La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 28594 depositata il 16 luglio 2024, intervenendo in tema di esclusione della colpevolezza a seguito di mutamenti peggiorativi della giurisprudenza, ha ribadito il principio secondo cui “… il contrasto giurisprudenziale di tipo sincronico – due o più interpretazioni difformi della medesima norma coesistono nel medesimo intervallo temporale – incida sul principio di determinatezza e di prevedibilità delle decisioni, impedendo ai consociati di calcolare le conseguenze giuridico-penali della propria condotta, mentre il c.d. contrasto di tipo diacronico – cioè l’esistenza di linea interpretativa “affermata” in un determinato lasso temporale che, tuttavia, viene smentita da una decisione successiva e che origina una “svolta” giurisprudenziale in senso sfavorevole all’imputato – incida sul principio di prevedibilità ed evoca in senso lato il tema della irretroattività della “norma” penale sfavorevole – corollario fondamentale del principio di legalità -, potendosi in astratto venire a determinare – qualora non intervengano opportuni meccanismi di “neutralizzazione” – un fenomeno di c.d. «retroattività occulta». …”
Il Supremo consesso ha precisato che “… Se le interpretazioni estensive, di adattamento, di specificazione, che rispettano i requisiti di ragionevolezza e di conformità al “precedente” rappresentano un’evoluzione fisiologica del dato legale e, quindi, sono prevedibili, gli esiti interpretativi che l’agente non è in grado di rappresentarsi al momento del fatto, devono ritenersi imprevedibili.
Il riferimento è a quelle situazioni in cui il mutamento giurisprudenziale è sostanzialmente motivato dalla necessità di sopperire ad una situazione di inerzia legislativa ovvero, come nel caso di specie, di correggere, di modificare, di “prendere le distanze” formalmente da una precedente opzione interpretativa considerata – successivamente – insoddisfacente, non più condivisibile, o, addirittura, errata.
Un mutamento che, tuttavia, rende penalmente rilevante ciò che prima era lecito.
Un mutamento di giurisprudenza non tanto evolutivo, quanto, piuttosto, sostanzialmente innovativo.
Si è chiarito in dottrina come il c.d. mutamento evolutivo si realizzi quando, nella pressochè assenza di precedenti, si estende la portata applicativa della fattispecie incriminatrice attraverso una interpretazione che arricchisce, specifica, integra ovvero adegua il significato precedentemente attribuito all’enunciato legislativo, permettendo alla norma, cristallizzata nella disposizione, di adattarsi ad un nuovo contesto storico normativo.
Il mutamento innovativo si realizza, invece, quando vi è, secondo la stessa giurisprudenza, la necessità di “porre rimedio” – nell’immutato contesto di riferimento – a quello che viene di fatto ritenuto dall’interprete come un vuoto di tutela derivante da una precedente interpretazione che viene considerata non più condivisibile.
(…), sia che si voglia attribuire al mutamento giurisprudenziale una valenza sempre più assimilabile a quella che si realizza con una modifica normativa in malam partem (cfr., Sez, U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651), sia che, invece, si voglia attribuire al “diritto vivente” la tradizionale valenza meramente “dichiarativa” della reale portata della norma di legge (Corte cost., n. 230 del 2012, in tema di mutamento giurisprudenziale favorevole al reo; , anche Corte cast. n. 24 del 2017; Corte cast. n. 115 del 2018; Corte cast. n. 9 del 2021), il mutamento giurisprudenziale sfavorevole pone “questioni” perché è destinato a “colpire” anche chi ha commesso il fatto anteriormente ad esso, quando cioè predominava l’orientamento “favorevole”, generatore di affidamento. …”
I giudici di piazza Cavour hanno ricordato come recentemente è stato chiarito che “… la portata del principio di diritto affermato dalle Sezioni unite abbia un obiettivo rilievo in relazione alla prevedibilità delle decisioni future e all’affidamento dei consociati.
« Una regola di stabilizzazione, quella enunciata dalle Sezioni unite, a cui va attribuita una valenza non solo «di tipo essenzialmente persuasivo», disvelando la potenzialità semantica del testo della disposizione normativa (Corte cost., sent. n. 230 del 2012), ma che, dopo l’intervento della legge 23 giugno 2017, n. 103, ha avuto anche una valenza di precedente relativamente vincolante».
È noto come, con l’inserimento del comma 1-bis nell’art. 618 cod. proc. pen. si preveda che la Sezione semplice della Corte di cassazione, qualora ritenga di non condividere il principio di diritto formulato in una sentenza delle Sezioni Unite, «rimette» a queste ultime la decisione del ricorso; è stato dunque introdotto, con riguardo alle sole sentenze delle Sezioni Unite, il vincolo del precedente: un vincolo relativo, in quanto limitato all’interno della sola Corte di cassazione e non operante nei confronti dei giudici di merito.
Un precedente che, ancorchè fluido e superabile, produce un vincolo ed esprime una regola di stabilizzazione rispetto alla quale viene procedimentalizzato l’eventuale dissenso della Sezione semplice. (Sez. U, n. 8052 del 26/10/2023- dep. 2024, Rizzi, Rv. 285852).
È stato peraltro già spiegato che la portata vincolante del precedente deve essere riconosciuta, come nel caso di specie, anche alle decisioni delle Sezioni Unite intervenute precedentemente all’entrata in vigore della nuova disposizione, posto che il valore di «precedente» è identificabile con la peculiare fonte di provenienza della decisione, indipendentemente dalla collocazione temporale di quest’ultima (Sez. U, n. 36072, del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273549-01).
(…)
In presenza infatti di pronunce delle Sezioni unite sempre più rilevanti per effetto del “vincolo” da esse derivante, emerge chiara sullo sfondo la questione di cosa accada ogni qual volta la sentenza delle Sezioni unite attuino una “svolta” giurisprudenziale, in senso peggiorativo per l’imputato.
In altri termini, più un sistema tende ad assicurare maggiore uniformità alla giurisprudenza, più il mutamento giurisprudenziale finisce per “avvicinarsi” ad una modifica legislativa, senza tuttavia avere gli effetti di questa.
Non paiono esservi dubbi sul fatto che “il sistema del precedente vincolante, attribuendo alla regola enunciata dalle Sezioni Unite una valenza di tendenziale stabilizzazione dei rapporti, è funzionale ad assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e, quindi, ad offrire al cittadino la possibilità di conoscere le conseguenze delle libere scelte di azione e di fare affidamento su un assetto normativo stabile.
Il rispetto dei requisiti qualitativi di accessibilità e conoscibilità della norma, della prevedibilità della decisione giudiziale, della conoscibilità delle conseguenze delle proprie azioni, è conseguente al grado di precisione non solo del testo di legge, ma anche alla stabilizzazione dell’orientamento ermeneutico interno che quella disposizione scolpisce nella sua portata. …”
Infine, i giudici di legittimità evidenziano che “… sul tema della prevedibilità, costituiscono nodi ancora irrisolti quelli relativi alla portata dell’interpretazione giurisprudenziale, alla struttura del giudizio di prevedibilità, al parametro al quale esso deve essere ancorato – cioè se si debba fare riferimento ad un criterio soggettivo, ritagliato sull’agente concreto, ovvero ad un criterio oggettivo-, all’oggetto del giudizio di prevedibilità, al “quantum di prevedibilità” – necessario per assurgere a salvaguardia delle esigenze garantistiche della rimproverabilità soggettiva e della colpevolezza; al di là delle questioni indicate, tuttavia, è stato acutamente osservato in dottrina, il principio di prevedibilità opera “come un indicatore di direzione, come una fondamentale esigenza del sistema”, come espressione “di una forte esigenza di stabilità ed uniformità del prodotto normativo risultante dall’integrazione tra fonte legislativa e fonte giurisprudenziale nella norma “vivente”.
Ciò che deve essere verificato, dal punto di vista della garanzia di cui all’art. 7 CEDU, è “se l’individuo potesse concretamente prevedere l’estensione interpretativa «sulla base delle indicazioni della giurisprudenza – giuste o sbagliate che fossero – nello stato in cui si trovava al momento della commissione del fatto”.
Il tema della prevedibilità non è distante da quello della conoscibilità del precetto, della prevedibilità del diritto penale – cioè della norma penale destinata ad operare nel caso concreto – e della colpevolezza, intesa come rimproverabilità soggettiva; il tema incide sul presupposto principale di ogni istanza di responsabilizzazione penale.
11. In tale contesto, non possono essere trascurati, in tema di colpevolezza, i principali passaggi argomentativi della sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1998 che ha pronunciato sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. affermandone l’illegittimità nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, l’ignoranza inevitabile.
Ci si deve riferire alle fondamentali affermazioni della pronuncia che ha segnato l’affermazione del moderno principio costituzionale di colpevolezza, declinandone il fondamento per come delineato dalle disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 25, comma secondo, 27, commi primo e terzo e 73, comma terzo, Cost. …”
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte la giurisprudenza infatti aveva sempre ritenuto lecito l’ingresso nel sistema informatico in pendenza di una generica esigenza legata all’attività di lavoro. In seguito i giudici avevano mutato opinione, ritenendo lecito il solo accesso consentito in base ad una specifica esigenza.