1.1. Datori di lavoro
Il comma 186 prevede che le disposizioni in esame trovino applicazione per i datori di lavoro del settore privato. Rientrano nell’ambito del settore privato:
– Datori di lavoro imprenditori;
– enti pubblici economici (EPE);
– società di capitali indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata del capitale;
– associazioni culturali, politiche o sindacali, associazioni di volontariato;
– studi professionali individuali o associati in qualsiasi forma giuridica costituita;
– istituti autonomi case popolari trasformati in base alle diverse leggi regionali in enti pubblici economici;
– ex IPAB trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato, in quanto prive dei requisiti per trasformarsi in ASP, ed iscritte nel registro delle persone giuridiche;
– aziende speciali costituite anche in consorzio;
– consorzi di bonifica;
– consorzi industriali;
– enti morali;
– enti ecclesiastici.
Sono invece esclusi i seguenti datori di lavoro pubblici:
– Amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, comprese le Accademie e i Conservatori statali;
– aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
– regioni, Province, Comuni, Comunità montane e loro consorzi e associazioni;
– istituzioni universitarie;
– istituti autonomi case popolari;
– camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni;
– enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali: sono da ricomprendere tutti gli enti indicati nella legge 20 marzo 1975, n. 70, gli ordini e i collegi professionali e le relative federazioni, consigli e collegi nazionali, gli enti di ricerca e sperimentazione non compresi nella legge n. 70/1975 e gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni o dalle province autonome;
– amministrazioni, aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale;
– Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);
– agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
1.2. Lavoratori beneficiari
Le nuove misure fiscali agevolate sono riservate ai lavoratori dipendenti del settore privato, titolari di contratto di lavoro subordinato, indipendentemente se a tempo determinato o indeterminato, i quali abbiano percepito nell’anno
precedente a quello di riferimento, redditi di lavoro dipendente di ammontare non superiore a 50.000 euro lordi.
Poiché la disposizione fa espresso riferimento ai “titolari di reddito di lavoro dipendente”, l’agevolazione è esclusa per i titolari di redditi di lavoro assimilato a quello di lavoro dipendente come, ad esempio, i collaboratori coordinati e continuativi.
Ai fini della verifica della soglia reddituale, cui la norma subordina l’accesso al regime sostitutivo, si deve considerare il reddito di lavoro dipendente dichiarato nell’anno precedente a quello di riferimento e soggetto a tassazione ordinaria.
Per espressa previsione della norma, il limite di 50.000 euro va considerato al lordo delle somme assoggettate nel medesimo anno all’imposta sostitutiva del 10% in esame.
Invece, nella determinazione del predetto limite devono essere esclusi eventuali redditi di lavoro dipendente assoggettati a tassazione separata o ad altra tipologia di imposta sostitutiva rispetto a quella in esame.
Il limite di 50.000 euro deve intendersi come ammontare complessivo riferito a tutti i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno precedente, anche in relazione a più rapporti di lavoro.
In caso di assenza di redditi di lavoro dipendente, si deve ritenere che il limite non sia stato superato.
Ai fini della verifica del limite di reddito di euro 50.000 non bisogna tenere conto di redditi diversi da quelli di lavoro dipendente (esempio, redditi di fabbricati, da partecipazione, redditi diversi). Il beneficio spetta anche se nel corso dell’anno interessato dalla agevolazione il lavoratore superi la soglia di 50.000 euro.
2. Somme oggetto di agevolazione
2.1. Premio di risultato
Il comma 182 individua, quali somme agevolate, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti con apposito decreto interministeriale.
L’impianto normativo, dunque, stabilisce la natura delle somme oggetto di agevolazione (“premi di risultato di ammontare variabile”) e rinvia al decreto interministeriale il compito di individuare i criteri di misurazione di tali somme.
Al riguardo è stato approvato il decreto interministeriale 25 marzo 2016, stabilendo che tali criteri “possono” consistere nell’aumento della produzione o di risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto ad un periodo congruo definito dall’accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati (art. 2, comma 2).
Il decreto interministeriale poi demanda ai contratti territoriali o aziendali la scelta di individuare in dettaglio tali criteri di misurazione in relazione alle peculiarità dei settori di appartenenza, consentendo di andare anche oltre i criteri fissati dal medesimo decreto (infatti il decreto si esprime nel senso che tali criteri “possono” consistere).
L’unico aspetto che si ritiene sia vincolante per la contrattazione collettiva di secondo livello riguarda i criteri di misurazione degli indicatori che devono essere oggettivi.
Su questo punto l’art. 2, comma 2 del decreto stabilisce che il beneficio spetta a condizione che il risultato programmato sia effettivamente raggiunto e il datore di lavoro deve darne prova attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro tipo purché oggettivamente misurabili.
Spetta dunque alla contrattazione collettiva il compito di scendere nello specifico individuando i parametri richiesti dalla norma sulla base delle peculiarità di ciascun settore o di ciascun azienda.
Resta fermo che a differenza di analoghi provvedimenti approvati in anni precedenti, la legge fa espresso riferimento a “premi di risultato” e non a “somme” erogate per incrementi di produttività.
Questa differente impostazione legislativa porta a concludere che sono escluse dal beneficio le somme negoziate come controprestazione dell’attività lavorativa e dunque compresa nel vincolo sinallagmatico del rapporto di lavoro oppure riconosciute a ristoro di un disagio.
Pertanto, ad esempio, se il contratto aziendale individuasse a fronte di una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro una specifica indennità (esempio, indennità cambio turno), essa non potrebbe essere oggetto di detassazione.
Diversamente, qualora il nuovo contratto aziendale prevedesse una specifica somma corrisposta a titolo di premio, nei casi in cui la diversa organizzazione dell’orario di lavoro portasse a specifici e riscontrati risultati, allora tale premio potrebbe essere oggetto di detassazione.
Con specifico riferimento al lavoro agile si richiama quanto disposto dall’articolo 9 del DDL lavoro autonomo e lavoro Agile (Atto Senato n. 2233) il quale prevede che “gli incentivi di carattere fiscale e contributivo riconosciuti dalla vigente normativa in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro, fermo restando l’importo complessivo delle risorse stanziate, spettano anche sulle quote di retribuzione pagate come controprestazione dell’attività in modalità di lavoro agile ivi comprese le quote di retribuzione oraria”.
Pertanto, una volta entrato in vigore il disegno di legge, esclusivamente per il lavoro agile, sono detassabili anche le somme corrisposte come controprestazione dell’attività lavorativa ma nei limiti dell’importo di 2.000 euro annui. Fino ad allora anche per l’indicatore “lavoro agile” è necessario individuare delle somme aggiuntive riconosciute a titolo di premio e legarle a parametri oggettivamente misurabili.
Particolare attenzione va posta sul passaggio contenuto nel comma 182 in cui si stabilisce che il premio deve essere di “ammontare variabile”. L’aggettivo “variabile” è riferito all’ammontare del premio e, dunque, la norma sembra suggerire il criterio con cui deve essere costruito numericamente il risultato.
In particolare, essa sembra imporre alle parti sociali la costruzione di un premio che sia graduale al risultato da ottenere. Pertanto, non sembrano essere ammessi all’agevolazione premi individuati in misura fissa legati ad un unico indicatore di risultato; ad esempio, non sembra consentita l’agevolazione qualora fosse individuato un premio di ammontare fisso (1.000 euro) al raggiungimento di un determinato risultato (fatturato 100.000 euro).
Al contrario, la norma sembrerebbe spingere, ad esempio, verso una gradualità del premio in base al raggiungimento proporzionale del risultato. Pertanto, un premio di 1.000 euro che potrà essere riconosciuto nella misura del 90%, 80% eccetera, in funzione di una scala di maggiore fatturato ottenuto.
Questa scelta legislativa sembra essere giustificata dal fatto che amplia le possibilità per i lavoratori di raggiungere il risultato e maturare il diritto al premio.
Il comma 183, inoltre, stabilisce che eventuali indicatori stabiliti dalla contrattazione collettiva riferiti alla presenza, non possono prevedere effetti penalizzanti derivanti dal periodo obbligatorio di congedo di maternità.
2.2. Partecipazione agli utili
Il comma 182 stabilisce che possono essere oggetto di detassazione anche le “le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa”.
Il decreto precisa che tale previsione deve intendersi riferita alla possibilità di riconoscere delle somme aggiuntive in relazione agli utili di bilancio previsto dall’art. 2102 del c.c.: se non diversamente stabilito la partecipazione agli utili è determinata in base agli utili netti dell’impresa e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato.
3. Coinvolgimento paritetico dei lavoratori
Il comma 189 prevede che l’importo delle somme agevolate sia incrementato a 2.500 euro per ciascun periodo di imposta, qualora i contratti collettivi individuino strumenti e modalità di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.
Il decreto interministeriale ha precisato che tale circostanza è da realizzarsi attraverso un piano che stabilisca, a titolo esemplificativo, la costituzione di gruppi di lavoro nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione e che prevedano strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie, nonché la predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti.
Non rientrano in questo ambito gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione.
4. Il contratto aziendale o territoriale
Il comma 187 stabilisce che ai fini dell’applicazione delle disposizioni in esame le somme e i valori devono essere erogati in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
È necessario, dunque, che i contratti siano stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, o dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
L’accordo è sufficiente che sia sottoscritto anche da una sola associazione sindacale e non necessariamente da una pluralità di esse (la norma richiama “da” associazioni sindacali).
Una condizione necessaria per l’operatività del beneficio fiscale è che le somme in questione siano erogate “in esecuzione” di contratti collettivi territoriali o aziendali e, dunque, con esclusione dei contratti collettivi nazionali, contratti individuali o contratti individuali plurimi.
La norma, quindi, non limita l’efficacia del beneficio al periodo successivo alla stipulazione del contratto collettivo, ma si rimette con ampia delega alle previsioni delle parti sociali (“in esecuzione”).
Pertanto, in virtù di tale rinvio normativo, si ritiene legittimo che un contratto collettivo stipulato nel corso del 2016 preveda un’efficacia retroattiva delle proprie disposizioni per tutto il 2016.
L’azienda che non ha sottoscritto un contratto aziendale o non intenda sottoscriverlo, può corrispondere premi di risultato con il prelievo fiscale agevolato, sempre che recepisca almeno i contenuti di un contratto collettivo territoriale anche se riferito ad una categoria diversa da quella di appartenenza. Il recepimento, potrà avvenire attraverso una semplice comunicazione scritta fatta ai lavoratori in cui si precisa l’adozione, per uno o più anni, dello specifico accordo territoriale. Non è necessario acquisire firma per accettazione da parte dei lavoratori, ma è sufficiente che sia presente una modalità che provi l’avvenuto recepimento dell’accordo.
Ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva è previsto il deposito del contratto collettivo entro 30 giorni dalla sottoscrizione unitamente alla dichiarazione di conformità del contratto alle disposizioni legislative. Tale dichiarazione deve essere redatta sulla base del modello allegato al decreto interministeriale. Qualora, nel corso del 2016 fossero corrisposti premi di risultato sulla base di accordi stipulati in anni precedenti (esempio, nel 2015), l’agevolazione sarebbe ammessa a condizione che siano rispettati i requisiti previsti dal decreto interministeriale e previo deposito del contratto e della relativa dichiarazione di conformità, entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale.
5. Imposta sostitutiva
Il comma 182 prevede che le somme interessate siano soggette a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10%, entro il limite di importo complessivo di 2.000 euro corrisposti in ciascun periodo di imposta: il limite di 2.000 euro deve intendersi al lordo dell’aliquota del 10%.
Con riferimento all’arco temporale di riferimento, l’importo di 2.000 euro è espressamente riferito a ciascun periodo di imposta con estensione al 12 gennaio sulla base del criterio di cassa allargato.
L’eventuale importo corrisposto in misura eccedente il predetto limite di 2.000 dovrà essere assoggettato a tassazione con l’applicazione delle aliquote ordinarie. Tale limite si ritiene debba essere riferito a ciascun lavoratore e non può essere superato in presenza di più rapporti di lavoro con diversi datori di lavoro.
5.1. Adempimenti del sostituto d’imposta
L’imposta sostitutiva è applicata direttamente dal sostituto d’imposta in via automatica se egli è lo stesso sostituto che ha rilasciato il CU nel periodo di imposta precedente a quello di riferimento, in relazione a un rapporto di lavoro
intercorso per l’intero anno.
Se il sostituto d’imposta tenuto ad applicare l’imposta sostitutiva non fosse lo stesso che ha rilasciato la certificazione unica dei redditi per l’intero anno precedente, il lavoratore deve attestare per iscritto il rispetto della condizione reddituale. Analoga procedura deve essere utilizzata nel caso in cui il lavoratore non abbia percepito alcun reddito di lavoro dipendente.
Per non applicare in via automatica l’imposta sostitutiva, il datore di lavoro deve ricevere dal proprio dipendente una comunicazione scritta.
Il dipendente può esprimere la rinuncia anche nel caso in cui non ritenga conveniente l’applicazione dell’imposta sostitutiva in ragione dell’esistenza di oneri la cui deduzione o detrazione sarebbe impedita dal meccanismo di imposizione sostitutiva.
A seguito di espressa rinuncia del lavoratore, l’intero ammontare delle somme in questione concorre alla formazione del reddito complessivo ed è assoggettato a tassazione ordinaria.
Resta fermo che in sede di dichiarazione dei redditi il dipendente è tenuto a far concorrere al reddito complessivo i redditi che, per qualsiasi motivo, siano stati eventualmente assoggettati a imposta sostitutiva in assenza dei presupposti richiesti dalla legge.
Analogamente, il contribuente utilizzerà la dichiarazione dei redditi per assoggettare gli emolumenti alla tassazione ordinaria nel caso in cui la ritenga più conveniente. Similare calcolo di convenienza potrà essere adottato anche dallo stesso sostituto di imposta concordando per iscritto con il lavoratore il comportamento migliore.
5.2. Modalità di calcolo
Il sostituto d’imposta calcola l’imposta sostitutiva dopo aver sottratto dalla retribuzione le ritenute previdenziali a carico del lavoratore.
Il sostituto, per calcolare il limite massimo di 2.000 euro sul quale applicare l’imposta sostitutiva, deve considerare gli importi erogati al dipendente al lordo dell’imposta sostitutiva ma al netto delle trattenute previdenziali a carico del lavoratore.
Il sostituto d’imposta deve indicare nel CU la parte di reddito assoggettata ad imposta sostitutiva e l’importo di imposta sostitutiva trattenuto sulle somme spettanti al dipendente, con le modalità che saranno fissate dall’Agenzia delle Entrate.
Si ritiene che, in linea con il passato, il sostituto deve altresì indicare nel CU, al fine di consentire i necessari controlli sulla corretta fruizione del beneficio, la parte di reddito, teoricamente assoggettabile ad imposizione sostitutiva, per la quale l’agevolazione non sia stata applicata in ragione della rinuncia espressa del contribuente o per altre cause.
6. Verifiche sull’imposta sostitutiva
Con riferimento all’accertamento, la riscossione, le sanzioni ed il contenzioso relativo all’imposta sostitutiva introdotta, in base al comma 185 si applicano, in quanto compatibili, le ordinarie disposizioni in materia di imposte dirette.
7. Opzione a sistemi di welfare anche mediante voucher
Il comma 184 prevede che le somme e i valori di cui al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 51 del Tuir non concorrono, nel rispetto dei limiti ivi indicati, a formare il reddito di lavoro dipendente, né sono soggetti all’imposta sostitutiva, anche nell’eventualità in cui gli stessi siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, dei premi di risultato.
Pertanto, il lavoratore che ha diritto al premio o alla quota di utili, potrà scegliere di optare a sistemi di welfare di cui all’art. 51 del Tuir, il cui rispetto dei limiti in esso indicati, assicura la completa esenzione fiscale e contributiva anche per il datore di lavoro.
A norma dell’art. 51, comma 3-bis del Tuir, l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione (voucher), in formato cartaceo o elettronico anche in modo cumulativo, riportanti un valore nominale. Il decreto interministeriale precisa, all’art. 6, che tali documenti devono essere nominativi e non possono essere monetizzati o ceduti a terzi e devono dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare.