GIUDICE DI PACE DI MACERATA – Ordinanza 05 dicembre 2017
Reati e pene – Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria – Esclusione dei reati di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 – Decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), art. 1, comma 4
Si osserva in diritto
1) preliminarmente si evidenzia che la natura del fatto in esame, laddove si ritenesse la validità della sussistenza di aspetti di incostituzionalità, dovrebbe vedere l’imputato assolto dal reato contestato.
Si ritiene il requisito della rilevanza quale perno su cui si fonda la incidentalità, ovvero la sussistenza del nesso di pregiudizialità tra il giudizio davanti alla Corte e quello dinanzi al giudice remittente, apparendo il tasso di concretezza del controllo di costituzionalità, utile in funzione della soluzione della controversia pendente.
Tenuto conto della giurisprudenza costituzionale e del suo rigore, si ritiene che la rilevanza dipenda non già dalla mera eventualità, ma dalla necessità che la norma riceva applicazione da parte del giudice remittente.
La rilevanza appare concreta e non meramente eventuale: questo giudice, allo stato degli atti, avendo necessità di applicare la legge denunziata, per la ratio decidendi, si pone l’interrogativo volto anche a prevenire decisioni dubbie sotto il profilo costituzionale, pur considerato il controllo di – non implausibilità – e di completezza delle ragioni poste a sostegno e di seguito argomentate.
Ciò appare in re ipsa di particolare rilevanza per le ragioni accennate.
Le problematiche complessive che ineriscono alla materia della immigrazione vedono, il remittente, ritenere in ordine all’art. 10-bis in relazione all’art. 76 della Costituzione il problema di un eccesso di delega, non commissivo ma omissivo: appare non manifestamente infondato, dunque, immaginare una illegittimità costituzionale del decreto legislativo per contrasto con art. 76 Cost., nella parte in cui non ha proceduto all’abolizione del reato ex 10-bis ( (1) .) che si sottopone all’illuminato vaglio del Giudice ad quem ( (2) ).
Appare opportuno evidenziare che nel passaggio dalla delega al decreto delegato, il criterio della deflazione si rivolge a fattispecie di reato che hanno una certa ricorrenza nei repertori giurisprudenziali, pur non mancando connotazioni di carattere in senso «politico». A questa logica pare ispirarsi l’inclusione da parte del legislatore delegante tra le ipotesi da depenalizzare dell’art. 10-bis del testo unico sull’immigrazione, il passaggio ha però ridimensionato il criterio accennato, infatti non è stata esercitata la delega in relazione al reato d’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui al menzionato art. 10-bis.
Sono note le vicende dell’art. 10-bis: una norma che, pur essendo stata «salvata» dalla Corte costituzionale ( (3) ), ha coagulato attorno a sé una davvero impressionante unanimità di vedute circa l’opportunità della sua abrogazione. Da qualunque angolo di osservazione ci si ponga, la norma in questione presenta elementi di criticità tali da giustificarne l’eliminazione: sia che si rimarchi la sua natura di fattispecie espressiva di un approccio alla penalizzazione più orientata all’autore che al fatto, sia che si valorizzi la sua componente simbolica a detrimento peraltro dell’effettività del sistema cosi congegnato, il punto d’approdo è comune nel senso dell’opportunità dell’eliminazione del reato ( (4) ). Significative in questo senso, del resto, sono state le prese di posizione di autorevoli esponenti della magistratura ( (5) ) – che proprio in prossimità dell’emanazione del decreto legislativo hanno ribadito con forza l’illogicità della permanenza di una siffatta figura criminosa -, nonché il fatto che una delle condizioni apposte dalla Commissione Giustizia della Camera all’atto del parere sullo schema di decreto era stata quella di procedere alla depenalizzazione altresì dell’art. 10-bis. Hanno invece alla fine prevalso ragioni politiche, legate alla funzione simbolica dei diritto penale, utile placebo di fronte alle inquietudini dell’opinione pubblica rispetto al fenomeno dell’immigrazione ( (6) ), che hanno indotto il Governo a escludere dall’intervento di depenalizzazione il testo unico in materia.
A supporto appare utile considerare anche circostanze considerate dalla dottrina (prof. A.G.), infatti, il catalogo delle materie escluse, che si è andato arricchendo nel corso dei lavori parlamentari, nel d.d.l. di iniziativa dei Senatori P. e C. (A.S. n. 110) del 15 marzo 2013, poi confluito nel Testo unificato (A.S. n. 925) predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato il 9 ottobre 2013 e che rappresenta per quanto attiene a questi profili l’antenato della legge n. 67/2014, si faceva menzione solo di edilizia e urbanistica, ambiente territorio e paesaggio, alimenti e bevande, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sicurezza pubblica, comparendo però poi, a differenza del testo della delega poi approvata, l’immigrazione. Nel testo unificato proposto dalla Commissione Giustizia del Senato sopra citato si elimina il riferimento all’immigrazione, inserendosi però al contempo un principio di delega specifico in relazione all’art. 10-bis Tulmm (decreto legislativo n. 286/1998), mentre si aggiungono tra le materie sottratte alla depenalizzazione giochi d’azzardo e scommesse, armi e esplosivi, elezioni e finanziamento ai partiti, proprietà intellettuale e industriale, e sarà questo l’assetto di disciplina che permarrà nella legge delega.
La ragione alla base di tale scelta è espressa dal d.d.l. n. 110 prima richiamato in questi termini: «dalla nuova classificazione come illeciti amministrativi sono escluse quelle materie che attengono a beni che si riflettono direttamente sulla vita dei cittadini e che, pertanto, meritano di essere tuttora protetti con il sistema penale».
La seguente affermazione, pur nella non felicissima formulazione, sembrerebbe segnalare la particolare rilevanza dei beni in questione, la cui meritevolezza di pena sconsiglia di correre i rischi connessi alla clausola «cieca»: si tratta peraltro di beni collettivi, rispetto ai quali si è ritenuto opportuno mantenere un presidio penale. Anche in questo caso la tecnica è sperimentata: tanto nella depenalizzazione del 1975 quanto in quella, più ampia, del 1981 si ricorre a tale criterio di esclusione. Pure nel progetto F. ci si imbatte in siffatta scelta con però importanti correttivi.
Per un verso, ci si fa carico dell’esigenza di individuare anche nei settori esclusi le ipotesi che sono ritenute tali da essere degradate in illecito amministrativo; per altro verso, si escludono dalla depenalizzazione i «reati previsti dai decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie» indicati poi in apposito elenco, oltre che prendere posizione espressa sulla sorte delle fattispecie codicistiche . Si tratta naturalmente di soluzione, in particolare cosi come elaborata dalla legge n. 67/2014, ad alto tasso di problematicità: la particolare latitudine semantica di talune materie, in una, con la mancata opera di specificazione dei suoi contenuti «normativi».
Accenni in questo senso sembrano rinvenirsi anche nella relazione di accompagnamento al progetto F., cit., V. le analoghe considerazioni di F. B., la depenalizzazione a proposito della corrispondente esclusione di cui all’art. 34 della legge n. 689/1981.
In relazione al presente intervento di depenalizzazione v. A. G., la depenalizzazione del progetto; le deleghe sostanziali , cit., con particolare riguardo agli Studi Commento ai decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016. (A. Gullo www.lalegislazionepenale.eu 2229.7.2016)
Le tesi evidenziano come ciò avrebbe comportato il rischio di un tasso di discrezionalità davvero elevato in sede di applicazione. Il risultato sarebbe stato quello di una oggettiva difficoltà da parte dei consociati di conoscere preventivamente quali figure di reato fossero da ritenersi oggetto di trasformazione in illecito amministrativo. Il legislatore delegato ha opportunamente proceduto, in linea con le indicazioni emerse dai lavori della Commissione Palazzo, a individuare, in seno alle singole materie, i corpi normativi e, in taluni casi, le sole disposizioni all’interno degli stessi (allorché essi presentassero contenuti eterogenei), escluse dalla depenalizzazione, Da qui gli allegati all’art. 1 che rappresentano una preziosa guida per l’interprete, ove peraltro si specifica che i riferimenti agli atti normativi si intendono estesi agli eventuali, successivi provvedimenti di modifica o di integrazione. Si tratta dunque di scelta da condividere. E’ stato subito posto il problema della sorte da riservare a eventuali disposizioni non incluse nell’elenco ma potenzialmente rientranti, in quanto ritenute omogenee, nella materia di volta in volta in questione: se cioè esse debbano o meno essere parimenti escluse dalla depenalizzazione. Sembra tuttavia che la soluzione debba essere negativa, dovendosi limitare l’esclusione ai soli casi espressamente contemplati. Un’ultima notazione riguarda la previsione di cui al comma 4 dell’art. 1 decreto legislativo n. 8/2016 che recita: «la disposizione dei comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286». Si tornerà a breve sull’art. 10-bis; ma qui l’aspetto di interesse è che il legislatore ha in sostanza recuperato l’immigrazione tra le materie escluse dalla depenalizzazione nella misura in cui ha richiamato l’intero testo unico in materia. E ciò nonostante i lavori parlamentari dimostrino chiaramente la volontà del legislatore delegante di espungere tale materia tra quelle escluse dal processo di depenalizzazione.
Può essere utile a questo riguardo sintetizzare il percorso parlamentare sul punto. Come si è anticipato, l’originario d.d.l. (A .S. n. 110) includeva l’immigrazione tra le materie sottratte alla depenalizzazione. Nel testo unificato predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato fu eliminato il riferimento all’immigrazione e si introdusse un principio di delega specifico in merito all’abrogazione dell’art. 10-bis dei testo unico immigrazione. Tale principio risultava coerente con l’impianto complessivo della delega: a fronte di fatti della trasformazione del c.d. reato di immigrazione clandestina in illecito amministrativo che sarebbe discesa dall’applicazione del criterio generale di depenalizzazione, l’indicazione al Governo era quella di procedere più radicalmente all’abrogazione della fattispecie in questione. E’ in sede di esame del testo da parte dell’Aula del Senato che si modificò la disposizione di cui si tratta, richiedendosi la trasformazione del reato di cui all’art. 10-bis in illecito amministrativo – esito comunque assicurato dall’operatività della depenalizzazione «cieca» -, ma precisandosi – ed è questa la vera novità – che dovesse essere conservato «rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati tendenziale onnicomprensività del concetto di sicurezza pubblica. Più di recente sottolinea questo aspetto A. S., La depenalizzazione nella società di massa tra logica liberale e logica economica, in RTrimDPenEc 2015, 561.53. La questione è posta dalla relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, cit., 3.Studi Commento ai decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016 A. G. www.lalegislazionepenale.eu 2329.7.2016 in materia». Se si guarda al testo unico immigrazione le ipotesi di reato che vengono in rilievo sono la «violazione delle misure imposte dal questore» (art. 13 comma 5.2) e «la violazione dell’ordine del questore di lasciare lo Stato» (art. 14 comma 5-ter), punite con la pena pecuniaria e come tali «intercettatili», in assenza di una previsione ad hoc, dalla clausola generale di depenalizzazione. Sarà alla fine questo il contenuto definitivo della delega cristallizzato nell’art. 2 comma 3 lettera b), legge n. 67/2014.
L’esito cui si è giunti con il decreto legislativo n. 8/2016 sembra allora porsi in contrasto con la delega.
Il principio di delega infatti si limitava in qualche modo a ribadire, per quanto riguarda l’art. 10-bis, un effetto discendente direttamente, come poco sopra evidenziato, dall’applicazione della clausola generale, mentre indicava al Governo di sottrarre alla depenalizzazione le due figure avanti menzionate.
Né sembra potersi sostenere, alla luce dei lavori parlamentari, la riconducibilità delle ipotesi de quibus alla materia «sicurezza pubblica»: è chiaro sul punto il d.d.l. n. 110, dove l’immigrazione figurava (autonomamente) accanto alla «sicurezza pubblica» tra le materie escluse, e lo è altrettanto lo stesso decreto legislativo n. 8/2016 qui in considerazione, che contempla, appositamente e distintamente dalla sicurezza pubblica, il testo unico immigrazione. Stando così le cose, il Governo avrebbe potuto/dovuto percorrere la strada di dare attuazione parziale al principio di delega in questione – eccettuando pertanto dalla depenalizzazione «cieca» gli articoli 13 comma 5.2 e 14 comma 5-ter dei testo unico immigrazione. In tale eventualità l’art. 10-bis sarebbe stato comunque interessato dal criterio formale di depenalizzazione in forza del quale si prevede la trasformazione in illecito amministrativo di tutti i reati puniti con multa o ammenda, ad esclusione delle materie indicate nella delega (tra cui non figurava, come detto, l’immigrazione). A ben vedere, il c.d. reato di immigrazione clandestina avrebbe potuto non essere trasformato in illecito amministrativo solo laddove non fosse stato attuato il criterio generale di delega appena richiamato. Ciò che non poteva tuttavia fare il Governo era reintrodurre l’immigrazione tout court tra le materie escluse dal parametro formale di depenalizzazione, con ciò andando contro la delega. Il decreto legislativo sembra pertanto esporsi sotto questo profilo a una censura di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 76 Cost.
Ciò posto si chiede alla Ecc.ma Corte adita di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 4 decreto legislativo n. 8/2016, che sottrae alla depenalizzazione i reati di cui al decreto legislativo n. 286/1998 (Tulmm), per contrasto con l’art.2, 2 comma 3 lettera b), sin qui esaminato; disposizione che richiedeva esclusivamente al Governo di abrogare l’art. 10-bis , trasformandolo in illecito amministrativo, e di conservare rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia. V. Depenalizzazione, Schede di lettura. Atto dei Governo n. 245 (novembre 2015), 11.55 V.Dossier Senato n. 83, cit., 76. Questo è il disposto dell’art, 2 comma 3 lettera b legge n. 67/2014: «abrogare,trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’art. 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia».
In considerazione di quanto precede, il Giudice di pace di Macerata in persona del Giudice A.R.M.,
(1) Le commissioni parlamentari, nei pareri ai decreti, avevano espresso contrarietà rispetto alla scelta del Governo di non abrogare il 10-bis, e contestualmente avevano reputato che una eventuale scelta del Governo in questo senso non avrebbe compromesso la validità del provvedimento nella sua generalità
(2) In questo modo non si viola comunque la prescrizione della legge (che chiede non di abrogare, ma di trasformare in illecito amministrativo) poiché ingresso e soggiorno sono già illeciti amministrativi, puniti con l’espulsione.
(3) Il riferimento è alla nota sentenza n. 250 del 2010 con cui sono state respinte le numerose questioni di legittimità costituzionale che hanno investito la previsione in questione.
(4) Su questi profili, nonché per un compiuto quadro dottrinale e giurisprudenziale sul punto v. L.Masera, sub art 10-bis decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, in Codice penale commentato, diretto da E. D. e G.L. G., Milano 2015, 2639 ss. Per un approccio in parte critico a tale impostazione A. S., La depenalizzazione, 567 s. ad avviso del quale «il reato di immigrazione clandestina merita semmai l’abrogazione per ragioni pragmatiche legate all’impossibilità di gestire norme che «producono» criminalità di massa, tanto più quando la sanzione amministrativa dell’espulsione del clandestino può rinsaldare da sé la tenuta del confine nazionale.
(5) Riferimenti in A. G., La depenalizzazione, 585, nt 47.
(6) «…per tali materie, in assenza di un intervento sistematico di più ampio respiro, lo strumento repressivo penale appare, invero, indispensabile ai fini della composizione del conflitto innescato dalla commissione dell’illecito»: queste le parole della relazione al decreto dirette a “giustificare” il mancato esercizio della delega (v. Relazione al decreto legislativo n. 8/2016, 5).
P.Q.M.
Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante, per la decisione del presente giudizio, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139, comma 1, 3, 6 per violazione degli artt. 2, 3, 24 32, 76, 117 della Costituzione nei termini e per le ragioni di cui in motivazione;
Dispone la sospensione del procedimento in corso;
Ordina la notificazione della presente ordinanza ai procuratori delle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato;
Ordina la trasmissione dell’ordinanza alla Corte costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte.