La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27357 depositata il 24 ottobre 2019 intervenendo in tema di assoggettamento fiscale dei proventi illeciti ha ribadito che “In tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art. 6, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati.”
La vicenda ha origine dalle somme sottratte ai propri assistiti da un amministratore di sostegno a cui l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento per non aver dichiarato le somme illecitamente sottratte ai propri assistiti. Il contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accolsero parzialmente le doglianze del ricorrente. Il ricorrente avverso la decisione della CTP propose ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso incidentale. I giudici di appello respinsero sia il ricorso principale che quello incidentale. Avverso al decisione della CTR l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo. Il contribuente resisteva con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi. In particolare si doleva della violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 legge 212/2000.
Gli Ermellini accolgono la doglianza dell’Amministrazione finanziaria ed il secondo motivo del contribuente. In particolare viene riaffermato che “In tema di imposte sui redditi, l’art. 14, quarto comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, laddove stabilisce che nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, costituisce non soltanto interpretazione autentica della normativa con- tenuta nel d.P.R. n. 917 del 1986, ma anche criterio ermeneutico decisivo per giungere ad identica conclusione con riguardo alla previ- gente disciplina degli artt. 1 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, attesa la sostanziale identità della disciplina in ordine alla de- terminazione dei presupposti della tassazione. Ne consegue che il c.d. “pretium sceleris” si deve considerare come reddito imponibile (anche nel vigore del d.P.R. n. 597 del 1973), e ciò pure se il contribuente sia stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati.”
Ed inoltre, riconfermano il principio di diritto secondo cui «In tema di accertamento, l’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, ancorché notificato successivamente alla sua scadenza, è illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l’atto impositivo è ancora “in fieri”, integrando, viceversa la notificazione una mera condizione di efficacia dell’atto amministrativo ormai perfetto e, quindi, già emanato»
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