Corte di Cassazione sentenza n. 32056 depositata il 28 ottobre 2022
istituto di revocazione
FATTI DI CAUSA
1. La società S.I. S.p.A., in persona del l.r.t., ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la revocazione della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 22809/2015 pronunciata in data 21 ottobre 2015 e depositata in data 9 novembre 2015, che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2007, concernente la ripresa a tassazione – ai fini dell’Ires, dell’Irap e dell’Iva – di costi per fatture relative a operazioni inesistenti.
2. Secondo la ricorrente, con la sentenza impugnata, la Corte erroneamente riteneva inammissibile il ricorso per la genericità ed indeterminatezza dei motivi e del petitum, non avvedendosi che gli stessi erano sufficientemente specificati.
Chiede, quindi, la revoca della sentenza e l’accoglimento nel merito del ricorso.
Il ricorso è stato fissato per l’udienza pubblica del 12 ottobre 2022.
Parte contribuente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con l’unico motivo, la ricorrente denunzia il vizio ex art.395, n.4, cod. proc. civ., con riferimento alla mancata percezione da parte della Corte del momento di sintesi dei motivi di ricorso e del petitum, chiaramente esplicitato nel ricorso stesso.
Secondo la ricorrente, la svista in cui è incorsa il collegio avrebbe determinato la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, che invece era sufficientemente specifico nei motivi e chiaro nelle richieste.
1.2 Il motivo è inammissibile.
<<In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto e, in particolare, quando abbia valutato sull’ammissibilità e procedibilità del ricorso, e si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati. Ne consegue che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali, vertendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione>> (Cass., S.U. n.26022/2008).
Come questa Corte ha avuto modo di precisare, <<in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto e, in particolare, quando abbia valutato sull’ammissibilità e procedibilità del ricorso, e si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati>> (Cass. n.3365/2009).
Dunque, mentre l’omessa lettura da parte del giudice dei motivi di ricorso configura un errore revocatorio (cfr. Cass. n.362/2010), la valutazione di tali motivi non può essere impugnata per revocazione perché un vizio di tale tipo configura un errore di giudizio e non di fatto ai sensi dell’art.395, comma 1, n.4, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 8615/2017; vedi anche Cass. n. 3760/2018).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata per revocazione ha ribadito il principio secondo il quale è inammissibile per inosservanza del requisito di cui all’art. 366, 1 ° comma, n. 3, cod. proc. civ. il ricorso per cassazione che pretenda di assolvere il fine di autosufficienza quanto all’esposizione dei fatti di causa mediante l’assemblaggio in sequenza cronologica degli atti e dei documenti della causa stessa, riprodotti in copia fotostatica, senza che a essa faccia da riscontro una parte espositiva, in via sommaria e autonomamente rilevante, del fatto sostanziale e processuale (v. Sez. un. n. 16628-09, Sez. 3^ n. 20393-09 e n. 15631-10; Sez. 6^-3 n. 11689-12; Sez. un. n. 5698-12).
La Corte ha esaminato il ricorso della contribuente rilevando che lo stesso si componeva di 242 pagine così strutturate: <<Dopo l’epigrafe e la premessa in fatto, inizia, da pag. 10 a pag. 14, l’esposizione del primo motivo seguita da mere fotocopie di diversi atti dell’agenzia delle entrate (fino a pag. 31). Seguono poi distinte pagine ulteriormente espositive di tesi giuridiche, fino alla indicazione del secondo motivo di ricorso, a loro volta intervallate da altra fotocopia di atto dell’agenzia delle entrate. Da qui in poi, fino cioè a pagina 242, il ricorso si concretizza in mere fotocopie di ulteriori atti amministrativi e processuali, in modo disordinato senza alcun coordinamento logico con argomentazioni ulteriormente riferibili al ricorso in sé. Perfino il petitum, in simile confusione espositiva, risulta insondabile, stante che il ricorso non lo evidenzia, concludendo con la firma del difensore (pag. 241), in calce alla data (“Pavia/Roma, lì 11.09.2014”) ma immediatamente dopo l’ennesima fotocopia della sentenza d’appello. Infine nella pagina 242 trovasi la procura speciale>>.
Compiuto l’esame del ricorso nella sua interezza, la Corte ha ritenuto che la sua modalità di formulazione equivalesse ad un mero rinvio alla lettura di tutti gli atti del processo al fine di far intuire ciò che la parte richiedeva alla Corte.
La Corte ha, quindi, concluso nel senso che la modalità adottata fosse assolutamente inidonea ad assolvere al requisito strutturale del ricorso per cassazione.
La decisione di cui si chiede la revocazione risponde al decalogo delineato dalla sentenza di questa Corte n. 8425 del 30/04/2020, secondo cui <<ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere (nella specie ravvisata dalla S.C. a fronte di ricorso per cassazione di 239 pagine, nonostante la semplicità della questione giuridica alla base della decisione impugnata, illustrata in due pagine) pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui>>.
Nella specie, la parte contribuente, con il ricorso in revocazione, fa valere un preteso error in procedendo di tipo valutativo circa la rispondenza del ricorso originario ai canoni dell’art. 366 cod. proc. civ., il che non è consentito (vedi anche S.U. n.30994/17 e S.U./ n. 8984/2018, secondo cui non costituiscono vizi revocatori delle sentenze della S.C., ex artt. 391 bis e 395, n. 4, cod.proc.civ., né l’errore di diritto sostanziale o processuale, né l’errore di giudizio o di valutazione)
Nel ricorso per revocazione, la ricorrente non evidenzia quale sarebbe la svista percettiva che avrebbe indotto il collegio a dichiarare l’inammissibilità del ricorso; piuttosto la ricorrente contesta la valutazione d’inammissibilità che la Corte ha espresso sulla base degli atti.
Peraltro deve rilevarsi che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la mera enunciazione del motivo, senza una adeguata illustrazione, non adempie all’onere di indicazione specifica dei motivi tipizzati dall’art. 360, cod. proc. civ., né il generico rinvio ai precedenti atti processuali assolve all’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto (cfr. Cass. n.342/2021).
Infine, anche l’enunciazione del petitum, che la ricorrente riporta testualmente, rilevando che è contenuta nella pagina 73 del ricorso, appare una richiesta di annullamento della sentenza di appello e dell’avviso di accertamento del tutto generica, che fa riferimento ai motivi precedentemente esposti.
Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile, non avendo la ricorrente evidenziato una falsa percezione della realtà o una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa idoneo a costituire motivo di revocazione (cfr. da ultimo Cass. n. 2236/2022).
Non deve, dunque, passarsi alla fase rescissoria, che avrebbe comportato l’esame del merito del ricorso originario.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2700,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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