CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 aprile 2019, n. 10330
Rapporto di lavoro giornalistico subordinato – Sussistenza – Verbale di accertamento – Inserimento continuativo ed organico delle prestazioni professionali nell’attività dell’impresa editoriale
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 7193 del 2012, la Corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa sede, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, laddove era stata accertata, nei confronti di INPGI – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiano “G.A.”, la sussistenza – per i soli redattori ordinari D.M. e G.A. – di un rapporto di lavoro giornalistico intercorrente con F.F.E. s.r.l. (F.), così accogliendo l’impugnazione incidentale proposta dalla stessa società; la stessa sentenza ha rigettato l’appello principale proposto dall’INPGI, relativo alla declaratoria di insussistenza dei rapporti di lavoro giornalistico subordinato prospettati dall’Istituto come intercorrenti con i giornalisti R.M., G.A. e G.R., per i periodi per ciascuno indicati, come era emerso dal verbale di accertamento n. 64/2006 che aveva ritenuto non corrispondenti alla reale natura i contratti di lavoro autonomo stipulati tra le parti ed erroneo il versamento dei contributi all’INPS.
2. La Corte territoriale, affermando che i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali fanno piena prova dei fatti direttamente accertati dai funzionari mentre il restante contenuto è liberamente apprezzabile dal giudice, ha fondato la propria decisione sulla considerazione, quanto alla posizione di G.A., che la natura subordinata del rapporto non potesse derivare dalla mera posizione autorevole assunta dal giornalista all’interno della struttura editoriale come la giurisprudenza aveva ritenuto in riferimento alla posizione del direttore di testata, ipotesi che non ricorreva nel caso di specie ove era invece emersa, dalle prove per testi assunte in giudizio che ricordava nei contenuti, la sostanziale autonomia organizzativa del collaboratore.
3. Inoltre, quanto a D.M., era mancata, dall’esame delle risultanze istruttorie, la prova che l’attività giornalistica fosse stata resa a mezzo di un inserimento continuativo ed organico delle prestazioni professionali nell’attività dell’impresa editoriale con continua e persistente disponibilità dell’opera del collaboratore. Quanto, infine, agli altri professionisti interessati dal verbale ispettivo, la Corte d’appello ha ritenuto corrette le valutazioni del primo giudice alla luce delle prove acquisite.
4. Avverso tale sentenza INPGI ricorre per cassazione sulla base di un articolato motivo illustrato da memoria. Finedit ha proposto controricorso. L’Inps, chiamato in causa nel corso del giudizio di primo grado, ha rilasciato delega in calce alla copia notificata del ricorso.
Ragioni della decisione
1. L’unico ed articolato motivo del ricorso ha per oggetto la denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ. 112, 115, 116, 653 cod. proc. civ., 2094 cod. civ. 1, 11 e 6 del c.c.n.I.g., (art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ.) in ragione della affermata illogicità, ingiustizia ed erroneità delle motivazioni addotte dalla sentenza al fine di negare la subordinazione della prestazione resa dal giornalista A., la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della peculiarità della posizione del direttore di testata al fine della valutazione corretta delle risultanze delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio e così avrebbe assegnato importanza dirimente alla circostanza, invece irrilevante, dell’assenza di soggezione a poteri direttivi, di controllo e disciplinari.
2. Ad avviso del ricorrente, dunque, la sentenza impugnata avrebbe errato sui contenuti della figura del direttore della testata (di cui all’art. 6 c.c.n.l.g) confondendola con la figura del <direttore responsabile> che potrebbe non essere indice di un rapporto di subordinazione.
3. Quanto, poi, alla posizione del giornalista M., il ricorrente lamenta carenza di intelligibilità del percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata in ragione del fatto che non si sarebbe dato conto, in modo corretto, delle risultanze istruttorie che avrebbero dovuto indurre ad esito conforme alla decisione del primo giudice. La dichiarazione resa dal M. agli ispettori, poi, era di contenuto diverso rispetto a quello ritenuto dalla Corte territoriale e la motivazione non consentiva di comprendere il percorso interpretativo dell’intera dichiarazione resa in sede ispettiva, né risultava rispettato il principio secondo cui l’intrinseca efficacia probatoria riconosciuta al verbale ispettivo potrebbe essere limitata solo dalla prova rigorosa da fornirsi da parte del datore di lavoro, dell’assenza della messa a disposizione delle energie lavorative dei propri collaboratori.
4. Sotto altro profilo, con riferimento anche alle posizioni di M., A. e R., il ricorrente lamenta la violazione di legge e di contratto collettivo nazionale di lavoro in relazione all’art. 2094 cod. civ., agli artt. 1 ed 11 del c.c.n.I. giornalistico d.p.r. 153/1961) essendosi data importanza ad indici meramente presuntivi e non decisivi quali l’obbligo di avvisare in caso di assenza, presenza non fissa in redazione, etc..
5. Il motivo è infondato. In particolare si lamenta che la Corte territoriale abbia di fatto eluso l’obbligo di motivazione, non procedendo ad una corretta sussunzione dei profili professionali emergenti dal materiale istruttorio all’interno delle figure previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, all’art. 1, con riferimento alla figura del redattore ordinario oggetto dell’accertamento ispettivo.
6. La sentenza impugnata, non ha violato alcuno dei parametri normativi oggetto dell’articolato motivo.
Questa Corte di cassazione (Cass. 23 ottobre 2018 n. 26769; n. 4699 del 2018; n. 11176 del 2017) ha avuto modo di precisare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 cod.proc.civ.
Inoltre, (Cass. n. 15028 dell’8 giugno 2018) va ricordato che in materia di contributi previdenziali dovuti all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, è onere di quest’ultimo, in qualità di attore che ne richiede il pagamento, provare la natura subordinata del rapporto di lavoro giornalistico.
7. Dunque, non ricorre il vizio di violazione dell’art. 2697 cod.civ. giacché la sentenza impugnata non ha deciso sulla base dell’applicazione della regola dell’onere della prova ma ha valutato il materiale istruttorio acquisito sul presupposto che spettava all’INPGI provare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
8. Va, inoltre, rimarcato che la sentenza impugnata ha riportato, richiamando precedenti di legittimità che li contengono, gli indici della subordinazione ricavati dalle previsioni astratte del c.c.n.I.g. (continuità della prestazione intesa come assicurazione della propria prestazione volta a soddisfare le esigenze informative di uno specifico settore; vincolo di dipendenza, persistenza nell’intervallo tra una prestazione ed un’altra dell’impegno di mettere la propria opera a disposizione dell’editore) e tali indici sono stati confrontati con le circostanze dedotte in sede ispettiva e le testimonianze acquisite in sede giudiziale, traendo la conclusione dell’assenza della stabile disposizione a favore dell’editore – per evaderne richieste variabili frutto di direttive specifiche – anche nell’intervallo tra un prestazione e l’altra per tutte le posizioni esaminate. La sentenza, in particolare, ha ripercorso le dichiarazioni rese dai testi B., S., P. e L. evidenziando che le stesse non avevano riferito in modo univoco che i giornalisti della cui posizione si discute fossero subordinati al potere direttivo e di controllo dell’editore e ciò in quanto non risultavano in effetti obbligati ad assicurare stabilmente la copertura di un servizio, né che avessero un orario di lavoro imposto.
9. Quanto, poi, alla posizione del giornalista A., la sentenza riferisce che allo stesso non risultava attribuita la funzione di <direttore di testata> e, comunque, anche nei confronti dello stesso al fine di accogliere la tesi dell’INPGI sarebbe stato necessario ravvisare gli indici della subordinazione sopra indicati e che in concreto non erano emersi dall’istruttoria espletata e dal confronto dei medesimi esiti con quanto raccolto in sede ispettiva.
10. Tale struttura argomentativa della motivazione che dà conto del procedimento logico giuridico adottato esclude che possa trovare conferma la, larvata, denuncia di vizio della motivazione stessa che comunque, ratione temporis, essendo applicabile il testo vigente dell’art. 360 primo comma n. 5) cod. proc. civ. introdotto dal d.l. n. 83 del 2012 conv. in legge n. 134 del 2012, avrebbe imposto.
11. Nella fattispecie, il ricorrente ha rilevato che per i giornalisti per cui si erano chiesti contributi dovuti per i redattori ex art. 1 c.c.n.I. giornalistico, si era escluso che gli stessi avessero responsabilità di un servizio o che fossero a disposizione della redazione del giornale senza considerare le testimonianze raccolte, ma così facendo non ha indicato alcun “fatto”, decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti non valutato nella sentenza impugnata, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, limitandosi a denunciare in blocco la valutazione compiuta dai giudice e a proporne una diversa per cui il motivo è, per tali versi, inammissibile.
12. E’ stato, infine, affermato che anche alla valutazione del contenuto dell’attività giornalistica va attribuita natura di accertamento di fatto, come tale insuscettibile di sindacato in sede di legittimità (v. Cass., n. 13814 del 2008). Peraltro, con riferimento alle figure professionali di cui si discute nel presente giudizio, da tempo sono consolidati gli indirizzi secondo cui: costituisce attività giornalistica – presupposta, ma non definita dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista – la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo; assume inoltre rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’inserimento continuativo del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa (Cass. n. 17723 del 2011).
13. Per la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il carattere subordinato della prestazione del giornalista presuppone la messa a disposizione delle energie lavorative dello stesso per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, di cui assume la responsabilità, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obbiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, ciò che rende la sua prestazione organizzabile in modo strutturale dalla direzione aziendale (cfr. fra le tante Cass. nn. 833 del 2001, 4797 del 2004, 11065 del 2014 e da ultimo 8144 del 2017).
14. A tale parametro normativo si è attenuta la Corte territoriale nello scrutinio delle risultanze istruttorie, indipendentemente dal fatto che, per argomentare l’insussistenza di prova circa la sussistenza del vincolo di permanente disponibilità, abbia desunto indizi dalle concrete modalità con cui la prestazione si era di fatto svolta ed, in particolare, sulla mancata prova dell’assenza di obbligo di mantenersi reperibile e sulla prova del potere di iniziativa sulla produzione dei pezzi giornalistici.
15. Il ricorso va quindi rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente nella misura liquidata in dispositivo in favore della società contro ricorrente. Nulla deve disporsi nei confronti dell’inps che non ha svolto attività difensiva essendosi limitato a depositare procura in calce alla copia notificata del ricorso per cassazione.
16. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 9000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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