La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 7027 depositata il 20 febbraio 2025, intervenendo in tema reati tributari e sull’applicabilità dell’articolo 131 bis del c.p., ha ribadito il principio, sulla base dell’art. 13, comma 3-ter, del d.lgs. n. 74 del 2000 – recentemente introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024 di revisione del sistema sanzionatorio tributario, secondo cui “ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., il giudice deve valutare, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici: a) l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; b) salvo quanto previsto dal comma 1, l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria; c) l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; d) la situazione di crisi ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019. Peraltro, in tema di reati tributari, tra le condotte susseguenti al reato suscettibili di valutazione ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., come novellato dal d.lgs. n. 150 del 2022, rientra l’integrale o parziale adempimento del debito tributario, anche attraverso un piano rateale concordato con il fisco o l’adesione a provvedimenti relativi alla rottamazione delle cartelle esattoriali (Sez. 4, n. 14073 del 05/03/2024, Rv. 286175).”
La vicenda ha riguardato il titolare di uno studio legale accusato del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, riferite agli onorari riconosciuti, indicava nella dichiarazione annuale relativa a dette imposte. Il Tribunale, all’esito di giudizio abbreviato, condannava l’imputato per il reato ascrittogli alla pena sospesa di un anno di reclusione. La Corte di appello confermava la responsabilità penale dell’imputato. Avverso la sentenza di appello l’imputato proponeva ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità ritenevano il ricorso fondato limitatamente ai primi due motivi ed inammissibile nel resto.
Per gli Ermellini ” in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore abbia commesso altri reati della stessa indole, oltre quello preso in esame (ex multis, Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591; Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, Rv. 278347; Sez. 1, n. 9858 del 24/01/2024, Rv. 286154)”
Nel caso di specie, i giudici di piazza Cavour rilevano che all’imputato è contestato “il delitto di dichiarazione fraudolenta per avere indicato nella dichiarazione presentata nel 2016, per l’anno precedente, elementi passivi fittizi, avvalendosi di molteplici fatture emesse per operazioni inesistenti, occorre precisare che l’eventuale pluralità dei reati non dipende dalla pluralità dei documenti utilizzati, ma dalla pluralità delle dichiarazioni relative ai periodi d’imposta diversi ovvero a tributi differenti (Sez. 3., n. 28437 del 27/05/2021, Rv. 281593): ciò che, in altri termini, equivale a dire che, se la dichiarazione – come nel caso di specie – è unica, unico è il reato commesso con quella stessa dichiarazione, anche se i documenti utilizzati sono diversi. L’articolo 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, infatti, prevede un’unica incriminazione per il soggetto che ponga in essere una dichiarazione fraudolenta, sia che si avvalga di un solo documento, sia che utilizzi una pluralità di fatture o altri documenti, a nulla rilevando che le fatture o gli altri documenti siano diversi; e ciò perché il reato non si perfeziona con la semplice registrazione del documento che sarà poi utilizzato ma con la dichiarazione, riferita a quella specifica intera annualità, e con l’indicazione, nell’ambito della suddetta dichiarazione, di elementi passivi fittizi inseriti nella contabilità. Rappresentando, dunque, la registrazione di tali documenti, un’attività meramente prodromica alla realizzazione del reato – che si consuma nel momento in cui si presenta una dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o nel momento in cui si registra in contabilità il singolo documento, che sarà poi utilizzato per abbattere i costi – sarà pertanto irrilevante il numero delle fatture o degli altri documenti utilizzati per abbattere i costi (Sez. 3, n. 626 del 21/11/2008, dep. 2009, Rv. 242343).”
Per il Supremo consesso, hanno errato i giudici di merito ad omettere “l’analisi della fattispecie in relazione all’eventuale sussistenza dei presupposti previsti dal citato art. 13, comma 3-ter, del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale, costituendo norma sostanziale più favorevole – come tale suscettibile di applicazione retroattiva in virtù del principio generale sancito dall’art. 2, quarto comma, cod. pen. – trova applicazione anche nella fattispecie, benché il fatto sia stato commesso in epoca antecedente. La sentenza impugnata, nello specifico, ha mancato di confrontarsi con le censure, avanzate dalla difesa – sul rilievo della avvenuta adesione dell’imputato alla procedura di definizione della lite pendente in sede tributaria, ai sensi della legge n. 197 del 2022“