CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 gennaio 2019, n. 346
Imposte dirette – IRPEG – Accertamento – Cessioni di contratti aventi ad oggetto i diritti pluriennali alle prestazione dei calciatori – Minusvalenze
Svolgimento del processo
Con separati ricorsi innanzi alla CTP di Milano, l’A.C. Milan spa si è opposta all’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 1, aveva rettificato, ai sensi degli articoli 39 e 41 bis del DPR n. 600 del 1973, la perdita dichiarata di € 26.463.004,00 ad € 22.620.544,00, recuperando a tassazione l’importo di € 3.842.460,00 ai fini dell’Irpeg dell’anno 2001.
La società ricorrente ha esposto che:
la rettifica in questione era il frutto di due tipologie di recuperi; il primo recupero aveva ad oggetto le minusvalenze conseguite in esito alle cessioni di alcuni contratti aventi ad oggetto i diritti pluriennali alle prestazione dei calciatori che, ad avviso dell’ente accertatore, erano avvenuti a titolo gratuito;
secondo l’amministrazione finanziaria, trovava applicazione l’articolo 66 del TUIR nella formulazione all’epoca vigente (anteriore alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003), in base al quale “le minusvalenze dei beni relativi all’impresa diversi da quelli indicati nell’art. 53, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del comma 1 e del comma 5 dell’art. 54”, vale a dire, nella specie, se conseguono a cessioni a titolo oneroso (lettera a) dell’articolo 54 del TUIR);
l’amministrazione procedente riteneva che delle 17 cessioni compiute nel periodo di interesse che avevano prodotto delle minusvalenze solo cinque erano state a titolo oneroso, con la conseguenza che le minusvalenze generate dalle altre 12 operazioni erano indeducibili;
in realtà, le cosiddette cessioni di calciatori ex legge n. 91 del 1981 non potevano essere equiparate a delle libere cessioni di un bene o di un diritto, non avendo carattere reale, ma obbligatorio;
dovevano trovare applicazione, quindi, o l’articolo 52, comma 1, TUIR, che individuava il reddito di impresa facendo riferimento all’utile od alla perdita risultanti dal conto economico, a prescindere dal carattere oneroso o gratuito dell’atto interessato, oppure l’articolo 66, comma 3, TUIR, che disciplinava la deducibilità della perdita del beni di cui al comma 1 e di quelle su crediti, qualora risultino da elementi certi e precisi;
in ogni caso, doveva escludersi il carattere gratuito delle cessioni, poiché l’onerosità non poteva essere confusa con il prezzo e, nel caso in questione, mancava ogni intento liberale, i trasferimenti essendo finalizzati a risparmiare sull’ingaggio;
il secondo recupero, Invece, concerneva due minusvalenze che l’ufficio procedente considerava a titolo oneroso in esito alla cessione dei rispettivi contratti;
in particolare, una delle minusvalenze non era stata riconosciuta perché non era stato esibito il contratto di acquisto del calciatore, mentre l’altra era stata ridotta in quanto non era stato prodotto il contratto di valorizzazione;
il mancato deposito dei detti contratti era dipeso dal fatto che l’Autorità giudiziaria ne aveva disposto il sequestro.
La CTP di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 116/36/08, ha accolto il ricorso.
Con atto di appello depositato il 30 luglio 2009 l’Agenzia delle Entrate di Milano ha impugnato la sentenza summenzionata.
La CTR, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 136/49/10, ha accolto l’appello.
L’A.C. Milan spa ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
L’A.C. Milan spa ha depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo l’A.C. Milan spa contesta la violazione e falsa applicazione degli articoli 52, comma 1, 66, comma 1, e 68 TUIR, in combinato disposto con gli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, e 5, commi 1 e 2, della legge n. 91 del 1981, nonché la contraddittorietà della motivazione.
Ad avviso di parte ricorrente la CTR avrebbe errato nel ritenere che la cessione di un contratto, avente ad oggetto le prestazioni sportive di un calciatore, trasferisse un diritto assoluto e liberamente commerciabile alla prestazione esclusiva dell’atleta qualificabile come bene immateriale.
Inoltre, l’ammortizzabilità non sarebbe stata, diversamente da quanto affermato dalla CTR, sintomo della strumentalità del beni, mentre priva di rilievo avrebbe dovuto essere considerata la circostanza che, nell’ambito di un accertamento con adesione, essa parte ricorrente avesse domandato il riconoscimento di minusvalenze sofferte per effetto della cessione di contratti di prestazione sportiva.
Infine, secondo la società ricorrente, non poteva sostenersi il carattere gratuito delle cessioni de quibus, considerato che la società cessionaria si faceva carico del compenso da versare al calciatore.
La doglianza va respinta.
Ai sensi dell’articolo 66, comma 1, del TUIR, nella formulazione anteriore alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003, applicabile alla fattispecie perché concernente il periodo di imposta 2001, “le minusvalenze dei beni relativi all’impresa diversi da quelli indicati nell’art. 53, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del comma 1 e del comma 5 dell’art. 54”, vale a dire, per ciò che rileva nella presente controversia, se conseguono a cessioni a titolo oneroso (lettera a) dell’articolo 54 del TUIR).
L’articolo 54, comma 1, lettera a) dell’epoca prescrive che le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nel comma 1 dell’articolo 53, concorrono a formare il reddito se “sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso”.
Pertanto, se ne ricava che le minusvalenze dei beni relativi all’impresa sono deducibili, in virtù della normativa riportata, qualora siano realizzate con una cessione a titolo oneroso.
Nella specie, la A.C. Milan spa ritiene che le minusvalenze ricollegabili alla cessione di prestazioni sportive di calciatori avvenute senza un corrispettivo, ove ritenute fiscalmente rilevanti, sarebbero detraibili essendo effetto di atti a titolo oneroso.
Sostiene, altresì, la società ricorrente che le cessioni in questione, avendo ad oggetto un contratto di lavoro ex legge n. 91 del 1981, non comporterebbero un trasferimento di beni, non riguardando diritti reali su un bene materiale od immateriale, ma “rapporti giuridici cartolarmente ed unitariamente compresi in un contratto di lavoro”.
Ricorrerebbe, pertanto, ad avviso dell’A.C. Milan spa, un semplice “passaggio di una relazione giuridica”, che determinerebbe il subentro del cessionario nell’intera posizione del cedente e non in uno specifico diritto di credito senza, però, acquisire un dominio incondizionato ed illimitato sul bene.
Le questioni da cui dipende la soluzione della controversia sono due.
In primo luogo, se il diritto di una società sportiva a godere della prestazione professionale di un calciatore rientri fra i beni relativi all’impresa ai sensi dell’articolo 66, comma 1, del TUIR soprariportato.
Inoltre, nel caso di una risposta affermativa, se la relativa cessione da una società sportiva ad un’altra, qualora avvenga in assenza di un corrispettivo, sia qualificabile come a titolo gratuito o, in ragione dell’assunzione, ad opera della parte cessionaria, dell’obbligo di pagare il compenso del ceduto, sia da intendere a titolo oneroso.
La problematica iniziale si ricollega a quella concernente il trattamento fiscale delle cessioni dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori realizzate dalle società di calcio nel periodo anteriore al 2008 e, in particolare, l’imponibilità ai fini Irap delle correlate plusvalenze.
Le disposizioni in tema di Irap prevedono che la base imponibile sia determinata anche dalle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobilizzazioni strumentali sia materiali che immateriali, vale a dire di beni correlati all’attività dell’impresa, da intendere, ai sensi dell’articolo 2424 bis c.c., quali elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente.
Le società di calcio, pur iscrivendo di solito i costi collegati alle operazioni de quibus fra le immobilizzazioni immateriali in quanto diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori, hanno negato in passato si trattasse di cessioni del contratto di prestazione sportiva perché, in realtà, si sarebbe verificata non una cessione contrattuale, ma una risoluzione anticipata dell’originario contratto fra il calciatore e la società presso cui giocava con successiva stipulazione fra il medesimo professionista e la sua nuova società di un nuovo contratto.
La somma eventualmente versata da una società all’altra sarebbe stata non il corrispettivo di una cessione insussistente, ma del diritto a contrarre con il calciatore in seguito alla risoluzione anticipata del rapporto con la società cedente.
La tesi contrapposta, invece, portata avanti dall’amministrazione finanziaria, è sempre stata nel senso che l’operazione rappresentasse una unitaria cessione contrattuale.
A favore di questa ultima impostazione è intervenuto il Consiglio di Stato che, con parere n. 5285 dell’11 dicembre 2012, ha chiarito che, nella specie, era realizzata una cessione del contratto, per l’esattezza la cessione del diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo, diritto da qualificare come bene immateriale strumentale all’esercizio dell’impresa.
Tale ricostruzione è stata sostanzialmente fatta propria anche da alcune recenti pronunce di legittimità (Cfr. in motivazione Cass., Sez. 6 – 5, n. 24588 del 2 dicembre 2015 che assume come ormai condivisa l’impostazione del parere summenzionato e da atto del contrasto esistente nella giurisprudenza di merito).
Non sussistono, peraltro, valide ragioni per discostarsi dall’orientamento avallato dal Consiglio di Stato e, implicitamente, dalla Corte di Cassazione.
Infatti, la tesi che scompone in tre parti quella che appare essere una vicenda negoziale unitaria non riesce ad individuare l’interesse concreto che dovrebbe giustificare le stipulazioni in esame, che resterebbero senza causa se prese singolarmente.
Inoltre, essa contrasta con la lettera dell’articolo 5 della legge n. 91 del 1981, secondo cui, con riguardo alle prestazioni sportive dei calciatori, “è ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un’altra, purché vi consenta l’altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali”.
Affermare, quindi, che vi sarebbe, nella specie, una prima risoluzione anticipata, cui seguirebbero una nuova stipulazione di un contratto e il pagamento del valore del diritto a contrarre, condurrebbe a negare la ricorrenza di una “cessione del contratto” come espressamente richiesto dall’articolo 5 citato, considerato che, così argomentando, nulla sarebbe trasferibile, il vecchio rapporto essendosi risolto.
Non sarebbe neppure chiara la ragione della prescrizione del consenso del ceduto al trasferimento, dovendo egli solo accettare la risoluzione anticipata del suo contratto con la società sportiva di origine.
Non è, però, accettabile l’affermazione della società ricorrente, per la quale le cessioni in questione, avendo ad oggetto un contratto di lavoro ex legge n. 91 del 1981, non comporterebbero un trasferimento di beni, non riguardando diritti reali su un bene materiale od immateriale, ma “rapporti giuridici cartolarmente ed unitariamente compresi in un contratto di lavoro”.
Ciò che è trasferito, nel rapporto fra cedente e cessionario, è il diritto a beneficiare della prestazione professionale del calciatore, una utilità giuridica assolutamente suscettibile di valutazione economica e di circolazione, con riferimento alla quale non sussistono ragioni per escluderla dal novero delle immobilizzazioni strumentali, in quanto elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente ex articolo 2424 bis c.c., e, pertanto, dei beni correlati all’attività dell’impresa, in particolare dei beni immateriali.
La ricostruzione dell’A.C. Milan spa, che nega possa parlarsi, nella fattispecie, di un trasferimento di beni perché questo dovrebbe riguardare un diritto reale su un bene materiale od immateriale e non un rapporto di lavoro non trova sostegno normativo, ma, anzi, è smentita dall’articolo 2424 c.c. che, con riferimento all’attivo, alla lettera B, relativa alle immobilizzazioni immateriali, come i diritti di brevetto industriale, le concessioni, le licenze, i marchi ecc. e chiude il tutto con la voce n. 7 altre che ha una valenza di chiusura.
Il fatto che la società cessionaria subentri nell’intera posizione del cedente rappresenta ulteriore argomento in favore della ricorrenza di un trasferimento fiscalmente rilevante nei termini prospettati dalla amministrazione controricorrente, il diritto alla prestazione divenendo esclusivamente una utilità acquisita al patrimonio della nuova società.
Il diritto trasferito dal cedente al cessionario con la cessione del contratto avente ad oggetto le prestazioni sportive di un calciatore è, dunque, da considerare un bene immateriale strumentale all’esercizio dell’impresa (essendo nella natura delle società calcistiche mettere sotto contratto atleti) idoneo ad essere trasferito ed a generare minusvalenze ai sensi dell’articolo 66, comma 1, TUIR, all’epoca vigente.
Occorre a questo punto affrontare la seconda questione posta con il primo motivo, vale a dire se la cessione del contratto de quo da una società sportiva ad un’altra, qualora avvenga in assenza di un corrispettivo, sia qualificabile come a titolo gratuito o, in ragione dell’assunzione, ad opera della parte cessionaria, dell’obbligo di pagare il compenso del ceduto, sia da intendere a titolo oneroso.
Deve ritenersi che un atto posto in essere senza un corrispettivo sia, in linea di principio, a titolo gratuito, accogliendosi, dunque, una nozione di causa gratuita in termini di interesse al conferimento di beni o alla prestazione di servizi senza una corrispondente prestazione principale a carico del beneficiario.
Il fatto che da una cessione possa derivare un costo per il cessionario non comporta assolutamente che l’atto divenga a titolo oneroso, rilevando non l’effetto economico conseguenza indiretta del trasferimento, ma la sua giustificazione causale, intesa in concreto, vale a dire l’interesse del cedente a privarsi del suo diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive del calciatore senza ricevere nulla in cambio.
Ovviamente varie possono essere le ragioni del trasferimento, ma queste integrano meri motivi dello stesso, ben potendo con la cessione il cedente ottenere una utilità ovvero evitare un pregiudizio.
In ogni caso, non può affermarsi, come sembra ipotizzare la società ricorrente, l’equivalenza fra gratuità dell’atto e sua liberalità.
Infatti, nulla esclude che un atto, pur gratuito, nella pratica arrechi un beneficio, in termini di esclusione di un costo, od eviti un danno a chi lo compie, mentre un atto donativo, sia tipico che atipico, presuppone, invece, una causa donandi o, comunque, negli atti direttamente traslativi, una notevole differenza di valore fra le controprestazioni.
È, al contrario, diffusa l’opinione che rientrino nell’ambito dell’arricchimento donativo le sole prestazioni di dare e quelle di fare che si sostanzino in un dare; in particolare, fuori di tale ambito, si avrebbe un contratto a titolo gratuito, integrante gli estremi di un effetto-vantaggio gratuito e non quelli di un effetto-arricchimento liberale.
L’esclusione delle prestazioni di fare conduce, soprattutto, ad espungere dallo schema donativo il risparmio di una spesa, così come il mancato guadagno.
Quanto al cessionario, si rileva che, argomentando come la società ricorrente, per la quale il pagamento dell’ingaggio del giocatore renderebbe la cessione a titolo oneroso, sarebbe impossibile compiere atti a titolo gratuito o liberalità che riguardino diritti reali immobiliari, a questi essendo ricollegato sempre un costo economico.
Occorre avere ben presente che la cessione di un contratto è essa stessa un contratto che prescinde dalla natura onerosa o gratuita di quello ceduto, rispetto al quale ha una propria autonomia (arg. Cass., n. 5244 del 15 marzo 2004), tanto che quest’ultimo resta immutato negli elementi oggettivi essenziali, mutando solo dal lato soggettivo (arg. Cass., n. 16635 del 5 novembre 2003).
Pertanto, non è corretto desumere il carattere oneroso della cessione dal fatto che il rapporto ceduto è esso oneroso, venendo confusi profili che devono rimanere distinti.
La tesi della società controricorrente è, poi, non convincente perché esclude, nella sostanza, che la cessione di un contratto come quello in esame possa essere a titolo gratuito, non essendo possibile che il giocatore ceduto non percepisca un compenso.
Deve ritenersi, quindi, che la cessione da una società sportiva ad un’altra di un contratto avente ad oggetto la prestazione professionale di un calciatore senza il pagamento di un corrispettivo sia atto a titolo gratuito, non rilevando la circostanza che la parte cessionaria dovrà corrispondere al giocatore ceduto il compenso dovutogli.
Non condivisibile è la riflessione del Procuratore generale, il quale ha affermato, in udienza, il carattere oneroso dell’operazione alla luce dei principi esposti dalla sentenza delle Sez. U. n. 6538 del 18 marzo 2010.
A prescindere dalla diversità della fattispecie in esame, si osserva che detta sentenza è coerente con la conclusione cui è giunto il Collegio. Infatti, la decisione appena menzionata, con riferimento alla tematica della dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo gratuito ex articolo 64 legge fall., sostiene che <<la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull’esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall’apprezzamento dell’interesse sotteso all’intera operazione da parte del “solvens”, quale emerge dall’entità dell’attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento, collegato o meno ad un sia pur indiretto guadagno ovvero ad un risparmio di spesa. Pertanto, nell’ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un’obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l’atto solutorio può dirsi gratuito, ai predetti effetti solo quando dall’operazione – sia essa a struttura semplice perché esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi – il terzo non tragga nessun concreto vantaggio patrimoniale, avendo considerarsi onerosa tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, cui l’ordinamento pone rimedio con l’inefficacia “ex lege”>>.
Nel caso in esame, il concreto atteggiarsi dell’operazione conclusa induce ad accogliere la qualificazione della stessa come gratuita, non essendo possibile scomporla in più negozi, ma rappresentando essa una vicenda giuridica ed economica unitaria, finalizzata ad ottenere certo un risparmio di spesa per la società ricorrente, cui, però, si è accompagnata la perdita, per la medesima società, del diritto a beneficiare della prestazione del calciatore, mentre la parte cessionaria, oltre a conseguire il godimento della prestazione de qua, ne ha acquisito, altresì, il relativo costo.
Se ne ricava, in assenza della pattuizione di un corrispettivo ulteriore in favore del cedente ed a carico del cessionario, integrante gli estremi di una controprestazione principale collegata al trasferimento del diritto a ricevere la prestazione dell’atleta, la sostanziale gratuità della cessione.
2. Con il secondo motivo l’A.C. Milan spa lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 75, commi 1 e 2, e 109 TUIR, poiché la CTR non avrebbe considerato che i contratti di cui era stata chiesta la produzione non erano nella sua disponibilità, essendo stati sequestrati su disposizione dell’Autorità giudiziaria, e, comunque, la certezza dei costi inerenti la posizione contrattuale dei due atleti interessati era desumibile dal bilancio di esercizio che, nella specie, non era mai stato contestato.
La doglianza è infondata.
Infatti, deve ritenersi che la prova dell’esistenza di componenti negative del reddito gravi, in presenza di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, sul contribuente che voglia beneficiare delle stesse (Cfr. Cass., Sez. 6-5, n. 16461 del 1° luglio 2013).
Peraltro, priva di rilievo è la circostanza del sequestro dei contratti in questione, potendo la società ricorrente con facilità ottenerne copia.
Il fatto che i costi relativi risultino dal bilancio di esercizio è, infine, non significativo, trattandosi di profilo che non risulta sia stato dedotto nei precedenti gradi di giudizio.
3. Il ricorso va, pertanto, respinto.
4. Le spese di lite sono compensate, in ragione della novità della questione.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– compensa le spese di lite.