La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 290 depositata il 9 gennaio 2014 intervenendo in tema di compenso ha statuito che nei casi in cui un giornalista collabora con una redazione in maniera non saltuariamente e con articoli sporadici ma con continuità, la retribuzione deve essere proporzionata al numero mensile delle collaborazioni e, quindi, a quella del lavoratore subordinato.
La vicenda ha avuto come protagonista un giornalista che aveva sottoscritto un contratto di lavoro ai sensi dell’art. 2 del c.c.n.l.g. in qualità di collaboratore fisso. Il quale chiedeva al Tribunale di ingiungere all’agenzia di informazione il pagamento di crediti a suo avviso conseguenti durante il rapporto di lavoro con la detta società per due anni circa. Il Tribunale accoglieva la domanda emettendo il relativo decreto ingiuntivo. La società proponeva opposizione al decreto ingiuntivo eccependo la prescrizione quinquennale e nel merito di aver stipulato con la parte attorea un rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2 del c.c.n.l.g e di aver concordato con il lavoratore il compenso per 24 collaborazioni mensile oltre ad aver assunto l’impegno a retribuire le collaborazioni eccedenti le 24 mensili. Il Tribunale accoglieva l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo.
Il giornalista impugnava la decisione di revoca del Tribunale inanzi alla Corte di Appello i cui giudici accoglievano il gravame condannarono la società al pagamento di quanto dovuto. Per i giudici di appello, infatti, il compenso per il collaboratore fisso, come evincibile dal c.c.n.l.g. e dal contratto individuale, era connesso non al numero di collaborazioni intese come giornate lavorative, bensì ai “pezzi” giornalistici o articoli prodotti. Accertava infine l’insussistenza dell’eccepita prescrizione estintiva, valutati gli atti interruttivi prodotti.
La società soccombente per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema. Lamentando, in particolare, che la decisione impugnato forniva una interpretazione del termine “collaborazione” estranea alla natura del rapporto di collaborazione fissa di cui al menzionato art. 2.
Gli Ermellini ritenendo i motivi infondati rigettano il ricorso proposto. I giudici di legittimità precisano, considerando il consolidato orientamento giurisdizionale della stessa Corte, che deve ritenersi collaboratore fisso colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. Pertanto il collaboratore fisso assicura un contributo professionale ed una continuità di rapporto che lo rendono organizzabile in modo strutturale dalla Direzione, in relazione ai requisiti contrattualmente previsti della “prestazione continuativa”, della “responsabilità di un servizio” e del “vincolo di dipendenza” (ex aliis, Cass. n. 16543/04; Cass. 4797/04; Cass. n. 833/01).
Pertanto alla luce delle motivazioni della sentenza in commento nel lavoro giornalistico il compenso del collaboratore fisso deve quantificarsi tenendo conto dei parametri indicati dal contratto nazionale (all’articolo 2) e cioè: l’importanza delle materie trattate, il tipo, la qualità e quantità delle collaborazioni.
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