La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 20891 depositata il 26 luglio 2024, intervenendo in tema di licenziamento per giustificare l’assenza con certificati medici falsi, ha ribadito il principio secondo cui “… in tema di licenziamento individuale per giusta causa, l’insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità (anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo); ed è stato precisato che la tutela reintegratoria ex 18, comma 4, st. lav. novellato, applicabile ove sia ravvisata l'”insussistenza del fatto contestato”, comprende l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (cfr. Cass. n.3655/2019, n. 3076/ 2020, nonché, sulla medesima vicenda, Cass. n. 4316/2023); …”

In altri termini il Supremo consesso ritiene che il licenziamento del dipendente che consegni certificati falsi per giustificare le proprie assenze è illegittimo qualora il lavoratore non abbia contribuito a falsificare la certificazione medica.

Il lavoratore impugnava il licenziamento irrogatogli. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato ed ordinava la reintegra nel posto di lavoro. Avverso la decisione di primo grado la società datrice di lavoro proponeva appello. La Corte territoriale respingeva il reclamo proposto. In particolare la prova della consapevolezza da parte del lavoratore della non autenticità della documentazione al fine di farne uso traendone un indebito vantaggio, così da compromettere il vincolo fiduciario, non era emersa in giudizio. La datrice di lavoro avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.

Per gli Ermellini il comportamento del prestatore risulta privo del carattere di illiceità sotto il profilo soggettivo, per mancanza di coscienza e volontà riguardo all’antigiuridicità della propria condotta.

Inoltre, il Supremo consesso, sull’onere della prova, puntualizzava che  “… in materia opera la regola generale di cui all’art. 5, legge 604/1966, che pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento; …”