La Corte di Cassazione con con ordinanza n. 16456 dell’1 luglio 2013 intervenendo in tema di accertamento e frode carosello ha stabilito che acquistare dei prodotti a un prezzo troppo basso è una prova per il Fisco che l’imprenditore è a conoscenza della frode carosello e, quindi, è consapevole di acquistare da una “cartiera”. Pertanto, è giusto il disconoscimento della detrazione dell’Iva portata in dichiarazione.
La vicenda ha riguardato una società contribuente a cui era stato notificato un avviso di accertamento Irpeg, Irap e Iva, per avere acquistato, a prezzi inferiori a quelli di mercato, autovetture usate, estere e nazionali, da alcune società successivamente rivelatasi delle “cartiere” (emittenti fatture per operazioni inesistenti), che non avevano assolto l’Iva e che non possedevano un’effettiva organizzazione d’impresa. Perciò, l’ufficio aveva negato la detrazione dell’imposta e i relativi costi sull’acquisto di tali automobili, in quanto aveva ritenuto l’imprenditore consapevole di aver effettuato un’operazione commerciale con una cartiera, dato il prezzo del tutto irrisorio praticato dal fornitore.
La società avverso gli atti impositivi proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accoglievano il ricorso della società.
L’Amministrazione avverso la decisione dei giudici di prime cure proponeva ricorso alla Commissione tributaria Regionale che ribaltava l’esito del giudizio e legittimava la validità della metodologia induttiva seguita, per avere accertato, su base documentale, l’acquisto e rivendita di autoveicoli a prezzi sottocosto, il mancato versamento dell’Iva da parte delle ditte interposte nei confronti dell’Erario (che rappresenta una delle principali ragioni della frode carosello) e la detrazione Iva attuata dall’interponente. Elementi tutti che conducevano univocamente alla constatazione che si era trattato di operazioni inesistenti (come risultanti dal combinato disposto dell’articolo 21, comma 7, Dpr 633/1972, con l’articolo 1, comma 1, lettera a), Dlgs 74/2000), intese a frodare l’imposta sul valore aggiunto.
La società propose ricorso alla Suprema Corte per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale per non avere, in primo luogo, il giudice d’appello escluso la consapevolezza della ricorrente di avere acquistato da cartiere, soprattutto in considerazione della propria “buona fede” nelle intervenute transazioni. Censurava, poi, la sentenza impugnata per la circostanza che l’onere di provare la fittizietà delle operazioni avrebbe dovuto essere addossata all’Amministrazione finanziaria.
Gli Ermellini ritengono non fondate le doglianze della società ricorrente confermando, in tema di buona fede, “quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, pronunce nn. 13825/2012, 9107/2012 e 867/2010) circa il fatto che, in tema di Iva, nelle cosiddette frodi carosello – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (buffers) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a costi più contenuti per praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’articolo 17 della direttiva n. 77/388/Cee, l’Iva assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile (articolo 19 del Dpr 633/1972), anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari.”
Il contribuente da parte sua nulla ha provato, nemmeno in ordine alla propria buona fede, com’era suo onere a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti (cfr Cassazione, pronunce nn. 10414 e 8132 del 2011).
È, infatti, altrettanto pacifico nella giurisprudenza della Cassazione che, qualora l’ufficio abbia fornito validi elementi per dubitare della realtà delle operazioni commerciali documentate dalle fatture esposte in detrazione Iva, spetta al contribuente dimostrane la veridicità (cfr Cassazione, pronunce nn. 15395/2008 e 9870/2011).
Nel caso concreto, non avendo escluso l’esistenza dell’organizzazione attuata allo scopo di lucrare indebite detrazioni Iva, attraverso il sistema delle frodi carosello, quale risultava dalle acquisizioni istruttorie dei processi verbali di constatazione, la Commissione tributaria del riesame non poteva ordinare all’ufficio di fornire “elementi certi di prova” della partecipazione o della consapevolezza della frode da parte della società ricorrente, per gli acquisti che questa figurava aver compiuto quale controparte di una impresa risultata priva di ogni consistenza commerciale. Spettava, invece, alla contribuente dimostrare la realtà delle operazioni fatturate, ovvero la propria buona fede esente da ogni profilo di colpa.
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