La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10679 depositata il 19 aprile 2024, intervenendo in tema di validità di patto di non concorrenza, ha riaffermato che “… ai fini della validità dell’intero patto occorre la determinatezza o almeno la determinabilità del corrispettivo. In mancanza di tali requisiti la clausola 7) sul corrispettivo deve ritenersi nulla, attesa l’impossibilità di individuare un esatto in idem placitum consensus relativo a quella clausola. La nullità di tale clausola dà luogo ad una situazione contrattuale equivalente a quella di mancata pattuizione di un corrispettivo, ciò che nella fattispecie delineata nell’art. 2125 c.c. dà luogo alla nullità dell’intero patto. …”

La vicenda ha riguardato l’ex dipendente di una banca, citato in giudizio per il risarcimento, a seguito della violazione del patto di non concorrenza. Il dipendente, a seguito delle dimissioni – aveva svolto mansioni analoghe alle precedenti in favore di una competior nell’ambito dello stesso territorio, aveva sottoscritto con la datrice di lavoro un patto di non concorrenza di durata triennale con obbligo per il dipendente, una volta cessato il rapporto di lavoro, di non svolgere attività concorrenziale per 20 mesi, dietro corrispettivo. Il datore di lavoro adiva il Tribunale di Padova per ottenere la condanna dell’ex dipendente al risarcimento del danno per violazione del patto di non concorrenza, nonché per violazione dell’obbligo di fedeltà. Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo nullo il patto per violazione dell’art. 2125 c.c. ed in particolare per indeterminatezza sia del compenso, sia dell’ambito territoriale. La banca datrice di lavoro impugnava la sentenza dei giudici di prime cure. La Corte d’Appello rigettava il gravame interposto. La banca impugnava la sentenza di secondo grado con ricorso in cassazione fondato su cinque motivi.

I giudici di legittimità rigettava il ricorso.

Gli Ermellini hanno precisato che “… Nell’art. 2125 c.c. il legislatore individua precise cause di nullità del patto di non concorrenza, fra le quali la mancata pattuizione di un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e/o la mancata individuazione di “limiti di luogo”, ossia di un preciso ambito territoriale dell’obbligo di non facere assunto dal dipendente.

Trattasi di una disciplina speciale, che pertanto esclude quella generale della nullità parziale ex art. 1419 c.c., atteso che il legislatore ha compiuto “a monte” la sua valutazione di essenzialità di quelle clausole sul piano funzionale dello specifico patto: l’indeterminatezza del corrispettivo, così come quella dei limiti di luogo del vincolo, determina la nullità dell’intero patto, a prescindere da ogni valutazione di essenzialità in concreto della singola clausola. …”

Inoltre, il Supremo consesso, precisa che “… la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, sicché non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l’attribuzione patrimoniale pattuita (Cass. n. 23723/2021; Cass. n. 212/2013). …”

Infine, i giudici di piazza Cavour chiariscono che “… quand’anche la clausola sul limite di luogo fosse stata erroneamente interpretata, nondimeno il patto resterebbe nullo per indeterminatezza e indeterminabilità del corrispettivo e per l’attribuzione al datore di lavoro di un potere insindacabile (ius variandi delle mansioni) idoneo a caducare il patto medesimo. …”