La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19621 depositata l’ 11 luglio 2023, intervenendo in tema di licenziamento per giusta causa, ha affermato che “… non integra una giusta causa di licenziamento la condotta del lavoratore che attribuisca al proprio datore di lavoro, in uno scritto difensivo, atti o fatti, pur non rispondenti al vero, che riguardino in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia e ciò quandanche in tale scritto siano riportate espressioni sconvenienti od offensive che sono invece soggette alla disciplina dettata dall’art. 89 c.p.c. (cfr. Cass. 11/12/2014, n. 26106) …”

La vicenda ha riguardato un dipendente che aveva citato in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere differenze retributive. Il dipendente veniva licenziato dal datore di lavoro in quanto per quest’ultimo il lavoratore aveva utilizzato frasi gravemente offensive nei confronti della società all’interno dell’atto giudiziario. Il dipendente impugnava il licenziamento irrogato. Il Tribunale aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza che, all’esito della fase sommaria, aveva accertato e dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro in precedenza occupato ed a corrispondergli tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione. Avverso la decisione del giudice di prime cure, il dipendente proponeva appello. La Corte territoriale rigettava il reclamo ritenendo la condotta addebitata non lesiva del vincolo fiduciario, in quanto riconducibile ad un’aspra critica finalizzata all’esercizio del diritto di difesa in giudizio.. La società datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.

Gli Ermellini rigettano il ricorso.

I giudici di legittimità hanno ribadito che in ordine al “… diritto di critica del lavoratore va ricordato che il suo esercizio nei confronti del datore di lavoro deve rispettare i limiti di continenza formale, il cui superamento integra comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro e può costituire giusta causa di licenziamento (Cass. 18/07/2018 n. 19092). Il superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore costituisce valutazione rimessa al giudice di merito, il quale, nella ricostruzione della vicenda storica, deve enucleare i fatti rilevanti nell’integrazione della fattispecie legale e motivare, rispetto a ciascuno di essi, circa il convincimento che tutti i predetti limiti siano stati rispettati, senza trascurare gli elementi che potrebbero avere influenza decisiva – il cui omesso esame può determinare una lacuna tale da non consentire l’esatta riconduzione del caso concreto alla fattispecie astratta, cagionando un errore di sussunzione rilevante ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. -, nonché delineando l’iter logico che lo ha indotto a maturare detto convincimento (Cass. 18/01/2019, n. 1379).

Va poi ricordato che, come è stato affermato da questa Corte, il contenuto della memoria difensiva depositata dal lavoratore per resistere in un giudizio instaurato nei suoi confronti dal datore di lavoro non integra una giusta causa che legittimi il suo licenziamento, sebbene tale atto utilizzi espressioni sconvenienti od offensive posto che queste sono soggette a cancellazione e possono dar luogo a risarcimento ex art. 89 cod. proc. civ.. Si tratta di documento giudiziario riferibile all’esercizio del diritto di difesa, oggetto dell’attività del difensore tecnico, al quale si applica la causa di non punibilità stabilita dall’art. 598 cod. pen. per le offese contenute negli scritti presentati dinanzi all’Autorità giudiziaria quando concernano l’oggetto della causa. Un’applicazione del principio generale posto dall’art. 51 cod. pen. …”

Per cui secondo il Supremo consesso non sussiste una giusta causa per il licenziamento qualora le le espressioni sconvenienti o offensive rinvenibili negli atti difensivi del giudizio riguardino l’oggetto del processo in modo immediato e diretto e siano funzionali rispetto alle argomentazioni svolte a sostegno della tesi prospettata o all’accoglimento della domanda proposta.