FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 23 settembre 2020
GLI INDICI “RIVELATORI” DELLO SFRUTTAMENTO DEL LAVORATORE NELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ
La Corte di Cassazione, chiamata a decidere su ricorsi presentati in materia di misure cautelari personali o reali (sequestri preventivi) (NOTA 1), ha, nelle varie sentenze, evidenziato gli elementi che ha reputato quali “rivelatori” dello sfruttamento. In particolare, tale operazione interpretativa è stata compiuta nel momento in cui i giudici di legittimità hanno dovuto valutare se, in punto di sussistenza del requisito dei gravi indizi di colpevolezza o del fumus boni iuris, fosse corretta, esaustiva, adeguata e logica la motivazione delle ordinanze pronunciate dai Tribunali del Riesame investiti dell’impugnazione contro i provvedimenti restrittivi della libertà personale o di sequestro, disposti dai giudici per le indagini preliminari.
Prima di effettuare una ricognizione delle sentenze emesse dalla Suprema Corte, è opportuno ricordare quali sono, in astratto, le condizioni che, secondo la norma di cui al comma 3 dell’articolo 603-bis del codice penale, costituiscono “indici rivelatori” di sfruttamento.
In forza di tale precetto, è da ravvisare un’ipotesi di sfruttamento quando sussistono “una o più delle seguenti condizioni”:
1. “la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”;
2. “la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie”;
3. “la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro”;
4. “la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”.
Fatta questa premessa, lo spoglio in ordine cronologico dei provvedimenti emessi in subiecta materia dal 2015 ad oggi ci permette di apprendere che la Corte di Cassazione ha ritenuto “indici rivelatori del requisito dello sfruttamento dei lavoratori”, fissati dall’articolo 603-bis, comma 3, del codice penale, questi elementi:
a. “il mancato riconoscimento degli stessi diritti garantiti agli operai nazionali, con particolare riguardo allo svolgimento di un numero di ore di lavoro di gran lunga superiore alla regola delle otto ore giornaliere”;
b. “la mancata retribuzione per l’intero, essendo corrisposta la metà della paga”;
c. “la mancata previsione di ferie” (NOTA 2).
Inoltre, le condizioni per reputare realizzato lo sfruttamento sono state riscontrate, ad esempio, nelle circostanze secondo cui:
d. “i lavoratori venivano trasportati sui veicoli, all’interno di cassoni sporchi e privi di qualunque mezzo di sicurezza, senza posti a sedere e dunque costretti a viaggiare in piedi o seduti a terra, con indumenti inidonei al lavoro nei campi”;
e. “il lavoro si protraeva per l’intera giornata, senza giorni di riposo o ferie”;
f. “la paga era bassissima”;
g. “si trattava di lavoro «in nero», come accertato dall’INPS”;
h. “l’attività lavorativa veniva prestata sotto minaccia di licenziamento
e che le condizioni ambientali in cui erano costretti a vivere erano di totale degrado dal punto di vista degli spazi abitativi e delle condizioni igieniche” (NOTA 3).
In altra sentenza, la Corte ha ritenuto integrare i requisiti dello sfruttamento il fatto che:
a. “i lavoratori prestassero attività lavorativa che, tenuto conto anche delle ore di viaggio, si protraeva dalle 12 alle 18 ore giornaliere, per 7 giorni alla settimana, con tempi di recupero che non consentivano neppure l’espletamento delle normali incombenze domestiche”;
b. “le persone offese erano sotto costante minaccia di licenziamento (ossia di perdere la loro unica fonte di sostentamento)” alla quale “si accompagnava, per un verso, la sistematica corresponsione di retribuzioni palesemente inferiori a quanto previsto dalla normativa e dai contratti e, comunque, del tutto sproporzionate alle reali prestazioni lavorative effettuate e, per altro verso, la costante violazione delle norme in tema di riposo settimanale e di orario di lavoro e le condizioni di lavoro e di trasporto pericolose e degradanti”;
c. “i lavoratori non erano neppure liberi di recarsi autonomamente, all’occorrenza, presso i servizi igienici, dovendo utilizzare, previa autorizzazione, la scheda magnetica in possesso” dell’indagato, il quale “così poteva ‘monitorarè l’utilizzo del bagno da parte dei braccianti” (NOTA 4).
Nello stesso solco si inserisce una pronuncia secondo cui le condizioni di sfruttamento, alle quali vengono sottoposti i lavoratori (extracomunitari anche in questa vicenda), devono essere individuate negli “orari di lavoro assai gravosi”, nelle “assenze di pause e permessi”, nella “assenza di contratti stipulati dai lavoratori”, condizioni tutte assolutamente incompatibili con quelle previste dalla contrattazione collettiva vigente”, nel “fatto che i lavoratori siano costretti ad accettare il prelievo” di danaro “dalla loro esigua paga e a farsi trasportare in condizioni affatto disumane sui campi di lavoro”, tutte circostanze, poi, da mettere in stretta correlazione “con lo stato di bisogno in cui versano i lavoratori, in relazione anche alle loro condizioni alloggiative (in ricoveri di emergenza, in alcuni casi sprovvisti di acqua e di corrente elettrica) e alla loro indigenza”. Tale condizione – secondo gli Ermellini – “espone i lavoratori alla necessità di sottostare a condizioni (lato sensu) contrattuali affatto inaccettabili per chiunque non si trovi in tale stato di bisogno, con la prospettiva di dover rinunciare, altrimenti, a una pur modestissima fonte di sostentamento” (NOTA 5).
Secondo un obiter dictum racchiuso in altra decisione, si ha sfruttamento ai sensi della norma ex articolo 603-bis del codice penale ogni qualvolta i lavoratori – soprattutto stranieri -, avendo necessità di “un contratto di assunzione, anche per regolarizzare la propria presenza sul territorio italiano”, siano “costretti a pagare per ottenere l’assunzione, ad accettare retribuzioni non corrispondenti a quanto dovuto, ed a subire la compressione dei diritti sindacali, sotto la minaccia del licenziamento (come nel caso degli scioperi, la cui partecipazione venga sanzionata con la perdita del lavoro)” (NOTA 6).
Senza dubbio interessante è, altresì, una sentenza nella quale è stato affermato che irrilevante è la circostanza secondo cui il soggetto agente “non ha tratto alcun vantaggio dall’asserito sfruttamento” dei lavoratori, dal momento che sarebbe “irrilevante stabilire se egli abbia agito a fine di lucro” o semplicemente per altra ragione, come, ad esempio quella – spesso addotta a propria difesa dagli imputati stranieri di tale reato – “per aiutare i propri connazionali”. La Corte ha coniato tale principio sul presupposto che “l’articolo 603-bis del codice penale, come modificato dalla legge 199/16, punisce chiunque recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, sul solo presupposto dello stato di bisogno dei lavoratori e senza che sia richiesta, per l’integrazione della fattispecie, una finalità di lucro”. Questa conclusione è – secondo i giudici di legittimità – “avvalorata dalla collocazione della norma, nel libro II del codice penale riguardante i delitti contro la persona e la libertà individuale” (NOTA 7).
Poiché, inoltre, la norma di cui all’articolo 603-bis del codice penale prevede che lo sfruttamento avvenga approfittando dello “stato di bisogno” in cui versa il lavoratore, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale condizione ricorre quando il prestatore d’opera si trovi costretto ad accettare condizioni degradanti di lavoro dettate “dalla necessità di mantenere e formare la prole in patria”. In definitiva, tale indirizzo interpretativo ritiene che lo “stato di bisogno”, richiesto dal precetto ex articolo 603-bis del codice penale, “così come per il contratto usurario, è vissuto dalla parte subordinata del contratto di lavoro come quell’impellente assillo economico, che limitando la volontà del contraente debole lo induce ad accettare condizioni contrattuali (non negoziabili) apertamente sperequate nei corrispettivi, ampiamente degradanti nelle modalità esecutive e manifestamente pericolose, per l’igiene come per la sicurezza” (NOTA 8). D’altro canto – prosegue la sentenza in esame – “il datore di lavoro sfrutta lo stato di bisogno – di cui ha piena consapevolezza – per guadagnare condizioni contrattuali di tutto favore per se stesso, a scapito della parte debole”.
A conclusione di questo excursus delle decisioni sul tema, merita citare quanto da ultimo sostenuto dalla Corte di Cassazione, secondo la quale è da ravvisare lo sfruttamento dei lavoratori ai fini della sussistenza della fattispecie penale di cui all’articolo 603-bis del codice penale nelle “penose condizioni personali e di lavoro subite dai braccianti agricoli”, nella “minima paga oraria”, nell’”orario lavorativo giornaliero (sino a 18-20 ore senza riposo settimanale e con una pausa di appena 30 minuti)”, nella “carenza di servizi igienici nei campi”, nelle “minacce ed aggressioni subite dai “caporali” in caso di prestazioni lavorative non soddisfacenti”, nella “estrema miseria delle baracche adibite ad abitazioni”, nei “canoni di locazione trattenuti direttamente dalle buste paga”, nel “divieto di portare con sé telefoni cellulari”, elementi tutti che “connotano lo sfruttamento dei braccianti, il cui evidente stato di bisogno li induce ad accettare condizioni di vita e di lavoro ben lontane da quelle normativamente garantite ed anzi ai limiti della disumanità” (NOTA 9).
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Note:
(1) Si veda a tal proposito anche l’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro del 18/09/2020
(2) Cass. Pen., Sez. V, 18 dicembre 2015, n. 16737, Salvatore
(3) Cass. Pen., Sez. IV, 20 settembre 2016-13 ottobre 2016, n. 43310, Nusica
(4) Cass. Pen., Sez. V, 23 novembre 2016, n. 6788/2017, Vecchio
(5) Cass. Pen., Sez. IV, 2 marzo 2017, n. 14621, Mare
(6) Cass. Pen., Sez. V, 20 dicembre 2017-16 marzo 2018, n. 12378, Pomaro
(7) Cass. Pen., Sez. V, 16 gennaio 2018-19 febbraio 2018, n. 7891, Abdelrahaman Hussin
(8) Cass. Pen., Sez. II, 9 settembre 2019-23 ottobre 2019, n. 43394, Giordano
(9) Cass. Pen., Sez. IV, 28 gennaio 2020, Procuratore della Repubblica di Matera, Valenza e altri
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