La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 18216 depositata il 9 maggio 2024, intervenendo in tema di sequestro preventivo a seguito del reato di dichiarazione fiscale a seguito della sopravvenienza per la cancellazione di un debito, ha statuito che “… Le sopravvenienze attive, che sono componenti positivi di reddito, secondo una regola generale, sono tassabili solo nel caso in cui siano riconducibili a costi dedotti negli esercizi precedenti, altrimenti non è possibile tassarle nonostante apportino un incremento positivo del reddito. La tassazione è applicabile anche quando i costi sono soggetti a deducibilità limitata.
In tema di imposte sui redditi d’impresa, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente enunciato che la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, si realizza in tutti i casi in cui una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza (da ultimo, Cass. civ., 9 agosto 2022, n. 24580; Cass. civ. 23 gennaio 2020, n. 1508; 22 settembre 2006, n. 20543). …”
La vicenda ha riguardato una società per azione ed il suo legale rappresentante nei cui confronti veniva emesso un decreto di sequestro preventivo dal Giudice delle indagini in relazione alle provvisorie incolpazioni di cui all’art. 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La società a seguito della rinuncia, per effetto di anatocismo, da parte delle banche di parte degli interessi passivi per un valore di diversi milioni di euro, tale rinuncia non trovava riscontro nella dichiarazione fiscale. Avverso tale provvedimento veniva proposta istanza di riesame. Il Tribunale adito, con ordinanza, respinto l’istanza di riesame, ex art. 324 cod. proc. pen. Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso, dall’amministratore e dalla società quale terza interessata, in cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità dichiarano inammissibili i ricorsi.
Gli Ermellini, preliminarmente, ribadiscono che “… in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Basi, Rv. 245093).
Quanto alla sussistenza del presupposto del fumus commissi delicti va rammentato che il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta pur sempre, in necessaria coerenza con la fase delle indagini preliminari che è di delibazione non piena, ancorato alla verifica delle condizioni dì legittimità della misura cautelare reale, da parte del Tribunale del riesame, che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo della congruità degli elementi rappresentati con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, P.M. in proc. Bulgarella, Rv. 267007; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Privitera, Rv. 263053; Sez. 5, n. 24589 del 18/04/2011 Misseri, Rv. 250397). …”
I giudici di piazza Cavour evidenziano come “… la sopravvenienza deve avere per presupposto un’operazione rilevante ai fini delle imposte sui redditi, quale la cancellazione di un debito che rileva sul piano fiscale nell’anno di riferimento poiché modifica una posta fiscalmente rilevante che va a comporre la base del reddito per l’anno in cui avviene, fermo restando che deve trattarsi di poste di competenza di esercizi precedenti, perché se diversamente l’evento modificativo ed estintivo della posizione debitoria si realizza in corso d’anno, ciò costituirebbe semplicemente una modifica rilevante ai fini della formazione del reddito d’impresa dell’anno medesimo e non configura sopravvenienza.
La regola generale vuole infatti che le sopravvenienze attive siano tassabili solamente nel caso in cui siano correlate a costi di gestione che sono stati dedotti nell’esercizio o negli esercizi precedenti. Anche laddove siano correlate a costi che sono stati soggetti ad una deducibilità limitata sarà riservato lo stesso trattamento secondo la disposizione dell’art. 96 Tuir.
In coerenza con tali principi, con la risposta n. 240 del 6 marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’insussistenza di una passività derivante da componenti che non hanno concorso a formare il reddito imponibile non costituisce una sopravvenienza attiva imponibile ai sensi dell’art. 88 d.P.R. n. 917/86. …”
Infine per il Supremo consesso la “… motivazione è non solo presente ma congrua e corretta in diritto, osservando, sul punto il Collegio, che, ai fini che qui interessano, per effetto della rinuncia dei crediti per interessi anatocistici si era generata un’operazione fiscalmente rilevante perché modificativa della base imponibile per effetto della diminuzione dei costi, e dunque produttiva di effetti sul piano fiscale, non essendo invocabile, a questi effetti, la disciplina della nullità ex art. 1815 cod. civ. E ciò in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza civile secondo cui, si ripete, in tema di imposte sui redditi d’impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, si realizza in tutti i casi in cui una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza (Sez. 5 – , Ordinanza n. 24580 del 09/08/2022, Rv. 665792 – 01). Ed ancora, in tema di imposte sui redditi d’impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 55, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, si realizza in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di riserve, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza (Sez. 5 -, Ordinanza n. 1508 del 23/01/2020 (Rv. 656612 – 01). Consegue la manifesta infondatezza dei primi due motivi di ricorso. …”