La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4400 depositata il 20 febbraio 2020 intervenendo in tema di deducibilità dei compensi per gli amministratori di società ha ribadito che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni”
La vicenda ha riguardato una società per azione a cui veniva notificato un avviso di accertamento con cui veniva ripreso a tassazione ai fini IRPEG le remunerazioni aggiuntive attribuite a due dei quattro amministratori delegati della società stessa. Avverso tale atto impositivo la società proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure respingevano parzialmente le doglianze della ricorrente. Avverso la decisione della CTP, la società proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale, i cui giudici respingevano le doglianze della società. La sentenza della CTR veniva impugnata con ricorso in cassazione fondato su sette motivi. In particolare si duole della violazione
Gli Ermellini, nel respingere il ricorso della società contribuente, afferma che “se non vi sono i presupposti per la deducibilità dei compensi agli amministratori, come viene riconosciuto in questa sede con riferimento ai compensi speciali, il fatto che da un lato essi non vengano dedotti dalla base imponibile societaria, e dall’altro rappresentino redditi delle persone fisiche ai quali i compensi sono corrisposti non integra una doppia imposizione in senso giuridico, perché il presupposto della tassazione è diverso.”
In particolare, i giudici di legittimità, precisano e ribadiscono che un compenso non deliberato non è deducibile, poiché la corresponsione del compenso non è conforme all’art. 2389 c.c., in quanto non deliberato validamente in tale misura. Il contenuto dell’art. 2389 c.c., statuisce che la remunerazione “degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale”. Per cui per i giudici del palazzaccio le remunerazioni da riconoscersi agli amministratori delegati ai sensi di tale norma non potessero essere deliberati dal CdA i cui membri fossero tutti amministratori delegati per cui ha ritenuto che nel caso concreto si versasse in un’ipotesi esulante dall’art. 2389 comma 2 c.c., superando così implicitamente la previsione dello statuto societario.