La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 21922 del 25 settembre 2013 intervenendo in tema di licenziamento ha statuito l’illegittimità del provvedimento espulsivo, inflitto dopo una discussione con il superiore, al dipendente che, prima di eseguire il nuovo compito assegnatoli, pretende un ordine di servizio scritto.
Gli Ermellini hanno chiarito che il recesso del datore di lavoro deve considerarsi sproporzionato rispetto alla condotta del lavoratore, che non costituisce un rifiuto tout court della prestazione, ma risulta finalizzata a limitare eventuali responsabilità in caso di errori nell’esecuzione di incarichi che esulano dalle sue mansioni.
La vicenda ha riguardato una lavoratrice licenziata dalla società per aver subordinato l’esecuzione dell’attività di nuovi compiti, richiestole dal superiore, alla attribuzione con lettera scritta dello specifico incarico e di avere quindi, a seguito della affermazione del superiore secondo la quale ella si rifiutava di eseguire la prestazione, alzato la voce alla presenza di colleghi.
La lavoratrice impugnava il provvedimento di licenziamento inanzi al Tribunale in veste di giudice del lavoro. La vicenda viene esaminata, a seguito del ricorso, anche dalla Corte di Appello che ha ritenuta giustificata l’istanza della lavoratrice che l’assegnazione di tali compiti venisse formulata per iscritto, sia in ragione della particolare complessità tecnica del lavoro, confermata dalla prova orale, sia in ragione delle possibili responsabilità in caso di errori nell’esecuzione, sia in considerazione del fatto che i compiti in questione erano estranei alle mansioni di impiegata amministrativa svolte fino a quel momento.
La società datrice di lavoro ricorre avverso la decisione della Corte Territoriale alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi.
I giudici di legittimità rigettano il ricorso della società e precisano che “non appare utilmente invocabile la giurisprudenza di questa Corte evocata dalla società ricorrente, secondo la quale l’eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartito dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod.civ. da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l’art. 1460 del cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte.”
Nel caso di specie – proseguono i giudici di legittimità – non si è in presenza di un rifiuto tout court di eseguire la prestazione ma solo della richiesta di ordine scritto di assegnazione dei nuovi compiti.
Il giudice di merito ha ritenuto giustificata tale pretesa valorizzando, tra le altre, la circostanza delle possibili responsabilità, e quindi conseguenze negative per la lavoratrice, in caso di errore nella esecuzione di compiti che aveva accertato essere estranei non solo alle mansioni di impiegata amministrativa ma alla formazione professionale della dipendente.
“Tale valutazione resiste alla denunzia di parte ricorrente che ne sostiene la incompatibilità con il potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e con l’efficienza dell’azienda. L’adozione della forma scritta nell’assegnazione di nuovi compiti al dipendente non si pone, infatti, in linea generale, intrinsecamente in contrasto né con i poteri organizzativi e direttivi, facenti capo alla parte datoriale né appare tale da pregiudicare l’efficienza e l’ordinato svolgersi dell’attività di produzione”.
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