La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 30628 depositata il 28 novembre 2024, intervenendo in tema dei permessi di cui alla legge n. 104/1992, ha affermato il principio di diritto secondo cui “il diritto ai permessi mensili retribuiti previsti dall’art. 33 della legge 104 del 1992 sorge a seguito di domanda amministrativa e, in presenza delle condizioni richieste dalla legge, si configura come obbligazione di durata che permane sino all’accertamento di eventuale sopravvenuta modifica delle predette condizioni.”
La vicenda ha riguardato un dipendente di una società che aveva adottato un provvedimento di ripetizione a titolo di recupero delle somme indebitamente erogate a titolo di permessi retribuiti ex art. 33 della legge 104 del 1992. Il lavoratore impugnava il suddetto provvedimento. Il Tribunale adito riteneva illegittimo il provvedimento di ripetizione. La società datrice di lavoro impugnava la sentenza di primo grado. La Corte di appello in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto legittimo il provvedimento di ripetizione sul rilievo che non aveva fornito la prova della sussistenza del diritto alla fruizione dei permessi, avendo trascurato di richiedere all’ente previdenziale l’autorizzazione a fruirne (avendo solamente ottenuto una autorizzazione provvisoria e trattandosi di beneficio previdenziale era onere del lavoratore presentare apposita domanda all’INPS, unico soggetto legittimato a concederlo, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione, da qualificarsi quale requisito costitutivo del diritto. Il dipendente impugnava la decisione di appello con ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità accoglievano il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo, assorbito il terzo.
Gli Ermellini preliminarmente evidenziano che ” L’art. 33 della legge n. 104 del 1992 riconosce alle persone portatrici di disabilità e ai prestatori di assistenza la possibilità di prestare attività lavorativa subordinata per un orario ridotto dietro erogazione, in sostituzione della retribuzione perduta, di un’indennità corrisposta dall’ente previdenziale, con accredito della contribuzione figurativa. Il datore di lavoro, in caso di riconoscimento del diritto da parte dell’ente previdenziale, anticipa al lavoratore fruitore un’indennità pari all’intero ammontare della retribuzione, recuperando l’importo dall’ente assicuratore mediante il meccanismo del conguaglio normalmente utilizzato in caso di erogazione di prestazioni previdenziali in costanza di rapporto di lavoro subordinato (come ad esempio per le indennità di malattia e maternità ex art. 1 del D.L. n. 663 del 1979, convertito dalla legge n. 33 del 1980).
5.2 Questa Corte ha già affermato che, in tema di prestazioni previdenziali ed assistenziali, non è necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti dall’Inps o l’uso di formule sacramentali al fine di integrare il requisito della necessaria presentazione della domanda amministrativa, essendo sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta affinché la procedura anche amministrativa si svolga regolarmente (Cass. 14412 del 2019). È stato, inoltre, precisato che la domanda amministrativa diretta a ottenere un determinato beneficio è atto con efficacia sostanziale, poiché è dalla data della sua presentazione che decorre la prestazione, domanda che dà impulso al procedimento amministrativo e racchiude la volontà del soggetto di ottenere il beneficio medesimo (Cass. n. 14561 del 2022); la domanda amministrativa costituisce atto recettizio, in quanto determina nell’ente previdenziale l’obbligo di provvedere ed acquista, pertanto, efficacia nel momento in cui giunge a conoscenza dell’ente destinatario (Cass. n. 41571 del 2021). “
Inoltre per i giudici di piazza Cavour “La necessità della previa proposizione della domanda amministrativa, quale condizione di accesso ad un determinato beneficio previdenziale o assistenziale, costituisce principio generale dell’ordinamento, che – oltre ad essere di norma positivamente stabilito dalla legge – risulta in termini generali enunciato dall’art. 443 p.c., il quale, nel prevedere che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui all’art. 442 c.p.c. non è procedibile se non quando siano esauriti (o si debbano considerare esauriti) i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa, viene ormai costantemente interpretato da questa Corte di legittimità nel senso che la previa presentazione della domanda amministrativa è condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria, con ciò dovendosi intendere che, a differenza del ricorso introduttivo del procedimento contenzioso amministrativo di cui all’art. 443 c.p.c., la presentazione della domanda condiziona lo stesso sorgere del diritto del privato da tutelare eventualmente davanti all’autorità giudiziaria, diritto che non può ritenersi sorto (unitamente allo speculare obbligo dell’ente previdenziale di provvedervi) anteriormente al perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva che nella presentazione della domanda all’ente previdenziale trova appunto il proprio incipit (cfr. in tal senso Cass. n. 732 del 2007 e, più recentemente, Cass. n. 5318 del 2016, Cass. n. 41571 del 2021).”
Per il Supremo consesso “Il diritto alla fruizione dei permessi retribuiti sorge a seguito di presentazione della domanda amministrativa e a fronte della verifica, da parte dell’ente assicuratore, della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge; una volta accertato il diritto, la prestazione si intende riconosciuta sino a quando sopravvengano modificazioni tali da far venire meno i requisiti costitutivi del diritto. Invero, l’art. 33 della legge 104 del 1992 non prevede la potestà dell’ente previdenziale di apporre un termine alla titolarità del diritto (come, ad esempio, previsto dall’art. 1, comma 7 della legge n. 222 del 1984 per l’assegno ordinario di invalidità, espressamente caratterizzato dalla temporaneità della prestazione, misurata sul triennio), ma consente – all’INPS o al datore di lavoro – di verificare in via ordinaria la persistenza delle condizioni per il godimento del diritto e prescrive la decadenza dal diritto qualora fatti sopravvenuti facciano venir meno le condizioni richieste per la legittima fruizione (art. 33, comma 7-bis).
(…) il requisito costitutivo del diritto previdenziale preteso con contestuale obbligo dell’ente previdenziale di definire la procedura amministrativa e insorgenza del diritto a fronte della verifica della sussistenza delle condizioni previste dalla legge, senza possibilità di apporre limiti di tempo al godimento della prestazione salvo l’accertamento di sopravvenute modificazioni dei requisiti richiesti per la concessione. Corollario processuale del principio innanzi affermato è la individuazione, a carico dell’INPS o del datore di lavoro, dell’onere di provare la sopravvenuta carenza dei requisiti per fruire del beneficio in discorso (una volta che il relativo diritto sia stato riconosciuto al lavoratore dall’ente previdenziale).”