La Corte Costituzionale con la sentenza n. 4 depositata l’ 11 gennaio 2024 – intervenuta ad esaminare la legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che era intervenuto, in via retroattiva, per escludere l’operatività di maggiorazioni alla retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti pubblici a fronte di un orientamento giurisprudenziale che stava invece riconoscendo a tali dipendenti il diritto ad ottenere il menzionato beneficio economico – ha affermato che “… la disposizione censurata, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost. …”
Per la Consulta, quindi, il principio di non retroattività della legge costituisce un fondamentale valore di civiltà giuridica, anche al di là della materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell’ordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013)» (sentenza n. 145 del 2022).
Pertanto per i giudici delle leggi il “… controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente qualora l’intervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo un’amministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quanto i principi concernenti l’effettività della tutela giurisdizionale e la parità delle parti in giudizio, impediscono al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n. 201 e n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014). …”
Inoltre, i giudici della consulta, chiariscono che “… al sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive incidenti su giudizi in corso, ha assunto un rilievo sempre più decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre, sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola S. sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47). Ciò in virtù della «funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea» (sentenza n. 348 del 2007).
Come chiarito da questa Corte, infatti, nel sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive si è ormai pervenuti alla costruzione di una «solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU», che consente di leggere in stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali «al fine di massimizzarne l’espansione in un “rapporto di integrazione reciproca”» (sentenza n. 145 del 2022).
Sulla base di tale sinergia, questa Corte è chiamata innanzitutto a verificare se l’intervento legislativo retroattivo sia effettivamente preordinato a condizionare l’esito di giudizi pendenti. A tal fine, assumono rilievo – sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU – alcuni «elementi, ritenuti sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa» e riferibili principalmente al «metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore» (così, sentenza n. 12 del 2018; nello stesso senso, sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019). Occorre dunque effettuare una verifica di legittimità costituzionale che – in maniera non dissimile dal sindacato sull’eccesso di potere amministrativo mediante l’impiego di figure sintomatiche – assicuri una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo. …”
Nella sentenza in commento i giudici, in ordine all’uso distorto della funzione legislativa, precisano che “… appare innanzitutto significativo il fatto che «lo Stato o l’amministrazione pubblica» siano «parti di un processo già radicato» e che l’intervento legislativo si collochi «a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica» (sentenza n. 174 del 2019). …”
Per la Corte Costituzionale “… la stessa erroneità della «autoqualificazione della disposizione censurata quale norma di interpretazione autentica» può costituire un sintomo di un uso improprio della funzione legislativa (sentenza n. 145 del 2022). Tale uso improprio dello strumento della legge interpretativa, ove questa incida sul contenzioso pendente, concorre a disvelare la volontà del legislatore di incidere retroattivamente sui rapporti in essere e di condizionare i giudizi in corso. …”
Inoltre la sentenza ribadisce e rafforza la costruzione di una “solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU” e fra la Corte costituzionale e la Corte di Strasburgo, nell’ottica di un rapporto di “integrazione reciproca”.
Infatti la Consulta puntualizzato che “… come ha chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire un’interferenza del legislatore su giudizi in corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni «siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia, paragrafo 48).
[…] In ragione di ciò, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con l’art. 6 CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi in corso, là dove «i soggetti ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui l’ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69)» (sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, è stato valorizzato il fatto che l’intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una serie più ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione tedesca, al fine di «assicurare in modo duraturo la pace e la sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64).
All’infuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la Corte EDU ha ritenuto che «le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie» (sentenza 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche questa Corte ha sottolineato che, in linea di principio, «i soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013)» (sentenza n. 145 del 2022). …”
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