La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29343 depositata il 12 settembre 2023, intervenendo in tema di trasferimento e legge 104/1992, ha ribadito che “… il diritto al trasferimento ai sensi dell’art. 33, quinto comma, della legge n. 104 del 1992 deve essere, comunque, pur sempre compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative” del datore di lavoro, esigenze cui tale diritto resta subordinato e con le quali esso deve essere necessariamente coordinato e non è sufficiente la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente, familiare dell’handicappato, aspira. Tale condizione esprime una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa di coprire la vacanza. In sostanza il diritto non si configura come assoluto ed illimitato, in quanto l’inciso “ove possibile” contenuto nell’art. 33 comma 5 della legge n. 104 del 1992 postula un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto. …”
La vicenda ha riguarato un dipendente di una società per azione che convenne in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere l’assegnazione alla sede di residenza del congiunto portatore di handicap, comunque alla sede più prossima, ai sensi dell’art. 33 comma 5 della legge n. 104 del 1992. Il Tribunale adito rigettava la domanda del lavoratore. Avverso tale decisione il dipendente proponeva appello. La Corte Territoriale in parziale accoglimento del ricorso ritenne sussistere il diritto ad essere trasferita presso un ufficio postale sito nel comune di residenza del congiunto assistito dalla lavoratrice ovvero in altro in regione città o comune ad esso prossimo, e condannava la società ai conseguenti adempimenti. Il datore di lavoro avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del datore di lavoro.
I giudici di legittimità evidenziano che alla luce dei propri precedenti ed anche alla luce delle sezioni unite, “il diritto del genitore o del familiare che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto può essere fatto valere allorquando – alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti – il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico – con l’interesse della collettività” e che “l’inciso, <ove possibile>, indicato nella stessa norma (n.d.r.: art. 33 della legge n. 104 del 1992), richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto e il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro” sostenendo in definitiva che il diritto al trasferimento ai sensi dell’art. 33, quinto comma, della legge n. 104 del 1992 deve essere, comunque, pur sempre compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative” del datore di lavoro, esigenze cui tale diritto resta subordinato e con le quali esso deve essere necessariamente coordinato.”
Il Supremo consesso ricorda che in primo luogo che il diritto del lavoratore che assiste un disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, nel testo modificato dalla l. n. 53 del 2000 e dalla l. n. 183 del 2010, va interpretato nel senso che tale diritto può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro. Tanto si desume sia dal tenore letterale della norma che dalla funzione solidaristica della disciplina posta a tutela ed a garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap, diritti previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009 (cfr. Cass. 01/03/2019 n. 6150).
Infine i giudici di piazza Cavour precisano che “… La disposizione dell’art. 33 comma 5 della legge n. 104/1992 deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati -alla luce dell’art. 3 comma 2° Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009- in funzione della tutela della persona disabile (cfr. Cass. 7.6.2012 n. 9201); le misure previste dall’art. 33 comma 5° devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo – riconducibile al principio sancito dall’art. 3 comma 2 Cost. – che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che da un lato, non si identificano esclusivamente con l’assistenza familiare e, dall’altro, devono coesistere con altri valori costituzionali (cfr. da ultimo Cass. n. 24015/2017); ne consegue che le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati, proprio per il loro fondamento costituzionale e di diritto sovranazionale, vanno individuate quali diritti soggettivi (e non interessi legittimi) ma richiedenti, di volta in volta, un bilanciamento necessario di interessi, con il relativo onere probatorio in capo al datore di lavoro (cfr. sull’onere probatorio Cass. 18/02/2009 n. 3896) (cfr. Cass. 22/03/2018 n.7120). …”