La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 23850 depositata il 5 settembre 2024, intervenendo in tema di sanzioni disciplinari nel confronti del RLS, ha ribadito il principio secondo cui “… il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest’ultimo; l’esercizio, da parte del rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro, garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana; solo ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o a suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (in termini, Cass. n. 7471/2012; conf. Cass. n. 19176/2018; ma v. già Cass. n. 11436/1995, che chiarisce che il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., non può in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro essere subordinata alla volontà di quest’ultimo; consegue che la contestazione dell’autorità e della supremazia del datore di lavoro siccome caratteristica della dialettica sindacale, ove posta in essere dal lavoratore sindacalista e sempreché inerisca all’attività di patronato sindacale, non può essere sanzionata disciplinarmente); …”

La vicenda ha riguardato un dipendete che rivestiva anche la carica di responsabile dei lavoratori per la sicurezza (RLS) a cui, in seguito della procedura disciplinare per aver rilasciato ai quotidiani locali interviste in cui esprimeva critiche alla società con riferimento ad alcuni incidenti occorsi ai dipendenti ed all’utenza, il datore di lavoro irrogava la sanzione di sospensione per dieci giorni. Il dipendente impugnava giudizialmente la sanzione disciplinare. Il Tribunale adito rigettava la domanda proposta con ricorso del lavoratore. Avverso la decisione di primo grado veniva proposto dal dipendente appello. La Corte territoriale in accoglimento dell’appello riformava la sentenza impugnata dichiarava l’illegittimità della sanzione disciplinare. La società datrice di lavoro, impugnava la sentenza di appello con ricorso in cassazione fondato su sei motivi.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso della società.

Gli Ermellini in ordine al riconoscimento del legittimo esercizio del diritto di critica sindacale hanno ribadito che tale ha comunque un limite e che “l’apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore, così come per l’esercizio del diritto di critica sindacale, costituisce valutazione rimessa al giudice di merito, il quale, nella ricostruzione della vicenda storica, deve enucleare i fatti rilevanti nell’integrazione della fattispecie legale e motivare circa il convincimento che i predetti limiti siano stati rispettati, delineando l’iter logico che lo ha indotto a maturare detto convincimento (Cass. n. 1379/2019);”