La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 20613 depositata il 24 luglio 2024, intervenendo in tema di deducibilità fiscale dei compensi agli amministratori, ha statuito il principio di diritto secondo cui “… La disciplina sul compenso degli amministratori di cui agli artt.2389, comma 1, e 2364, comma 1, n.3 cod. civ., è dettata anche nell’interesse pubblico al fine del regolare svolgimento dell’attività economica e tali norme sono imperative e vincolanti ai fini dell’art.1418, comma 1, cod. civ., non potendo essere derogate attraverso il ricorso a onerosi contratti di consulenza di prestazione intellettuale prestate dagli amministratori nei confronti della società di capitali da loro amministrata, senza le prescritte formalità e nella determinazione dell’assemblea dei soci. …”

La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata che a seguito della redazione di p.v.c. veniva, ad essa, notificato l’avviso di accertamento, ai fini II.DD., IVA e accessori. In particolare veniva contestata la deduzione di costi e detrazione della relativa imposta armonizzata per prestazioni di consulenza di opere intellettuali da parte degli amministratori della società in favore della contribuente stessa, contestate come retribuzione periodica corrisposta agli amministratori non deliberata dall’assemblea dei soci. La società impugnava gli atti impositivi. I giudici di prime cure accolsero parzialmente le doglianze della contribuente con riferimento all’applicazione della recidiva nella determinazione della misura, rigettando la prospettazione della contribuente nel resto. Avverso la decisione di primo grado proponevano appello sia la contribuente che l’Amministrazione finanziaria. I giudici di secondo grado rigettavano gli appelli proposti, sui rispettivi capi di soccombenza. La sentenza di appello veniva, dalla società, impugnata con ricorso in cassazione fondato su nove motivi, cui replica l’Agenzia con controricorso.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso e condannavano la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

Per gli Ermellini “… ai sensi dell’art.2389, comma 1, cod. civ., i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea. In particolare, nelle società prive di consiglio di sorveglianza, è l’assemblea ordinaria che, ex art.2364, comma 1, n.3 cod. civ. determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto.

Tale complesso normativo va posto in collegamento con la nullità generale di cui all’art. 1418, comma 1, cod. civ. secondo la quale la contrarietà a norma imperativa determina la nullità del contratto, in quanto «la disciplina di cui all’art. 2389 cod. civ. (dettata in continuità con l’orientamento legislativo tradizionale, risalente all’art. 154, n. 4 del codice di commercio del 1882) ha certamente natura imperativa e inderogabile, sia perché, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento delle società regolari sono dettate (anche) nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività commerciale e industriale del Paese, sia perché, in particolare, la loro violazione, in particolare la percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea, era prevista dall’art. 2630 c.c., comma 2, n. 1 (abrogato dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1) come delitto che non poteva certo essere scriminato dalla approvazione del bilancio successiva alla consumazione. È pertanto evidente che la violazione dell’art. 2389 cod. civ., sul piano civilistico, da luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall’art. 1423 cod. civ., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente» (così la sentenza delle Sez. Unite n. 21933 del 29/08/2008 in parte motiva). …”