FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 21 settembre 2022, n. 12
Il valore delle circolari in ambito amministrativo
Sommario
1. Aspetti generali
2. Il valore delle circolari in ambito lavoristico e fiscale. Criticità
3. L’impugnabilità delle circolari
a) La regola generale
b) L’ipotesi residuale dell’impugnabilità immediata della circolare
4. Considerazioni conclusive
1. ASPETTI GENERALI
L’interesse di dottrina e giurisprudenza con riferimento al valore delle circolari amministrative ha conosciuto alterne vicende a seguito del ruolo che nel tempo l’ordinamento ha assegnato allo strumento della circolare amministrativa quale strumento di regolazione di fattispecie giuridiche concrete.
Il concetto di circolare amministrativa è rappresentativo di una categoria multiforme di atti emanati da Pubbliche amministrazioni e da soggetti equiparati, il cui contenuto non può essere tipizzato ma oggetto di una disamina di tipo esemplificativo, basata sul contenuto degli atti concreti emanati dalla P.A con maggiore frequenza.
La categoria di più lineare trattazione è certamente quella delle circolari amministrative “pure”, rappresentate da atti che non costituiscono espressione di potere autoritativo e spesso riproduttivi del dettato legislativo sottostante, del quale comunque costituiscono un mero strumento di divulgazione e di formazione rivolto ai soggetti che devono fare applicazione delle disposizioni di legge.
Dette circolari non pongono, chiaramente, alcun problema di interpretazione in ordine al loro valore giuridico, non avendo alcuna pretesa di autonomia rispetto alla norma sovraordinata o al provvedimento amministrativo conseguente.
Diverso l’approccio per gli atti di carattere più complesso, comunque inquadrabili (o inquadrati) nel novero delle circolari, ancorché resti come detto incerto il perimetro di tale definizione e magmatico il campo dei possibili e concreti contenuti.
È utile qui ricordare – tra le categorie che dottrina e giurisprudenza hanno tentato di elaborare, senza pretesa di esaustività, per esigenze di carattere sistematico – le circolari interpretative, normative, intersoggettive e applicative.
Le circolari interpretative costituiscono strumenti attraverso cui gli organi di vertice dell’amministrazione intendono perseguire un’applicazione uniforme del diritto. Costituiscono la tipologia di circolari sulla quale più frequenti sono stati gli arresti giurisprudenziali e che, soprattutto nella materia tributaria, hanno dato origine alla corrente di dottrina e giurisprudenza oggi largamente prevalente.
Ancora oggi resta centrale, a questo proposito, la sentenza della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. un., 2 novembre 2007 n. 23031) la quale, statuendo in materia tributaria, ha affermato che alle circolari amministrative (ed in particolare quelle a contenuto meramente interpretativo di una norma di legge) non si può riconoscere efficacia normativa esterna e neanche carattere provvedimentale, in quanto la circolare (nel caso di specie dell’Agenzia delle Entrate) non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al giudice amministrativo o disapplicabili dal giudice ordinario. Le Sezioni Unite hanno altresì affermato che la circolare emanata nella materia tributaria non vincola direttamente il contribuente; non costituisce un vincolo assoluto per gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla se illegittima; non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere l’interpretazione a suo tempo adottata; non vincola, infine, il giudice tributario, dato che per l’annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione data dall’amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere disapplicata la circolare, in quanto l’ordinamento affida esclusivamente al giudice il compito di interpretare la norma. Detta pronuncia ha costituito per la dottrina e per la giurisprudenza successiva della stessa Corte di Cassazione un precedente difficilmente superabile in merito al valore “esterno” delle circolari interpretative.
Sempre ragionando per categorie, sono inoltre individuabili le circolari intersoggettive, emanate da organi o uffici di un ente diverso da quello a cui appartengono gli organi e gli uffici destinatari. Caratteristica di questa categoria di circolari è l’assenza di subordinazione tra destinatario ed emanante, che ne determina lo scopo limitandolo ad una semplice opera di coordinamento delle azioni attuate da più soggetti interessati all’applicazione di una determinata norma.
Altra categoria è quella rappresentata dalle circolari applicative, le quali – a differenza di quelle comunque dotate di genericità ed astrattezza pari alle norme – fanno riferimento a fattispecie concrete, potendo talvolta ledere direttamente situazioni soggettive di terzi e manifestando quindi caratteri propri del provvedimento amministrativo.
Aspetto peculiare e contrastato nel confronto dottrinale e giurisprudenziale relativo a questo tipo di circolari riguarda il regime della loro impugnabilità, in quanto potenzialmente idonee a disciplinare concretamente l’attività dei destinatari, ponendo prescrizioni immediatamente e direttamente lesive, rispetto alle quali il provvedimento amministrativo di applicazione ha carattere semplicemente adempitivo.
Le circolari attuative possono portare le denominazioni più varie (avvisi, risoluzioni, pareri e note interpretative) e sono spesso utilizzate nel mondo del pubblico impiego oltre che nelle occasioni in cui sia più urgente la risposta fattiva della Pubblica amministrazione.
Dottrina e giurisprudenza si sono infine spesso interessate delle circolari c.d. normative, ed in particolare quelle aventi la finalità di integrare le disposizioni legislative, a volte alla stregua di veri e propri atti regolamentari, nelle materie in cui la legge lo prevede (ad es. quelle emesse dal Ministero dell’Interno in materia di stato civile) e nel rispetto delle riserve costituzionali in favore della fonte primaria.
Parte della dottrina e la giurisprudenza maggioritaria considerano le circolari normative confinate nello stretto ambito delle esplicite previsioni di legge, ma di fatto la Pubblica amministrazione ha sempre fatto largo uso di circolari prive di carattere regolamentare ma dal contenuto in qualche misura generale e innovativo (e quindi lato sensu normativo) non tanto per derogare alle norme sovraordinate, ma quantomeno per integrare le stesse normando le lacune esistenti.
Proprio di recente, con l’improwiso arrivo dell’emergenza sanitaria tuttora in atto, si è assistito in misura superiore al passato ad un proliferare di tali atti di contenuto precettivo, per la necessità di regolamentare situazioni urgenti e indifferibili. Le fonti normative tradizionali sono apparse insufficienti pervenire incontro ad avvenimenti di tale portata.
2. IL VALORE DELLE CIRCOLARI IN AMBITO LAVORISTICO E FISCALE. CRITICITÀ
Come esposto nel paragrafo che precede, si evince come la giurisprudenza abbia da tempo espresso prevalente opinione sulla inefficacia normativa esterna delle circolari. Secondo gli Ermellini, infatti, giova ribadirlo, a quest’ultime è stata attribuita la natura di atti meramente interni della pubblica amministrazione, i quali, contenendo istruzioni, ordini di servizio, direttive impartite dalle autorità amministrative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati, esauriscono la loro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi ed i loro funzionari (cfr. Cass., Sez. 1°, 25 marzo 1983, n. 2092 e 17 novembre 1995, n. 11931; Cass. Sez. 5°, 10 novembre 2000, n. 14619 e del 14 luglio 2003 n. 11011 ).
Le circolari amministrative, quindi, secondo la Suprema Corte (cfr. Corte di Cassazione civile, sez. Unite, sentenza n. 23031 depositata il 2 novembre 2007 su citata) non possono spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei all’amministrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima, essendo destinate esclusivamente ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, senza poter incidere sul rapporto tributario, tenuto anche conto che la materia tributaria è regolata soltanto dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facoltà discrezionale dell’amministrazione finanziaria.
Tuttavia, corre l’obbligo di sottolineare che se da un lato la circolare amministrativa non vincola la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata, dall’altro lato le scelte effettuate dall’Amministrazione pubblica (Inps, Inail e Agenzia delle Entrate) in conseguenza di quella circolare hanno un immediato riflesso nei confronti del contribuente. Quest’ultimo, laddove decidesse di disattendere le indicazioni della circolare amministrativa, dovrà accettare il rischio di un gravoso contenzioso tributario e/o previdenziale, tenendo presente, poi, che nel contribuente si genera il convincimento che la interpretazione adottata dalla P.A. rappresenti un corollario della volontà legislativa. Ciò potrebbe portare ad una compressione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost, secondo cui: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.
La questione ha assoluto rilievo, in quanto la Suprema Corte (cfr. Corte di Cassazione civile, sez. Unite, sentenza n. 23031 cit.) in merito alla irrilevanza, nel senso fin qui spiegato, della circolare interpretativa in materia tributaria, riportandosi ad una sentenza della Corte Costituzionale – n. 191 del 14 giugno 2007 – sul tema della risposta dell’Agenzia delle Entrate ad una istanza di interpello ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, (c.d. “Statuto del contribuente”), afferma che, coerentemente con la natura consultiva dell’attività demandata all’Agenzia delle Entrate nella procedura di interpello, l’art. 11 non prevede alcun obbligo per il contribuente di conformarsi alla risposta dell’amministrazione finanziaria. In conseguenza di ciò, la risposta all’interpello, resa dall’amministrazione ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente.
La scelta interpretativa adottata dalla Suprema Corte, anche se ermeneuticamente condivisibile, pone, tuttavia, non poche perplessità rispetto al principio della c.d. certezza del diritto, secondo il quale il cittadino ha diritto di conoscere a priori l’ambito applicativo delle norme di diritto positivo.
In proposito, si ricorda, per quanto concerne la materia tributaria, il disposto dell’art. 10 (“Tutelo dell’affidamento e dello buono fede. Errori del contribuente”) della legge 212/2000 (“Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”), secondo il quale:
1. i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buonafede.
2. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell’amministrazione stessa.
3. 3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
Secondo la Suprema Corte in tema di legittimo affidamento del contribuente, di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 10, comma 1, della I. n. 212 del 2000, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono.
La relativa tutela – pur tipizzata in talune ricorrenti ipotesi (come l’art. 10, comma 2, L. n. 212 cit. prevede) – non è ancorata a schemi precostituiti ed al modello formale della validità/invalidità dell’atto, ma richiede una valutazione in concreto in relazione alla diversità delle fattispecie e delle situazioni (cfr. Cassazione Civile, Sez. TRI, sentenza n. 12372 del 11 maggio 2021).
Diversamente il trattamento riservato dal legislatore per quanto riguarda la materia previdenziale. Sul punto la Corte di cassazione ha statuito che in tema di contributi assicurativi e previdenziali obbligatori, non sia utilmente invocabile il principio di tutela dell’affidamento del contribuente, di cui all’art. 10 della I. n. 112 del 2000, (se non, ove ne ricorrano i presupposti, ai limitati fini di escludere sanzioni e interessi moratori), trattandosi di prestazione patrimoniale di natura pubblicistica, fondata sull’art. 38 Cost. e coperta da riserva di legge ex art. 23 Cost., con conseguente indisponibilità del relativo credito da parte dell’ente (cfr. Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 16865 del 10 agosto 2020).
Ne deriva che, quand’anche l’Amministrazione (Inps o Inail), modificasse le sue linee di condotta in merito ad uno specifico adempimento, il contribuente, che avesse rispettato le prime indicazioni successivamente modificate dall’Amministrazione stessa, sarebbe comunque tenuto al pagamento dei contributi previdenziali e/o premi eventualmente dovuti, venendogli unicamente “condonati” sanzioni e interessi moratori.
Le criticità del sistema lavoristico-previdenziale, caratterizzato, tra l’altro, da un impianto sanzionatorio capillare, derivano anche da uno scollamento del dato normativo rispetto alla concretizzazione dello stesso. La norma appare, il più delle volte, poco declinata e per questo richiedente una concretizzazione attuativa da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e degli Enti previdenziali.
In particolare, le circolari, emanate dall’lnps e dall’lnail, sono dotate di una precettività (non normativa) sostanziale che, grazie anche allo sviluppo del canale digitale e all’aumento degli adempimenti collegati, ne rende veramente impossibile la non applicazione, atteso che la via del software digitale scandisce ogni momento per l’effettuazione dell’adempimento. Difficile, conseguentemente, affermare, la non efficacia esterna delle circolari degli Enti previdenziali nell’attuale contesto giuslavoristico- previdenziale, caratterizzato da una legislazione che individua il bene giuridico da realizzare, ma non ne traccia le modalità di realizzazione. Ne deriva che la circolare dell’Ente previdenziale potrà risultare illegittima nella misura in cui sia in contrasto con la realizzazione del bene giuridico, individuato dal legislatore, ma difficilmente potrà risultare illegittima in riferimento alle modalità attuative (predisposizione applicativi software, indicazioni operative ecc.) di quel bene giuridico se lo stesso viene realizzato (ad es. erogazione di un bonus o di una prestazione di integrazione salariale), senza comprimere diritti soggettivi riconosciuti dalla legge o per converso senza riconoscere diritti soggettivi o imporre oneri non previsti dalla legge stessa.
Ciò nel pieno rispetto del dettato di cui all’art. 1 (“Indicazione delle fonti”) sia dell’art. 12 (“Interpretazione della legge”), in quanto la circolare amministrativa, nel caso sopra descritto, si pone come strumento necessario di attuazione concreta della norma di legge, attesa la stratificazione complessa del sistema lavoristico previdenziale fortemente caratterizzato da un importante complesso di tutele assistenziali a favore del cittadino e dei lavoratori.
3. L’IMPUGNABILITÀ DELLE CIRCOLARI
Alla luce di quanto premesso, è evidente la criticità della verifica delle conseguenze e degli effetti delle indicazioni contenute dalle circolari amministrative. È pur vero, infatti, come è stato osservato, che queste non costituiscono fonte di diritto, che ontologicamente si tratta di meri atti amministrativi e non provvedi menta li, incapaci di incidere su posizioni di diritto soggettivo e diffusamente disapplicabili, in linea di principio, ove risultino contrastanti con fonti normative di rango primario (Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 30, exmultis). Tuttavia, come è stato esaurientemente spiegato, non mancano, soprattutto nell’ambito del diritto del lavoro, le circolari, provenienti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro e, soprattutto, per questi aspetti, dall’lnps o dall’lnail, che a prescindere dal loro inquadramento nel sistema delle fonti, impongono prescrizioni che le norme non prevedono, incombendo sugli ambiti soggettivi di operatori e utenti, soggetti terzi, estranei all’amministrazione, non di rado a prescindere dall’effettivo tenore della norma. Talvolta addirittura a prescindere dalla stessa ratio legis.
Alla luce delle premesse qui brevemente riassunte, è necessario comprendere quali possono essere gli strumenti a disposizione per contraddire una circolare, il cui contenuto, eventualmente contro legem, o comunque portatore di vincoli, oneri procedimentali, adempimenti o decadenze non previste dalla legge, grava il destinatario di obblighi estranei alla volontà originaria del legislatore.
a) La regola generale
Quale soluzione di principio generale, la circolare amministrativa non è impugnabile autonomamente.
L’impossibilità di una soluzione in tal senso deriva dalla descritta natura propria delle circolari: non sono fonti di diritto, non sono (di norma) indirizzate al singolo cittadino e dunque, sempre in linea di principio generale, non ne vincolano il comportamento. Considerato che tale difetto di imperatività non vincola alcuno dei soggetti terzi chiamati alla sua applicazione immediata o all’osservazione, neppure il giudice sarà tenuto a rispettarne i canoni.
Conseguentemente la tutela del cittadino rispetto agli effetti che possono derivare dalle determinazioni di una circolare amministrativa, è garantita dalla possibilità di contestare il provvedimento di rigetto eventualmente emanato dalla pubblica amministrazione in aderenza al contenuto della circolare medesima, confidando nelle ragioni – di diritto – fondate sulla norma che la circolare ha inteso interpretare ed applicare, la cui soluzione non si intende condividere.
Impugnabilità dell’atto o del provvedimento emanato in attuazione della circolare, ed impossibilità quindi, in linea di principio generale, di rivolgere le proprie doglianze direttamente nei confronti di un atto che, per definizione, è (rectius, dovrebbe essere) soltanto un atto interno e quindi privo di impugnabilità autonoma perché difetta di un interesse a ricorrere concreto ed attuale. Al più, quale esperimento argomentativo, la circolare può essere impugnata congiuntamente all’atto-prowedimento espressione della sua applicazione da parte della pubblica amministrazione.
b) L’ipotesi residuale dell’impugnabilità immediata della circolare
Se quello appena spiegato è un argomento condiviso e consolidato nella giurisprudenza, diffusamente citata nel paragrafo precedente, non vi è dubbio, ancora per quanto già evidenziato, che tale approccio, rigoroso in punto di diritto, non appare soddisfacente in concreto, considerata la natura effettiva della prassi amministrativa in materia di lavoro e previdenza, di fatto contenente indicazioni puntuali e pregnanti, a pena della invalidità dell’attività degli utenti, con conseguente diniego dei provvedimenti o delle prestazioni richieste. Non appaiono però ragioni tecnico-giuridiche adeguate per negare le condizioni di cui al precedente punto a). È pur vero che non di rado quest’ultima soluzione, rigorosa, si ribadisce, in punto di diritto, risulta poco soddisfacente, per efficacia e tempistica. La possibilità di impugnare il diniego della pubblica amministrazione, infatti, significa attendere il medesimo e tutto il decorso del tempo intermedio, oltre a quello, successivo, per la decisione della impugnazione. Tutto ciò mentre il diretto interessato è ancora privo della prestazione cui invece avrebbe diritto.
Soccorrerebbe a tali esigenze taluna giurisprudenza che riconosce la possibilità di impugnare immediatamente ed in maniera autonoma la circolare amministrativa, senza la necessità di attenderne il provvedimento applicativo. Ciò quando l’atto gravato presenta un contenuto lesivo della sfera giuridica dei ricorrenti, circostanza che rende la circolare suscettibile di impugnazione diretta.
Tale orientamento è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa per la quale “l’onere di impugnare una circolare unitamente al provvedimento applicativo che renda attuale il pregiudizio subito non sussiste nell’ipotesi in cui tale circolare disciplini concretamente l’attività dei destinatari, ponendo prescrizioni immediatamente e direttamente lesive, rispetto alle quali il provvedimento di applicazione ha carattere semplicemente adempitivo” (Tar Lazio, sez. Il ter, 19 gennaio 2015, n. 802, richiamata da Tar Lazio, sez. 1,4 marzo 2019, n. 2800).
Si tratta pur sempre di una eccezione rispetto alla regola generale che ad oggi ha trovato asilo nella giurisprudenza del Consiglio di Stato con riferimento alle circolari del Ministero dell’Intemo incidenti sullo stato civile dei destinatari. In quei casi, l’elemento della vincolatività ed inderogabilità incombente sui destinatari – imprescindibile ai fini della plausibilità della opzione in esame – è di fatto presunto, tale che “le istruzioni ministeriali in quel settore dell’ordinamento sono normalmente contenute in circolari vincolanti per ogni ufficiale dello stato civile, che deve ad esse uniformarsi […] a differenza delle altre circolari amministrative che, ordinariamente, sono prive di efficacia vincolante nei confronti degli organi periferici”(Cons. Stato, sez. IlI, n. 4478/2016 e n. 5047/2016).
La possibilità di estendere tale facoltà in via generale è perciò da respingere, potendola riconoscere soltanto in quei casi – eccezionali – in cui sussista, e sia dimostrata, la premessa vincolatività, non appartenente in via generale alle circolari amministrative.
4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Alla luce di quanto sin qui brevemente osservato, appaiono possibili le seguenti considerazioni.
In linea di principio generale, non è possibile impugnare direttamente una circolare amministrativa, in considerazione del difetto di vincolatività e cogenza in capo ad essa. Tuttavia è evidente, e testimoniata dall’esperienza, la diffusa abitudine delle amministrazioni, ed in particolar modo nell’ambito del diritto del lavoro, di emanare circolari che non si limitano ad esplicare il testo normativo, ma ne recano l’interpretazione, non di rado estensiva, e altrettanto frequentemente anche con l’inserimento di vincoli, adempimenti, decadenze, non contemplate dal testo di legge, dalla cui osservazione dipende il riconoscimento di benefici, l’accesso a prestazioni, etc.
In questi casi si può considerare la possibilità dell’impugnazione immediata ed autonoma della circolare, non potendosi ritenere soddisfacente l’attesa degli effetti e del ricorso avverso il provvedimento conseguente. Il rilascio della certificazione della regolarità contributiva, dell’autorizzazione al trattamento di cassa integrazione sono soltanto i principali esempi possibili di fattispecie essenziali alla organizzazione aziendale che non tollerano ulteriore attese e che necessitano di soluzioni rapide.
L’impugnativa autonoma è però eccezionale e, per quanto rilevato dalla giurisprudenza, residuale nell’ambito qui osservato, con la necessità, peraltro, di dimostrare quella vincolatività che continua ad essere considerata una condizione estemporanea tra i connotati delle circolari amministrative.
In realtà, come la recente esperienza pandemica ci ha testimoniato, la normazione emergenziale è stata fortemente caratterizzata dalle espressioni circolatorie.
Le c.d. fonti di “terzo grado” hanno assunto di fatto la funzione regolatoria primaria di molti dei contesti fondamentali di azione per le aziende, con le ovvie ricadute sui lavoratori.
Appaiono perciò maturi i tempi per una riconsiderazione, se non dell’intero sistema delle fonti, della collocazione e della portata delle espressioni di cosiddetta softlow, perlomeno per quel che riguarda gli aspetti di natura rimediale, per apprestare, a fronte di provvedimenti amministrativi dalle caratteristiche ed efficacia eccezionali rispetto all’impianto tradizionale, strumenti di adeguata tutela per l’esercizio concreto dei propri diritti da parte dei destinatari.
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