La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9286 depositata l’ 8 aprile 2025, intervenendo in tema di validità delle conciliazioni sindacali, ha ribadito il principio di diritto secondo cui ” in tema di conciliazione in sede sindacale, ai fini dell’inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, è necessario che l’accordo sia stato raggiunto con un’assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura; (Cass, n 25796/2023)”

La vicenda ha riguardato un dipendente licenziato e che aveva sottoscritto il verbale di conciliazione nella stessa data del licenziamento, sottoscritto dal ricorrente e dalla società datrice di lavoro, in presenza di rappresentante sindacale UGL di Bari (cui il lavoratore non era iscritto), presso la sede dell’azienda stessa, ritenendo provata l’effettività dell’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, e che la sottoscrizione presso la sede della società di per sé non determinasse l’inidoneità dell’assistenza del rappresentante sindacale. Il Tribunale prima e la Corte di appello poi hanno rigettato le domande proposte dal lavoratore. Avverso la sentenza di appello il dipendente propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità accolgono il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Per gli Ermellini “costituisce principio consolidato in materia quello del decisivo rilievo dell’effettività dell’assistenza sindacale, nel senso che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c. (cfr. Cass. n. 24024/2013; v. anche Cass. n. 13217/2008, sempre sulla necessità di effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell’organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa; Cass. n. 12858/2003);”

Per la Suprema Corte la sottoscrizione dell’accordo presso la sede di un sindacato non costituisce un requisito formale, ma funzionale, in quanto volto ad assicurare che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non coartato, la stipula in una sede diversa non produce di per sé effetto invalidante sulla transazione, se il datore di lavoro prova che il dipendente ha avuto, grazie all’effettiva assistenza sindacale, piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte (Cass n. 1975/2024);”

Il Supremo Consenso ha chiarito che “essendo l’effettività dell’assistenza sindacale la caratteristica centrale dell’accertamento della genuinità della volontà del lavoratore ai fini dell’inoppugnabilità della conciliazione, la sede di stipula e di sottoscrizione dell’accordo non è un requisito neutro (così come l’affiliazione o meno al sindacato di iscrizione, o comunque di fiducia e scelta del lavoratore, del rappresentante sindacale che fornisca assistenza nella procedura), ma concorre alla funzionalità delle forme prescritte in relazione alla suddetta effettività;

(…) tanto premesso, il Collegio intende deve dare continuità ai principi affermati da questa Corte (Cass. n. 10065/2024), secondo cui la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore;

(…) ciò in quanto, in materia il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo; tale forma di protezione giuridica non è necessaria (art. 2113, ultimo comma, c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette, quali la sede giudiziale (artt. 185 e 420 p.c.), le Commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 – ter e – quater, c.p.c.); “