La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5369 depositata il 27 febbraio 2020 intervenendo in tema di iscrizione di ipoteca su beni compresi nel fondo patrimoniale ha riaffermato che “l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973, sicché l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata”
La vicenda ha riguardato un contribuente nei confronti del quale si procedeva alla iscrizione ipotecaria, eseguita dall’Agente della Riscossione, su alcuni immobili compresi nel fondo patrimoniale costituito nel corso del 1995. Il contribuente procedeva alla impugnazione dell’atto con ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure dichiaravano il ricorso inammissibile. Avverso la decisione della CTP, il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello hanno ritenuto che il ricorso può ritenersi tempestivo, atteso che nell’atto impugnato non erano date indicazioni sulle modalità per proporre ricorso avverso di esso; che l’ipoteca sui beni del fondo patrimoniale non può essere iscritta per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni familiari. Avverso la sentenza della CTR l’Agente della Riscossione proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini rigettano le doglianze dell’Agente della riscossione affermano che l’Agente della riscossione non può procedere all’iscrizione ipotecaria sui beni di cui al fondo dell’articolo 167 c.c. qualora il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari.
Inoltre, i giudici del palazzaccio hanno ribadito che “grava in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa”
Il caso analizzato è quello di una contribuente che si è vista iscrivere ipoteca, da parte di Equitalia, su alcuni beni compresi nel fondo patrimoniale costituito nel 1995. L’Ordinanza in commento, innanzitutto, chiarisce come i giudici di seconde cure abbiano correttamente applicato il principio di diritto secondo il quale gravano sul contribuente: l’onere della prova circa la regolare costituzione del fondo patrimoniale, l’opponibilità al creditore procedente, nonché la dimostrazione che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari.
I giudici di legittimità hanno chiarito che il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, e la predetta finalità non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi.
Nel caso di specie i giudici hanno sottolineato che l’amministrazione finanziaria era in condizioni di rendersi conto di tale estraneità, poiché desumibile dal fatto stesso che si tratta di debiti derivanti dalla partecipazione quale mero socio di capitali ad una certa società.
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