La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3466 depositata il 7 febbraio 2024, intervenendo in tema di imposta di registro, ha affermato il principio di diritto secondo cui “… ai fini di cui all’art. 21 d.P.R. 131/86, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata …”
La vicenda ha visto protagonista una società a responsabilità limitata a cui l’Agenzia delle Entrate notificava n. 6 avvisi di liquidazioni dell’imposta di registro dovuta (in misura fissa) dalla contribuente in relazione alla registrazione di contratti di locazione recanti una clausola penale. La società contribuente impugnava tali atti impositivi. I giudici di prime cure aveva disatteso le doglianze della ricorrente rigettando il ricorso. La società avverso tale decisione proponeva appello. I giudici di secondo grado accoglievano l’appello. In particolare i giudici di appello hanno chiarito che la clausola penale in contestazione tra le parti non poteva ritenersi «espressione di una volontà negoziale “ulteriore e autosufficiente rispetto a quella manifestata con la stipula del contratto principale”, ma ha lo scopo di “assicurare l’esatto, reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni principali reciprocamente assunte”. Inoltre la previsione degli interessi moratori per l’inadempimento assolveva, dunque, allo scopo tipico della clausola penale che è volta a «rafforzare l’interesse di uno dei contraenti all’altrui adempimento, attraverso la previsione di una prestazione aggiuntiva (interessi maggiorati rispetto a quelli legali) a quella pattuita». L’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
I giudici di legittimità rigettano il ricorso principale e dichiarano assorbito il motivo di ricorso incidentale.
La Suprema Corte in ordine al significato da attribuire al termine “disposizioni” ha evidenziato come “… la stessa Amministrazione Finanziaria con la Circolare n. 18/E del 2013 la quale, nell’illustrare le modalità di applicazione dell’imposta di registro, ha avuto modo di precisare che: <<Per ‘disposizione’ si intende una convenzione negoziale suscettibile di produrre effetti giuridici valutabili autonomamente, in quanto in sé compiuta nei suoi riferimenti soggettivi, oggettivi e causali>>. …”
I giudici di piazza Cavour, inoltre, chiarito che “… La distinzione tra il primo ed il secondo comma dell’art. 21 del d.P.R. n. 131 del 1986 pone dunque la differenza fra il negozio complesso e quelli collegati, in virtù della quale il primo è contrassegnato da una causa unica, là dove, nel collegamento, distinti ed autonomi atti negoziali si riannodano ad una fattispecie complessa pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identificabili.
Nello stabilire il regime tributario di registro applicabile nel caso in cui l’atto contenga più disposizioni, la norma detta il criterio distintivo tra tassazione unica, da applicare con riguardo alla disposizione soggetta all’imposizione più onerosa (comma 2) e tassazione separata delle singole disposizioni (comma 1), individuandolo, in linea con il principio generale della tassazione secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, a prescindere dal nomen iuris adoperato, nella sussistenza o meno del requisito che esse “derivino necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre” ( Cass. del 18.07.2022, n. 22476). …”
Per cui continuano i giudici nella sentenza in commento che “… La autonoma tassabilità delle disposizioni è stata, poi, dalla giurisprudenza di legittimità interpretata nel senso che <<le disposizioni necessariamente connesse o derivanti per la loro intrinseca natura le une dalle altre sono soltanto quelle tra le quali intercorra una concatenazione o compenetrazione di carattere oggettivo, tale da assorbire tutte le disposizioni in un unico negozio giuridico, quali elementi indispensabili del negozio stesso>> (Cass. del 05/06/1971, n. 1674; Cass. del 11/09/2014, n. 19245): in particolare, si è sostenuto che è necessario che sussista tra le convenzioni, ai fini della tassazione unica, un collegamento che non dipenda dalla volontà delle parti, ma sia, con carattere di oggettiva causalità, connaturato, come necessario giuridicamente e concettualmente, alle convenzioni stesse (Cass., SS.UU. n. 406/1973; Cass. n. 18374/2007; Cass. n. n. 10180/2009); l’avverbio utilizzato dal legislatore nel disposto del cit. art. 21 – necessariamente – lascerebbe intendere, secondo detto indirizzo, che la connessione deve consistere in una oggettiva esigenza indotta dalla natura delle disposizioni (v. Cass. civ., Sez. V, ord., 15 marzo 2021, n. 7154, non massimata; Cass., sez. un., n. 13252/2015; Cass. 10180/2009; Cass. 18374/2007), non rilevando, invece, l’esistenza di una mera connessione, oltre che soggettiva per volontà delle parti, anche di natura occasionale, rimanendo, in tal caso, le disposizioni soggette separatamente ad imposta, ai sensi della regola generale recata dal citato d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 21, comma 1, come se ciascuna fosse un atto distinto (Cass., Sez. 5, 7 giugno 2004, n. 1078).
Ciò che occorre, in virtù dell’art. 21, comma 2, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (norma eccezionale e di stretta interpretazione), è dunque che non si possa concepire l’esistenza dell’una senza prescindere dall’altra; non rileva, invece, l’esistenza di una sola connessione soggettiva per volontà delle parti o di natura occasionale, rimanendo in tal caso le disposizioni soggette separatamente ad imposta (ai sensi della regola generale recata dal citato art. 21, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), come se ciascuna fosse un atto distinto (Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2004, n. 10789). …”
Gli Ermellini, dopo un excursus storico-giuridico, precisano come “… la giurisprudenza maggioritaria ha rimarcato che la funzione coercitiva e di predeterminazione del danno della clausola penale ne implica la sua necessaria accessorietà ( ex multis: Cass., sez. III civ., 26 settembre 2006, n. 18779: <<Stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale; ne consegue che, se il debitore è liberato dall’obbligo di adempimento della prestazione per prescrizione del diritto del creditore a riceverla, quest’ultimo perde anche il diritto alla prestazione risarcitoria prevista in caso di mancato adempimento del predetto obbligo>>; si veda fra le tante: Cass., sez. III civ., 19 gennaio 2007, n. 1183; Cass., sez. III civ., 13 gennaio 2005, n. 591; Cass., sez. II civ., 21 maggio 2001, n. 6927).
Recentemente le S.U. del 25/03/2022, n. 9775 hanno chiarito che clausole penali di tal tipo svolgono <<la funzione civilistica di determinazione preventiva e consensuale della misura del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempimento>>.
In altri termini, la funzione sanzionatoria è stata correlata dalle S.U. alla natura pubblicistica della fattispecie colà dedotta (concessione- contratto), ribadendosi, per contro, la diversa funzione civilistica delle clausole penali (v. anche Cass. del 26/07/2021, n. 21398; Cass. del 03/05/2023, n. 11548). …”
Il Supremo consesso afferma che “… La clausola penale ha, allora, secondo la previsione codicistica, lo scopo di sostenere l’esatto, reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni “principali”, intendendosi per tali quelle assunte con il contratto cui accede; essa non ha quindi una causa “propria” e distinta (cosa che invece potrebbe accadere in diverse ipotesi, pur segnate da accessorietà, come quella di garanzia), ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta; dovendosi desumere pertanto che più che discendere dall’inadempimento dell’obbligazione assunta contrattualmente, la clausola penale si attiva sin dalla conclusione del contratto in funzione dipendente dall’obbligazione contrattuale.
Le clausole penali non possono sopravvivere autonomamente rispetto al contratto e ad esse deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto (v. Cass. dell’08/10/2020, n. 21713, in motiv.), tenuto conto che trovano la loro fonte e radice nella medesima causa del contratto rispetto alla quale hanno effetto ancillare.
Esse attengono dunque, per loro inscindibile funzione ed “intrinseca natura” (ed in ciò palesano la loro essenza, appunto, di ‘clausole’ regolamentari di una prestazione più che di ‘disposizioni’ negoziali) all’unitaria disciplina del contratto al quale accedono; venendo per il resto a prestabilire e specificare una prestazione ovvero un obbligo, quello risarcitorio, altrimenti regolato direttamente dalla legge.
Tali prestazioni sono, pertanto, riconducibili ad un unico rapporto, caratterizzato da un’unica causa, atteso che il legislatore ha concesso alle parti di innestare la predeterminazione del danno risarcibile direttamente nel contenuto del disciplinare di contratto, di talché non potrebbe affermarsi che le disposizioni – contratto e connessa clausola penale – siano rette da cause diverse e separabili; quindi con l’effetto di doverle considerare derivanti, per loro intrinseca natura, le une dalle altre (in senso conforme Cass. del 13/11/1996, n. 9938). …”
Per cui continuano i giudici nella sentenza in commento che “… La autonoma tassabilità delle disposizioni è stata, poi, dalla giurisprudenza di legittimità interpretata nel senso che <<le disposizioni necessariamente connesse o derivanti per la loro intrinseca natura le une dalle altre sono soltanto quelle tra le quali intercorra una concatenazione o compenetrazione di carattere oggettivo, tale da assorbire tutte le disposizioni in un unico negozio giuridico, quali elementi indispensabili del negozio stesso>> (Cass. del 05/06/1971, n. 1674; Cass. del 11/09/2014, n. 19245): in particolare, si è sostenuto che è necessario che sussista tra le convenzioni, ai fini della tassazione unica, un collegamento che non dipenda dalla volontà delle parti, ma sia, con carattere di oggettiva causalità, connaturato, come necessario giuridicamente e concettualmente, alle convenzioni stesse (Cass., SS.UU. n. 406/1973; Cass. n. 18374/2007; Cass. n. n. 10180/2009); l’avverbio utilizzato dal legislatore nel disposto del cit. art. 21 – necessariamente – lascerebbe intendere, secondo detto indirizzo, che la connessione deve consistere in una oggettiva esigenza indotta dalla natura delle disposizioni (v. Cass. civ., Sez. V, ord., 15 marzo 2021, n. 7154, non massimata; Cass., sez. un., n. 13252/2015; Cass. 10180/2009; Cass. 18374/2007), non rilevando, invece, l’esistenza di una mera connessione, oltre che soggettiva per volontà delle parti, anche di natura occasionale, rimanendo, in tal caso, le disposizioni soggette separatamente ad imposta, ai sensi della regola generale recata dal citato d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 21, comma 1, come se ciascuna fosse un atto distinto (Cass., Sez. 5, 7 giugno 2004, n. 1078).
Ciò che occorre, in virtù dell’art. 21, comma 2, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (norma eccezionale e di stretta interpretazione), è dunque che non si possa concepire l’esistenza dell’una senza prescindere dall’altra; non rileva, invece, l’esistenza di una sola connessione soggettiva per volontà delle parti o di natura occasionale, rimanendo in tal caso le disposizioni soggette separatamente ad imposta (ai sensi della regola generale recata dal citato art. 21, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), come se ciascuna fosse un atto distinto (Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2004, n. 10789). …”
Pertanto, in conclusione, i giudici della Suprema Corte affermano che “… È dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all’inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma – come confermato da Cass. del 26.09.2005, n. 18779 – rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale. Obbligazione principale che difatti, se per qualsiasi ragione (diversa dall’inadempimento) travolta, non può che rendere per ciò solo al pari inoperante la penale; il che equivale ad osservare che se certo può sussistere, com’è ovvio, un contratto senza penale (tranne che nei casi in cui questa sia imposta direttamente dalla legge, come in materia di appalti pubblici), non può al contrario sussistere quest’ultima senza il contratto, di cui segue per intero le sorti, anche nel caso di sua invalidazione o cessione.
(…)
Tanto più considerando che sia la penale sia l’interesse moratorio (entrambi accomunati nella esclusione dal computo della base imponibile Iva, ex art. 15 n. 1) d.P.R.633/72) sono volti a predeterminare le conseguenze dannose dell’inadempimento (quanto ai secondi, nel caso in cui il ritardo riguardi un’obbligazione pecuniaria), e che il pagamento degli interessi di mora (salva la loro quantificazione) non discende dalla volontà delle parti, ma direttamente dall’art. 1224 cod.civ.; e, nell’ottica risarcitoria, anche in questo caso il creditore è ammesso a dimostrare di aver subito “un danno maggiore”, così da spettargli “l’ulteriore risarcimento”.…”
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