La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 4984 depositata il 26 febbraio 2025, intervenendo in tema di pagamento dello straordinario nel pubblico impiego privatizzato, ha statuito i seguenti principi di diritto secondo cui “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che possono incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.”;
“In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il dipendente ha diritto al pagamento della prestazione per lavoro straordinario, ove sia resa con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformarla e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, ben potendo l’esecuzione di detta prestazione essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto previsto dall’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze“.
Per i giudici di legittimità “in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024).
Ciò perché, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. (Cass., Sez. L, n. 23506 del 27 luglio 2022).”
Per cui dai suddetti precedenti, per i giudici di piazza Cavour, “emerge come, nel pubblico impiego contrattualizzato, l’autorizzazione della P.A. sia necessaria perché il dipendente possa prestare lavoro straordinario.
Si tratta, quindi, di un elemento costitutivo della pretesa del lavoratore che agisca per il suo pagamento e che, pertanto, deve essere da lui allegato e dimostrato. “
Da ultimo il Supremo consesso rileva che “L’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 prescrive, in effetti, che “Le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze”.
(…)
Peraltro, a prescindere dalla circostanza che non risulta allegato che, per il periodo oggetto di causa (dal 2015 al 2020) detti sistemi fossero stati installati, si evidenzia che la giurisprudenza è ormai orientata nel senso che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni “aggiuntive” – ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 402 del 2001, conv., con mod., dalla legge n. 1 del 2002 – è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass., Sez. L, n. 18063 del 23 giugno 2023).
Ciò è confermato dalla giurisprudenza per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024).”