali) non si applicano ai contratti per “attività stagionali”, di cui all’art. 21 comma 2. Quest’ultimo chiarisce che lo stop and go non si applica nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con un emanando decreto del ministero del Lavoro nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. L’ultimo periodo precisa che, nelle more del decreto, continuano a trovare applicazione le disposizioni del DPR n. 1525/63. In sostanza, l’art. 21, comma 2, del decreto n. 81/2015 contiene le due deroghe allo stop and go già previste dall’art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 368/2001: attività stagionali (da definire con decreto da emanare) e altre ipotesi di cui ai contratti collettivi. Quanto alle prime, precisa che, in attesa del decreto del ministero del Lavoro, si applica il DPR n. 1525/63. Scompare, dunque, dall’attuale assetto normativo, l’ipotesi di cui agli avvisi comuni e CCNL, contenuta nella precedente disciplina (art. 5 comma 4-ter del d.lgs. 368/2001).
Specularmente, l’esclusione dalla contribuzione aggiuntiva per la NASpI (1,40% + 0,50% per ogni rinnovo o proroga) è oggi limitata alle sole ipotesi di cui al DPR n. 1525/63, atteso che, come confermato dall’Inps stesso, con la richiamata circolare n. 121/2019, punto 2.4, le ipotesi di cui agli avvisi comuni e CCNL (fino al 31.12.2011) hanno cessato di avere validità alla data del 31.12.2015, concomitante con la piena operatività del D.Lgs. n. 81/2015.
In nuce, alla luce dell’esegesi compiuta, considerato altresì che nessuna norma legittima la contrattazione collettiva ad individuare ipotesi di “attività stagionale”, considerati parimenti la tassatività dell’elenco di cui al DPR del 63 e l’esplicito rinvio dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 21 del decreto legislativo del 2015, attualmente il concetto di “attività stagionale”, in attesa del decreto ministeriale, è da ricercarsi esclusivamente nell’elenco di cui al DPR n. 1525/63. Per cui, anche nella compilazione dell’UNILAV, il campo lavoratore stagionale (le cui istruzioni prevedono di indicare se trattasi di “lavoro stagionale”) va valorizzato con la “S” solo in presenza di assunzione effettuata nell’ambito delle “attività stagionali”, di cui al citato tassativo elenco.
Che questa tensione non sia del tutto incompatibile con l’impianto normativo inteso nella sua complessità e che, anzi, un’apertura in tal senso non possa che ritenersi aderente alla evoluzione del mondo del lavoro e satisfattiva delle mutevoli esigenze che di volta in volta possano richiedere la necessità di disciplinare prestazioni lavorative dettate da specifiche esigenze connotate dalla stagionalità, a prescindere dalle rigide e vetuste indicazioni del DPR n. 1525/63, sono circostanze testimoniate di fatto dalla esperienza comune. Ne rappresenta un esempio significativo il contratto del settore Terziario di cui all’accordo del 30 marzo 2015. Recepite le esigenze per le quali determinate località a prevalente vocazione turistica necessitano di gestire picchi di lavoro intensificati in specifici periodi dell’anno, è previsto che i contratti a tempo determinato, conclusi per gestire questi momenti di maggiore intensità lavorativa, siano riconducibili a ragioni di stagionalità. Identiche considerazioni possono essere rivolte anche rispetto al contratto collettivo del settore Turismo. In entrambi i casi l’intervento della contrattazione collettiva prende atto delle esigenze specifiche connesse alla stagionalità del lavoro prestato. Quest’ultima prevale, con i propri tempi, sulle esigenze organizzative proprie dell’attività imprenditoriale condizionandola. La regolamentazione della prestazione di lavoro stagionale compendia questi bisogni.
Si tratta a ben vedere di esigenze di flessibilità oggettive, estranee alle determinazioni datoriali e perciò necessariamente da regolare in maniera diversa da quella che è la disciplina ordinaria. Tuttavia, i limiti posti dal legislatore alla contrattazione collettiva appaiono ben evidenti, tanto più le conseguenze in questo periodo emergenziale, con l’esclusione – per i più ingiustificata – dalle provvidenze emergenziali per un’ampia fetta di lavoratori. Effetto che pare contrastare finanche con la stessa lettera dei D.L. 18 e 34 del 2020 che, con il loro riferimento ai “lavoratori dipendenti stagionali del settore turismo e stabilimenti termali”, non paiono contemplare alcuna obbligatorietà applicativa per gli angusti ambiti del DPR n. 1525/63. Anzi, è proprio la logica emergenziale a pretendere, oltre a costituirne l’utile occasione, una ridefinizione dei confini del concetto di stagionalità, superando i formalismi e recependo in maniera quanto più diffusa possibile le estensioni che possono derivare dalla contrattazione collettiva.
È altrettanto chiaro, tuttavia, che tale urgente e necessario passaggio richiede, necessariamente, un provvedimento normativo in tal senso, o, quantomeno, un pronunciamento interpretativo/applicativo da parte del ministero del Lavoro, che riconosca tale facoltà, il cui esercizio, anche alla luce dell’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, ben può assolvere alle esigenze qui premesse e diffusamente condivise ed auspicate.
Sarebbe, dunque, auspicabile un chiarimento definitivo, con particolare riferimento alle indennità previste dall’art. 29 del D.L. 18/2020 e art. 84 comma 6 del D.L. n. 34/2020, se i dipendenti stagionali possano individuarsi anche con riferimento a quelli assunti nelle ipotesi di “stagionalità” (non di “attività stagionale”), recte “punte di stagionalità”, previste nei contratti collettivi.
Così come andrebbe chiarito che per detti lavoratori (assunti per punte di stagionalità, previste dai contratti collettivi) non si debbano applicare le causali per l’apposizione del termine di durata, esclusione ad oggi prevista per le sole attività stagionali (DPR n. 1525/63), nonché la maggiorazione contributiva (1,40%+0,50% per ogni rinnovo/proroga).
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