La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 33937 depositata il 5 dicembre 2023, intervenendo sul tema se far rientrare nell’orario di lavoro ii tempo impiegato nella vestizione e svestizione delle divise aziendali, ha ribadito il principio di diritto secondo cui “… nel rapporto di lavoro subordinato, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva n. 2003/88/CE (v. Corte di Giustizia UE del 10 settembre 2015 in (C-266/14), il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro; l’eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento; invero, è stato precisato che “La soluzione adottata dalla Corte UE conferma quindi l’impostazione assunta da questa Corte anche in relazione alla fattispecie in esame, secondo la quale, riassuntivamente, occorre distinguere nel rapporto di lavoro tra la fase finale, che è direttamente assoggettata al potere di conformazione del datore di lavoro, che ne disciplina il tempo, il luogo e il modo e che rientra nell’orario di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 c.c., comma 2) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, ma rimesse alla determinazione del prestatore nell’ambito della libertà di disporre del proprio tempo, che non costituisce orario di lavoro […] l’eterodeterminazione del tempo e del luogo ove indossare la divisa o gli indumenti necessari per la prestazione lavorativa, che fa rientrare il tempo necessario per la vestizione e svestizione nell’ambito del tempo di lavoro, può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa, o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti da indossare o dalla specifica funzione che essi devono assolvere nello svolgimento della prestazione. Possono quindi determinare un obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro ragioni d’igiene imposte dalla prestazione da svolgere ed anche la qualità degli indumenti, quando essi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili nell’abbigliamento secondo un criterio di normalità sociale, sicché non si possa ragionevolmente ipotizzare che siano indossati al di fuori del luogo di lavoro” (così Cass. n. 1352 del 2016, confermata da Cass. n. 30958/2022 cit., che rinvia in motivazione a Cass. n. 7738 del 2018, Cass. n. 17635 del 2019, Cass. n. 8627 del 2020); …”
La vicenda ha riguardato i lavoratori di una società cooperativa che avevano adito al Tribunale per sentire condannare la datrice di lavoro al pagamento del tempo impiegato per la vestizione della divisa. Il Tribunale accoglieva le doglianze dei lavoratori. La società datrice di lavoro ricorreva in appello. La Corte territoriale confermava la decisione impugnata dichiarando il loro diritto ad avere incluso nell’orario di lavoro il tempo impiegato nella vestizione e svestizione delle divise aziendali, condannando la società a retribuire a ciascuno di loro 10 minuti per ogni giorno di lavoro effettivo a decorrere da luglio 2007. Avverso la decisione di appello, la società proponeva ricorso in cassazione fondato su cinque motivi.
I giudici di legittimità confermano la decisione di appello ed evidenziano che, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro se è assoggettato al potere di conformazione del datore.
Inoltre il Supremo consesso ribadiscono che “… la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell’ uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, tuttavia l’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, presuppone non già una semplice reiterazione di comportamenti ma uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto lavorativo; nella individuazione di tale intento negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell’assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se non per violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione (cfr. Cass. n. 30958/2022 cit.); …”
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