La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 7456 depositata il  4 febbraio 2025, intervenendo in tema di reato di estorsione a carico del datore di lavoro, ha ribadito il principio secondo cuiintegra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, a ricoprire la carica di amministratore di una società, la C. G. s.r.l., posizione da cui sorgevano formalmente comunque per il titolare degli obblighi di non poco conto (cfr. sia pur in altra situazione di fatto, cfr. Sez. 2, Sentenza n. 11107 del 14/02/2017, Rv. 269905 – 01). “

La vicenda ha riguardato un dipendente il quale era stato posto, dal datore di lavoro, di fronte all’alternativa di assumere la carica di amministratore o di essere licenziato

Per gli Ermellini quando Il lavoratore è posto di fronte all’alternativa di accettare le condizioni imposte, (implicanti l’accettazione della carica di amministratore della società (…), pur rimanendo, in realtà, inalterata la sua posizione di lavorator subordinato), dal datore di lavoro o di perdere il lavoro, risultando indifferente che tale evenienza si possa realizzare per una decisione “volontaria” del lavoratore o a iniziativa del datore di lavoro.

Va aggiunto che tale ultima evenienza assume rilievo penale perché, nel caso in esame, la prospettiva di figurare come legale rappresentante della società (…) indicata come alternativa alla perdita del lavoro è iniqua e illegittima, per come pacificamente riconosciuto dagli stessi giudici di merito, in quanto intesa ad obbligarlo a ricoprire una carica da cui nascevano formalmente obbligazioni di un certo rilievo a suo carico. Tanto che lo stesso si è reso conto che una cambiale era stata protestata, sì che non poteva aprire un conto corrente. 

Per i giudici di piazza Cavour Pacifico è che il contratto era esclusivamente funzionale agli interessi del C.A., che avrebbe fatto ricadere sulla persona offesa, le eventuali future responsabilità derivante dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società (che è poi fallita) e certamente non giovava alla parte lesa.

In tale ottica, come correttamente evidenziato dalla pronuncia,  era sicuramente nota all’imputato la condizione di fragilità economica del C.D., visto che lavorava alle loro dipendenze sin dal 2011, sì che lo stesso non avrebbe avuto la possibilità e la forza di opporsi alla richiesta riguardante l’accettazione della carica di amministratore della C. G. s.r.l. e nemmeno di cercarsi un altro lavoro, dovendo garantirsi la sopravvivenza. In ogni caso per quanto sopraindicato la condizione di fragilità economica non appare  comunque necessaria al fine di configurare la coartazione alla stipulazione del contratto, in quanto la prospettazione del licenziamento costituisce di per sé un male ingiusto. E nessun rilievo assume il fatto che l’imputato in diverse occasioni si fosse prestato a favore della persona offesa: se il filo conduttore delle minacce è stato individuato nel disegno perseguito dal ricorrente di far assumere alla persona offesa la carica di amministratore affinché poi la mantenesse in modo tale che potessero ricadere sullo stesso le eventuali future responsabilità derivanti dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società, nessuna interferenza col proposito criminoso assumono gli interventi ad adiuvandum in quanto volti proprio a consolidare quella situazione di formale apparenza che lo stesso imputato aveva preordinatamente creato. E sul punto il pagamento della cambiale assume valida conferma dell’ordito criminoso perseguito, in quanto i giudici di merito precisano che tale episodio costituì l’incipit con cui la persona offesa ebbe contezza delle implicazioni connesse alla titolarità della carica di amministratore …

Per quanto concerne il profilo del danno, aggiunge il Supremo consesso, ben può ben individuarsi nel coinvolgimento della persona offesa nella procedura fallimentare (tanto che ha dovuto anche nominare un avvocato a sua difesa) e nelle conseguenze che la legge fa derivare alla dichiarazione di fallimento che accentrano su di sé conseguenze pregiudizievoli foriere di ricadute sia personali che di carattere patrimoniale (si pensi alle preclusioni all’accesso a certe professioni o al pubblico mercato derivanti dall’incapacità, ovvero alle responsabilità patrimoniali strettamente conseguenti). Peraltro, va escluso che il fine perseguito dall’imputato, ossia quello di “far ricadere sul terzo, le eventuali future responsabilità derivanti dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società, esuli dalla nozione di illecito profitto a cui si riferisce la fattispecie di estorsione, posto che la minaccia di licenziamento era volta ad evitare che potessero ridondare sul ricorrente le conseguenze di carattere personale e patrimoniale che la legge civile e penale riconduce a detta qualità.

Inoltre, per come osservato dalla sentenza impugnata, la condotta aveva la piena idoneità a produrre l’evento, che infatti ha puntualmente prodotto, (…) inizialmente ad assumere la carica e poi, a più riprese, a desistere dal suo proposito di dimettersi dalla carica formalmente ricoperta, onde non perdere anche il suo lavoro di operaio, il che implica l’avvenuta consumazione del reato. 

Valutazione della credibilità della persona offesa

Per i giudici della Suprema Corte le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.  –  possono essere  legittimamente poste  da  sole a  fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104).”

Inoltre per i giudici di legittimità “la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. explurimis, Sez. 5, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).”