GIUDICE DI PACE BORGO SAN DALMAZZO – Ordinanza 10 luglio 2013
Straniero e apolide – Straniero – Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato – Sanzione dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro – Previsione introdotta da componenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica eletti a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 270/2005 che affida agli organi di partito e non alla volontà del corpo elettorale la designazione di coloro che devono essere nominati – Violazione dei principi di sovranità popolare e di uguaglianza – Lesione di diritto fondamentale della persona – Violazione dei principi di uguaglianza e diritto di voto, di suffragio universale diretto dei rappresentanti di Camera e Senato e di rappresentatività democratica – Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis. – Costituzione, artt. 1, 2, 3, 48, comma secondo, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 – Primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 3 – Elezioni
Premesso
che in data 12 gennaio 2013 la Polizia di Frontiera di Limone Piemonte (CN), ex art. 20-bis d.lgs n. 2742000, inviava alla Procura della Repubblica e/o del Tribunale di Cuneo richiesta di autorizzazione alla presentazione immediata di O. K. cittadino nigeriano senza fissa dimora, per violazione dell’art. 10-bis d.lgs n. 286/98 ( ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato);
che con provvedimento n. 253/2013 R.G.N.R GdP, la Procura della Repubblica c/o il Tribunale di Cuneo autorizzava la presentazione dell’imputato davanti a questo Giudice di Pace per l’udienza del 5 luglio 2013;
che l’imputato, sebbene ritualmente notificato, all’udienza non compariva e, per l’effetto, veniva dichiarato contumace;
che l’art. 10-bis d.lgs 286/98 è stato introdotto dall’art. 1 c. 16 lett. a) della L. n. 94/2009;
che il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, oggetto della cognizione nel presente procedimento, è stato introdotto con deliberazione da parte dei componenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, eletti a seguito dell’entrata in vigore della L. 270/2005 che affida agli organi di partito e non alla volontà del corpo elettorale, la designazione di coloro che devono essere nominati;
che la richiamata circostanza appare comportare una modificazione della realtà giuridica dettata dalla Costituzione della Repubblica che priva i cittadini elettori di esercitare il diritto di voto in modo pieno e diretto in sintonia coi valori costituzionali;
che il modello di democrazia che in tal modo viene ad in instaurarsi appare, per dirla con un autorevole analista politico, una «democrazia senza popolo» che, in radice, priverebbe il Parlamento di quella necessaria legalità costituzionale che legittima l’adozione di norme imperative;
che a tale deficit di legalità appare aggiungersi un più grave deficit di legittimità
Osserva
1. I termini e i motivi delle questioni di legittimità costituzionale sollevate – Le norme oggetto della questione.
1 a – L’espressione del voto.
L’espressione del voto mediante il quale si manifesta la volontà popolare (art. 1 c. 2 Cost.) costituisce l’oggetto di un diritto inviolabile (artt. 2, 48, 56 e 58 Cost., art. 3 Prot. 1 CEDU) e permanente dei cittadini che devono poterlo esercitare in modo conforme alla Costituzione.
A ben vedere infatti, come già osservato da autorevole dottrina, la dichiarazione dì appartenenza della sovranità al popolo non è che la conseguenza della forma democratica dello Stato e vuole significare che l’esercizio del potere è attribuito al popolo in modo inalienabile, sicché questo non ne possa mai essere spogliato e lo Stato – apparato ne costituisce solo uno strumento della volontà popolare.
Le forme di esercizio della sovranità popolare, di cui parla il 2 comma dell’art. 1 Cost., si collega cioè alle disposizioni costituzionali secondo le quali è il popolo che elegge i componenti del Parlamento (artt. 56 e 58 Cost), si pronuncia sui referendum (artt. 75-138 Cost.) e partecipa alla giustizia (art. 102 c. 3 Cost.) e, di conseguenza, i limiti posti al suo esercizio non possono giungere a rendere solo apparente il conferimento allo stesso popolo della titolarità del sommo potere.
A tanto deve, peraltro, aggiungersi, come osservato dalla dottrina, che dovendosi conglobare nella base popolare l’assetto autoritario, attribuendo al popolo una personalità giuridica che assorbe quella dello Stato, si viene a realizzare una assoluta identificazione degli interessi rispettivi e tanto anche sul rilievo che, pur considerando il popolo soggetto distinto dallo Stato-apparato, quest’ultimo viene ad apparire mero esercente di poteri non già propri, ma popolari.
Si osserva, poi, che principio fondamentale del nostro ordinamento sia quello democratico, come risulta dal precetto costituzionale (art. 1 c. 2 Cost.) che trova la sua fonte, la sua giustificazione e la ragione della sua legittimità nella sovranità popolare, nel senso che le deliberazioni rivolte a decidere i problemi della vita collettiva, debbono essere voluti direttamente dal popolo.
La rappresentanza politica è dunque il mezzo fondamentale adottato dalla nostra Costituzione ai fini dell’instaurazione e del funzionamento del sistema costituzionale.
Se il popolo, data la massa dei suoi componenti, non può governarsi da sé, necessariamente deve governarsi attraverso degli organi e, a tal fine, occorre che questi ultimi siano tali da rappresentarlo e il Parlamento è l’organo che attua tale principio.
Sicché solo allorché i suoi membri vengono eletti il suo potere trova la fonte della propria legittimità in una investitura popolare.
Infatti, a ben vedere, «la giustizia» che si attua nello Stato non è soltanto una giustizia in senso particolare o formale (distributiva e correttiva) ma una giustizia in senso generale e sostanziale e cioè «un bene» che si raggiunge non solo attraverso le leggi ma nella Costituzione che, in tal modo, viene ad essere una maniera di vita.
Nelle parole di una massima famosa la norma che si rivolge a tutti deve essere accettata da tutti «quod omnes tangit ab omnibus approbetur».
E’ questo il germe della democrazia e dei due istituti che assumeranno grande importanza nello stato moderno: l’istituto della rappresentanza e quello della divisione dei poteri, prerogative della sovranità nello Stato moderno volta a distinguerlo da ogni altra forma di associazione umana in un rapporto impersonale di sudditanza secondo un processo che, con R., giungerà al traguardo finale con l’identificazione della sovranità con la dottrina della sovranità popolare.
Lo Stato viene così sentito come l’espressione di un vincolo coesivo preesistente alla stessa organizzazione giuridica del potere.
Vincolo dettato dal diritto di chiedere le credenziali al potere e dalla capacità di conferirgli, mediante il consenso, il crisma dell’autorità.
Crisma che nella sua formulazione più semplice si riallaccia a quel «principio democratico» che, come già aveva visto Aristotele, presuppone l’uguaglianza come fondamento del rapporto politico che assegna al cittadino la funzione di colui che partecipa all’esercizio del potere, stella polare di quella democrazia intesa come reciprocità nel governare e nell’essere governati e cioè come possibilità di determinare la propria sorte partecipando al comando e dando leggi a se stessi.
Tanto nell’ambito di un’associazione che, come diceva R., difenda e protegga, con tutta la forza comune, la persona e i beni di ogni associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a se stesso rinunciando sì alla sua libertà naturale ma per trovare la sua vera libertà, quella positiva, che consiste nell’ubbidienza alle sue leggi e in una prospettiva , come diceva Kant, non già di sacrificio ma di conquista della libertà in senso positivo che, infatti, altro non è che autogoverno che non si può attuare se non quando il potere che comanda e quello stesso di chi obbedisce.
Solo in quanto partecipi i sudditi diventano «cittadini» nell’ambito di quella condizione che costituisce l’artifizio e la regola di quel meccanismo politico che rende legittimi i vincoli civili, che, altrimenti, sarebbero assurdi, tirannici e suscettibili dei più enormi abusi.
Al tal riguardo si osserva che l’art. 54 della nostra Costituzione impone il dovere, primario e fondamentale, dell’ubbidienza alle leggi.
A questo punto sorge una domanda che è stata oggetto di famose controversie tra filosofi e giuristi: anche le leggi ingiuste debbono essere osservate?
Al riguardo sono state date molte risposte riassumibili in quattro tesi:
1) le leggi debbono essere obbedite perché non possono essere ingiuste; 2) le leggi debbono essere ubbidite anche se ingiuste per evitare l’anarchia; 3) le leggi ingiuste possono essere disubbidite, ma si deve accettare le conseguenze della disubbidienza;
4) è lecito resistere alle leggi ingiuste (teoria della resistenza) che ha trovato la sua enunciazione nell’art. 2 della Dichiarazione dell’89 che pone, accanto ai diritti naturali dell’uomo, il diritto di resistenza all’oppressione poi ripetuta e rafforzata nell’art. 29 della Dichiarazione del ’93 secondo la quale là dove ogni mezzo legale per resistere all’oppressione vien meno «l’insurrezione è il più santo dei doveri».
Come tutte le Costituzioni democratiche anche la nostra non riconosce il diritto di resistenza all’oppressione e tanto per ragioni che sono intrinseche alla struttura dello Stato democratico in quanto lo Stato democratico è, per definizione, fondato sulla partecipazione attiva dei cittadini all’esercizio del potere politico che, con l’espressione del voto, esprimono un comando a se stessi e non già nella richiamata prospettiva di sacrificio, ma di conquista della libertà.
Le condizioni per il raggiungimento della libertà positiva di dare leggi a se stessi è, dunque, come bene aveva notato Bobbio, il raggiungimento di una situazione di libertà come non – impedimento che permetta agli uomini di liberamente scegliere i loro capi convalidando, con il proprio consenso, il loro potere di dare delle leggi che, sul piano dei fatti, altro non sono che dei prodotti sociali che corrispondono a delle semplici proposizioni circa l’uso della forza da parte dello Stato.
Il segno prescrittivo apposto alle leggi è un segno importante perché «l’obbligatorietà della legge» non consiste nella capacità di imporsi con la forza, ma nella capacità di essere accolta e osservata come facente parte di un insieme di norme che devono essere obbedite non soltanto propter iram ma propter coseientiam.
Le leggi, come noto, non sono giuste perché giuste ma sono giuste perché sono leggi e cioè perché sono un comando che il corpo elettorale rivolge a se stesso, in quanto, come chiarito, la libertà positiva altro non è che autogoverno chè non può attuarsi se non quando il potere che comanda è quello stesso che obbedisce.
1 b – La legge elettorale n. 270/2005
La legge elettorale n. 270/2005 non permette al cittadino di esprimere la preferenza per i singoli candidati ma lascia, allo stesso, la sola possibilità di ratificare la scelta dei candidati già decisa dai partiti attraverso un gioco di procedure nella formazione delle liste elettorali determinando, in tal modo, unilateralmente la scelta dei candidati che, pertanto, vengono ad assumere la qualifica e il ruolo di nominati e non già di eletti.
Nominati, che in omaggio al principio della rappresentanza politica, dovrebbero rappresentare la base elettorale ma che, invece, vengono a perdere ogni forma di collegamento con gli elettori finendo di legarsi alle segreterie, rompendo la sacralità dell’istituto della rappresentanza politica dell’elettore così come, invece, voluto dalla Costituzione.
Con la legge elettorale n. 270/2005 è stata abolita qualsiasi possibilità di esprimere una preferenza in quanto i nomi non compaiono neppure sulla scheda e, per conoscerli, l’elettore è costretto a svolgere delle ricerche.
Se l’elettore può votare solo il simbolo di una lista bloccata, l’elezione sarà determinata esclusivamente dall’ordine della lista stabilita dal partito all’atto della presentazione e sarà tale ordine e non il voto espresso dal cittadino, come vuole la Costituzione, a determinarne o meno l’elezione.
1 c – L’esercizio del voto
Il secondo comma dell’art. 48 Cost. enuncia le garanzie per l’esercizio democratico del voto individuandole nei principi di personalità, uguaglianza, libertà e segretezza.
Solo il geloso rispetto di tali garanzie consente al corpo elettorale di riconoscere una effettiva legittimazione politica agli eletti e, conseguentemente, la validità alle loro decisioni.
La Carta costituzionale prevede poi il voto diretto escludendo, in tal modo, chiaramente il voto indiretto in qualsiasi forma congegnato.
Il suffragio diretto sta ad indicare che la preposizione all’ufficio dei componenti della Camera e del Senato deve avvenire direttamente ad opera degli elettori.
In buona sostanza, mediante l’adozione del suffragio universale e diretto, la Costituzione agli artt. 56 e 58 ha voluto concretamente attuare il principio della sovranità popolare collegando la rappresentatività dei deputati e senatori in via immediata sia al corpo elettorale, del quale sono espressione, sia al contenuto dell’art. 67 Cost., a norma del quale, ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione.
A tale conclusione appare pervenire la Corte cost. nella decisione n. 468/1981 quando fa riferimento alla natura rappresentativa delle assemblee, alla loro diretta investitura popolare e alla loro responsabilità verso la comunità politica che ne ha eletto i componenti.
E tanto nell’ambito di quell’idea della rappresentanza intesa come rappresentatività, come specchio dei rappresentati, in cui ciò che rileva è che il rappresentante è considerato rappresentativo solo perché è l’espressione della società.
Se è vero che la Costituzione ha legato insieme, come perle di una collana, le qualità che sorreggono la democrazia parlamentare e le ragioni che legittimano e convalidano il potere del Parlamento di dare leggi, per l’effetto, sorge il dubbio che il voto che non consenta all’elettore di esprimere una preferenza, potendo solo scegliere una lista di partito, possa considerarsi diretto e compatibile con la Carta costituzionale il cui solo rispetto può legittimare il Parlamento a dare leggi prescrittine,
1 d – Del sistema dei partiti
La Costituzione non riconosce ai partiti un ruolo nella presentazione delle candidature e più in generale un ruolo nella selezione del personale politico. Al riguardo si osserva che tanto la scelta effettiva dei candidati che il loro ordine di elencazione sia un fatto interno proprio delle organizzazioni promotrici, estraneo, pertanto, al contenuto e allo svolgimento sostanziale delle elezioni (Corte cost. n. 203/1975) e ciò trova conferma in Corte cost. ord. n. 79/2006 dove, con nettezza, si chiarisce che la funzione attribuita ai partiti politici dalla legge ordinaria ai fini di eleggere le assemblee – quali la presentazione di alternative elettorali e la selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche – non consente di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali.
Pur riconoscendo la funzione privilegiata dei partiti, quale strumento attraverso i quali realizzare uno stabile rapporto tra sovranità popolare e istituzioni, la Costituzione li ha ancorati alla dimensione del diritto di libertà e non già alla dimensione istituzionale, non identificandoli né con le istituzioni rappresentative né con il corpo elettorale limitandosi a considerarli come mezzo per la partecipazione del singolo alla vita pubblica non riconoscendo agli stessi un monopolio nella presentazione delle candidature.
La circostanza appare peraltro desumibile anche dalla loro collocazione nel titolo dedicato ai rapporti politici e non nella seconda parte relativa all’ordinamento della Repubblica.
Se il partito si afferma progressivamente come il «moderno principe» (l’espressione è di Gramsci), tuttavia ciò non può indurre a ritenere che vi sia stato un definitivo trapasso della sovranità dal corpo elettorale al partito.
E tanto sia perché il termine «Nazione», usato dall’art. 67, sta per popolo, sia perché è lo stesso art. 67 che vuole sia mantenuto un permanente collegamento tra rappresentante e rappresentato, tra popolo e parlamento, sia perché la rappresentatività di un sistema è resa effettiva solo se libere elezioni consentono al popolo di giudicare l’opera degli eletti.
1 e – Del suffragio universale
Gli artt. 56 e 58 stabiliscono che il suffragio è universale e diretto per l’elezione dei deputati e senatori, l’art. 48 stabilisce che il voto è personale ed uguale, libero e segreto e l’art. 3 Prot. 1 CEDU riconosce la libera espressione dell’opinione del popolo nella scelta del corpo legislativo e, per l’effetto, risulta dubbio che la scelta del legislatore effettuata con la legge n. 207/2005 costituisca una scelta ragionevole e compatibile con il dettato costituzionale.
Non solo, ma risultando, con la legge elettorale n. 207/2005, l’espressione di voto ridotta ad una ratifica di scelte rimesse alla decisione del sistema partito e non già alla volontà del cittadino/corpo elettorale, corre l’ulteriore dubbio che, ciò stante, l’opzione seguita dal legislatore del 2005 non costituisca il risultato di un bilanciamento ragionevole e costituzionalmente orientato ma una disposizione meglio correlata alla cosiddetta democrazia «octroyee» e cioè senza popolo in cui si nega la libera volontà espressa dalla sovranità popolare. Risultando dunque l’elezione dei membri del Parlamento non già una conseguenza diretta dell’espressione di voto ma una scelta delle segreterie dei partiti, sorge il fondato dubbio che il Parlamento risulti carente di legalità costituzionale alla quale si aggiunge un ulteriore dubbio sul deficit di legittimità dello stesso.
Pertanto se le leggi altro non sono che un comando da osservare obbligatoriamente perché rivolto a se stessi, è dubbio che la legge oggetto della cognizione sottoposta all’esame di questo giudicante, varata da un parlamento di cui risulta dubbia la legalità/legittimità costituzionale della sua investitura, possa ritenersi prescrittiva.
2 – Conclusioni
Questo giudicante dubita della legittimità costituzionale del sistema individuato dalla legge n. 270/2005 sia sotto il profilo giuridico che con riferimento ai valori fondamentali e la circostanza fa ritenere rilevante e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate d’ufficio poiché incidenti:
l’una sulle modalità di esercizio della sovranità popolare (artt. 1 comma 2, 67 Cost.) avente ad oggetto:
a) gli artt. 4 comma 2 e 59 comma 1 del D.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, sul voto di preferenza per la Camera, in relazione agli artt. 3, 48 comma 2, 49, 56 comma 1 Cost., anche a mente dell’art. 3 Prot. 1 CEDU;
b) l’art. 14 comma 1 del d.lgs n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, sul voto di preferenza per il Senato, in relazione agli artt. 3, 48 comma 2, 49, 58 comma 1, anche a mente dell’art. 3 Prot. 1 CEDU ;
e l’altra sulle modalità di conferimento della legalità/legittimità costituzionale al Parlamento avente ad oggetto:
a) la carenza di legalità costituzionale dell’investitura del Parlamento e, per l’effetto, la carenza in capo allo stesso del potere legittimo di varare leggi prescrittive e vincolanti a mente e nel rispetto degli artt. 1 comma 2, 3, 48 comma 2, 49, 56 comma 1, 58 comma 1, 67 Cost. anche in riferimento all’art. 3 Prot. 1 CEDU ;
b) la carenza di legalità costituzionale dell’art. 10-bis d.lgs 25 luglio 1998 n. 286 così come introdotto dall’art. 1 comma 16 lett. a) della legge 15 luglio 2009 n. 94, in relazione agli artt. l comma 2, 3, 48 comma 2, 49, 56 comma 1, 58 comma 1, 67 Cost., anche a mente dell’art. 3 Prot. 1 CEDU. Le questioni di costituzionalità sopra enunciate appaiono a questo giudice serie, non manifestamente infondate e rilevanti perché, se accolte, comporterebbero l’assoluzione del prevenuto per cui il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla soluzione delle sollevate questioni.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondate, in relazione agli artt. 1 comma 2, 3, 48 comma 2, 49, 56 comma 1, 58 comma 1, 67 della Costituzione, anche a mente dell’art. 3 Prot. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 comma 2, 59 comma 1 e 83 comma 1 n. 5 e 2 del DPR n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; 14 comma 1 e 17 commi 2 e 4 del d.lgs n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, nonché la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis d.lgs 25 luglio 1998 n. 286 , cosi come introdotto dall’art. 1 comma 16 lett. a) della legge 15 luglio 2009 n. 94, con riferimento agli artt. 1 comma 2, 3, 48 comma 2, 49, 56 comma 1, 58 comma 1, 67 della Costituzione, anche a mente dell’art. 3 Prot. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, alle parti e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. del 23 ottobre 2013, n. 43
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- MINISTERO GIUSTIZIA - Decreto ministeriale 25 maggio 2020 - Avvio delle comunicazioni e notificazioni di cancelleria per via telematica nel settore civile presso l'Ufficio del giudice di pace di Capaccio, presso l'Ufficio del giudice di pace di Eboli,…
- CONSIGLIO DEI MINISTRI - Delibera 21 dicembre 2019 - Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza dell'evento sismico che ha colpito il giorno 9 dicembre 2019 il territorio dei Comuni di Barberino di Mugello, di Borgo San Lorenzo, di Dicomano,…
- MINISTERO GIUSTIZIA - Decreto ministeriale 13 maggio 2020 - Avvio delle comunicazioni e notificazioni di cancelleria per via telematica nel settore civile presso l'Ufficio del giudice di pace di Chioggia, l'Ufficio del giudice di pace di Dolo e…
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Ordinanza 16 gennaio 2020, n. 627 - Disposizioni urgenti di protezione civile in conseguenza dell'evento sismico che ha colpito il giorno 9 dicembre 2019 il territorio dei Comuni di Barberino di Mugello, di Borgo…
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Ordinanza 06 aprile 2020, n. 661 - Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile in conseguenza dell'evento sismico che ha colpito il giorno 9 dicembre 2019 il territorio dei Comuni di Barberino di Mugello,…
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Ordinanza 16 marzo 2021, n. 750 - Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile in conseguenza dell'evento sismico che ha colpito il giorno 9 dicembre 2019 il territorio dei Comuni di Barberino di Mugello,…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…
- L’inerenza dei costi va intesa in termini qu
L’inerenza dei costi va intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità,…