La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5161 depositata il 26 febbraio 2020 intervenendo in tema di specificità dei motivi di appello nel processo tributario e mutuando principi dal settore processual-civilistico ha statuito che “Nel processo tributario il requisito della specificità dei motivi di appello è soddisfatto ove le argomentazioni svolte, correlate con la motivazione della sentenza impugnata, contestino il fondamento logico-giuridico di quest’ultima, mentre non è richiesta una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate, quando siano evincibili, anche implicitamente, dall’atto di impugnazione considerato nel suo complesso.”
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento con cui veniva rideterminato il reddito di impresa. Avverso tale atto impositivo il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accolsero parzialmente le doglianze del ricorrente. Il contribuente avverso la decisione della CTP proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello nel rigettare il ricorso oltre a respingere le doglianze del contribuente dichiaravano l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità dei motivi d’appello. Il contribuente avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini accolgono il primo motivo e dichiarano assorbiti gli altri due. In particolare viene evidenziato dai giudici di legittimità che “la parte appellante deve porre il giudice superiore nella condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perchè queste siano censurabili.”
Per cui per la Corte Suprema “il requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c., deve ritenersi sussistente, con verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non è richiesta nè l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, nè una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione”
Inoltre, afferma la Suprema Corte, che “La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà, pertanto, diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado. Ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa.”
Pertanto un ricorso tributario in appello rispetta la specificità anche se sintetico e se le ragioni di doglianza coincidono con quelle di primo grado purché consenta d’individuare le ragioni dell’appello e le parti impugnate del provvedimento e non è necessario indicare le norme di diritto che si ritengono violate né una rigorosa e formale spiegazione delle ragioni che sostengono l’impugnazione. Per cui “ai fini della specificità del motivo non è causa di inammissibilità la ripresa, anche pedissequa, delle argomentazioni dei motivi già esposti in primo grado, perchè ciò che l’art. 342 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, richiedono è la identificazione dei passaggi della sentenza appellata oggetto di critica, delle argomentazioni volte a spiegare gli errori del provvedimento impugnato e delle ragioni e degli elementi per una diversa ricostruzione. Che poi a tali effetti possa pervenirsi con una ripresa, anche pedissequa, di quanto esposto nell’atto difensivo del grado precedente, non rileva se ciò è idoneo a criticare, costruttivamente, la sentenza appellata.”
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