La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 2383 depositata il 21 gennaio 2025, intervenendo in tema confisca, ha ribadito il principio di diritto secondo cui “la confisca diretta del profitto, siccome misura di sicurezza, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato per prescrizione. La Corte di cassazione ha affermato, al riguardo, che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434 – 01).”
Le Sezioni Unite nella sentenza n. 31617 del 2015 hanno precisato che “avendo la L. n. 300 del 2000, introduttiva dell’art. 322 ter c.p., espressamente previsto, all’art. 15, la irretroattività della confisca per equivalente del prezzo del reato, una simile opzione si appalesa sintomatica del fatto che il legislatore ha configurato l’ablazione del patrimonio del reo, in proporzione corrispondente all’arricchimento provocato dall’illecito quale misura sostanzialmente sanzionatoria.
La confisca per equivalente, infatti, viene ad assolvere una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza (ex plurimis, Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037; Sez. 3, n. 18311 del 06/03/2014, Cialini, Rv 259103; Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164).
E’ evidente, infatti, che, essendo la confisca di valore parametrata al profitto od al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista “quantitativo”, l’oggetto della ablazione finisce per essere rappresentato direttamente da una porzione del patrimonio, il quale, in sè, non presenta alcun elemento di collegamento col reato; il che consente di declinare la funzione della misura in chiave marcatamente sanzionatoria (v. al riguardo anche l’ordinanza n. 97 del 2009 della Corte costituzionale, nella quale è richiamata la giurisprudenza di legittimità nonchè la già ricordata sentenza della Corte EDU Welch c. Regno Unito).”
Inapplicabilità della confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria per i reati commessi ante legge
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 4145 depositata il 31 gennaio 2023 ha statuito il seguente principio di diritto ” La disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed è, pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha introdotto la suddetta disposizione“
Nella sentenza delle SS UU si è posto in evidenza che ” Le Sezioni Unite hanno già affermato che, in tema di successione di leggi penali nel tempo, nel caso in cui l’evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta (Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934 – 01), richiamando, in coerenza con la ratio di garanzia del principio di irretroattività, l’art. 7, paragrafo 1, della CEDU, che sancisce il divieto di applicazione retroattiva delle norme penali incriminatrici e, in generale, delle norme penali più severe, in modo da assicurare, come ha precisato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, nel momento in cui un imputato ha commesso l’atto che ha dato luogo all’azione penale, esista una disposizione legale che renda l’atto punibile e che la pena imposta non abbia superato i limiti fissati da tale disposizione (Corte EDU, sentenza 22 giugno 2000, Coéme c. Belgio, § 145).
Parallelamente, anche il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. esige che, al momento del fatto commesso, il soggetto abbia non soltanto la necessaria conoscibilità del precetto, ma anche la conoscibilità e prevedibilità della sanzione penale prevista per la relativa violazione.
Sotto tale profilo, è allora utile osservare come l’art. 7 CEDU appresti uno scudo per assicurare che la norma penale sia “accessibile” per il destinatario, anche sotto il profilo sanzionatorio e che le conseguenze della condotta siano assistite dal requisito della “prevedibilità” (Corte cost. sent. n. 364 del 1988). La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU – non consente l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale, allorquando il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, Tronchetti Provera, Rv. 267164 – 01; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256584 – 01).
... alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU, si ricava che nel “fuoco della prevedibilità” debbano farsi rientrare anche le conseguenze sanzionatorie della condotta, in modo da garantire l’effettiva prevedibilità anche di esse al momento della commissione del fatto, senza che il legislatore, modificando la normativa, possa realizzare nei confronti del destinatario un effetto “a sorpresa” e, dunque, imprevedibile, in quanto ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 7 CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost.
Come è stato puntualmente osservato, la prima garanzia per l’individuo, nell’ottica della Convenzione europea, consiste nell’esclusione della “sorpresa” e richiede invece la “prevedibilità” del limite posto dallo Stato al godimento di un diritto o all’esercizio di una libertà dell’individuo, sicché, in tale ottica, la “sorpresa” è essa stessa costitutiva di abuso.
Da ciò si ricava, da un lato, un obbligo per lo Stato di una preventiva e adeguata informazione sui precetti da osservare nonché su tutte le conseguenze sanzionatorie che derivano dalla loro violazione e, dall’altro, il diritto dei cittadini di accedere e calcolare in un preciso arco temporale, ossia al momento in cui è posta in essere la condotta, se e quale comportamento tenere, avendo essi il diritto a non essere sorpresi ex post da estensioni interpretative o da mutamenti dello stato di fatto non conoscibili e, dunque, non prevedibili ex ante.
La Corte EDU ha poi precisato che le norme in materia di retroattività, contenute nell’art. 7 della Convenzione si applicano soltanto alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li puniscono, con la precisazione che, quando una disposizione che il diritto interno definisce processuale ha un’influenza sulla severità della pena da infliggere, per la Corte EDU tale disposizione deve essere qualificata come «diritto penale materiale», a cui è applicabile l’ultimo capoverso dell’articolo 7 § 1 (Scoppola c. Italia (n. 2), § 110-113, in tema di applicazione di una disposizione del codice di procedura penale relativa alla severità della pena da infliggere quando il processo si sia svolto secondo il rito abbreviato) “
I giudici di legittimità giungono a tale conclusione evidenziando che ” la natura pienamente costitutiva della disposizione di cui all’art. 578- bis cod. proc. pen. esclude che la confisca di valore possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi quando, nel caso di estinzione del reato, tale misura non era in alcun modo adottabile nei confronti dell’autore del reato, quand’anche ne fosse stata accertata la responsabilità penale.
Un tale principio, come si è visto, valeva per la confisca in forma diretta, ma non anche per la confisca di valore, la quale, per essere applicata, nei giudizi di merito, esige che sia stata emessa una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (come per la confisca nei reati tributari ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000) e che, per essere mantenuta nei giudizi di impugnazione, richiede che una espressa disposizione di legge (l’art. 578-bis cod. proc. pen. appunto) ne consenta il mantenimento e che rimanga inalterato il giudizio di responsabilità penale. “