La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 28022 depositata il 30 ottobre 2024, intervenendo in tema di redditometro, ha ribadito il principio secondo cui il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria offerta dal contribuente (cfr. Cass. 13/06/2023, n. 16904 Cass. 22/06/2021, n. 17837, Cass. 24/09/2019, n. 3715).

Si è precisato, tuttavia, che nel contenzioso conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante c.d. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta, a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale, opera il principio per il quale, all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può, pertanto, limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa (Cass. 07/06/2022, n. 18178, Cass. 08/10/2020, n. 21700).

La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento con il quale aveva determinato, a mezzo redditometro, un maggior reddito. Il contribuente impugnava tale atta impositivo, in particolare evidenziava che quanto alla nuda proprietà dell’immobile sito in Roma – immobile appartenente ai suoi genitori e poi venduto per l’intera proprietà per consentirgli l’acquisto di quello in Veneto, ove si era trasferito – allegava che, in realtà, si era trattato di una donazione. Il giudice di prime cure rigettava il ricorso. Avverso la sentenza di primo grado, il contribuente proponeva appallo. I giudici di secondo grado lo respingevano ritenendo che la simulazione non potesse essere provata con documentazione bancaria; che sarebbe stato onere del contribuente «produrre “elementi contrari” contestando analiticamente l’atto di accertamento correttamente applicativo dei coefficienti presuntivi. Avverso la sentenza di appello il contribuente proponeva ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

I giudici di legittimità accoglievano il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, rigettavano il terzo.

Per gli Ermellini la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa (tra le più recenti Cass. 13/06/2023, n. 16904, Cass. 28/12/2022, n. 37985). Conseguentemente, l’accertamento non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, o, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142, Cass. 24/10/2005, n. 20588).”

Il Supremo consesso ha evidenziato in ordine alla prova dell’accertamento della simulazione (relativa, nel caso di specie) che le parti del contratto simulato possono legittimamente fornire, questa Corte ne ha escluso la rilevanza, evidenziando che il giudizio non ha ad oggetto un’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del contratto simulato oppure a far valere gli effetti di quello dissimulato; che, piuttosto l’argomento speso è inteso dimostrare – esercitando il diritto di provare l’inconsistenza del dato presunto- l’infondatezza della pretesa fiscale, originata  dalla  constatazione  di  una  capacità  di  spesa  che  la contribuente assume inesistente perché, a fronte degli atti di compravendita immobiliare stipulati, non avrebbe pagato alcun prezzo.» (Cass. 11/11/2020, n. 25414).

Del resto anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta – in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost. – la possibilità d’introdurre nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, e, quindi, anche dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate – non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti; ciò non comporta, tuttavia, il venir meno in capo al giudice tributario del potere-dovere di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni, comportando la corretta applicazione del principio della libera valutazione delle prove, l’obbligo di confrontare le propalazioni raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con eventuali altri elementi acquisiti. (Cass. 27/02/2020, n.5340, cit.; conformi Cass. Cass. 16/03/2018, n. 6616 e Cass. 21/01/2015, n. 960). Tali documenti, e le risultanze da essi emergenti, al pari delle dichiarazioni di terzi raccolte e prodotte dall’Ufficio, rilevano quindi quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. 16/03/2018, n. 6616; Cass. 07/4/2017, n. 9080; Cass. 05/04/2013, n. 8639).