AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 28 maggio 2020, n. 156
Inapplicabilità dell’aliquota ridotta dell’11 per cento sugli utili corrisposti a soggetti esteri. Articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e articolo 10 del Trattato tra l’Italia e il Regno Unito
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
ALFA (in seguito, anche “Schema pensionistico”) è uno dei più grandi schemi pensionistici del settore pubblico nel Regno Unito, con oltre cinque milioni di membri, tra lavoratori e pensionati, e oltre diecimila datori di lavoro partecipanti.
Ancorché sia uno schema pensionistico nazionale, lo Schema pensionistico è amministrato localmente attraverso novanta fondi pensione in Inghilterra e nel Galles. Le regole dello schema pensionistico sono state redatte in base allo Superannuation Act 1972 e in futuro saranno adattate al Public Service Pension Schemes Act 2013. Eventuali modifiche alle regole dello schema sono discusse a livello nazionale da rappresentanti di lavoratori e datori di lavoro, ma necessitano dell’approvazione parlamentare per entrare in vigore.
I contributi versati allo Schema pensionistico, appartenente al settore pubblico, sono generalmente deducibili ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. BETA (in seguito, anche l’Istante) è una società di gestione del risparmio costituita a seguito della richiesta del Governo del Regno Unito ai fondi pensione locali partecipanti allo Schema pensionistico di formulare proposte miranti alla gestione collettiva dei loro investimenti, al fine di ridurre significativamente i costi di gestione, mantenendo al contempo la performance complessiva. In particolare, l’Istante è nata per gestire gli investimenti di 9 fondi pensione locali, con sede nella regione delle Midlands nel Regno Unito.
Nel dicembre 2015, diversi fondi pensione locali partecipanti allo Schema, basati nella regione delle Midlands, tra i quali GAMMA, annunciarono la loro intenzione di partecipare ad un “veicolo condiviso”, denominato ALFA Central.
L’Istante è autorizzata e regolata dalla Financial Conduct Authority (FCA), autorità di vigilanza del Regno Unito, con funzioni paragonabili alla Consob. In data 18 gennaio 2018, l’Istante è stata autorizzata ad operare in qualità di Alternative Investment Fund Manager (AIFM). L’autorizzazione FCA permette altresì all’Istante di operare quale gestore di uno Authorised Contractual Scheme (in seguito, ACS), in tal modo fornendo ai propri clienti una serie di servizi d’investimento.
Un ACS è uno schema contrattuale autorizzato di proprietà collettiva di attività finanziarie (non dissimile dalla comunione), che non ha personalità giuridica e non costituisce un’entità per conto proprio.
Sul piano regolamentare, costituisce una forma d’investimento collettivo, più precisamente una pluralità di attività finanziarie, detenute e gestite per conto di una pluralità d’investitori (partecipanti) che sono comproprietari delle attività stesse.
Un ACS ha un soggetto gestore, responsabile in base al contratto per la gestione della comproprietà, nonché per le decisioni riguardanti l’investimento dei fondi apportati dai partecipanti in base al contratto.
Un ACS usufruisce altresì dei servizi di un depositario, responsabile della detenzione e custodia delle attività dei partecipanti, che compra e vende le attività per conto di questi ultimi, su istruzione del gestore.
Sul piano fiscale, un ACS non è soggetto ad imposta in quanto tale, e non rientra quindi tra i soggetti passivi delle imposte sui redditi.
Al contrario, ogni partecipante è direttamente responsabile per le proprie imposte relative alla propria quota dei redditi conseguiti attraverso l’ACS.
Per tale ragione, l’ACS è considerato “trasparente” ai fini tributari. In relazione alle imposte indirette, invece, eventuali bolli o imposte di natura analoga (compresa quindi la nostra imposta sulle transazioni finanziarie cd. FTT) sono pagate dal gestore per conto dei partecipanti.
In particolare, ALFA Central ACS deterrà azioni quotate e obbligazioni, che saranno intestate al depositario, in conformità alle regole FCA; beneficiari effettivi delle stesse saranno, invece, i fondi pensione partecipanti, che deterranno quote dello ACS, anziché direttamente azioni e obbligazioni o eventuali quote di fondi terzi. A parere dell’Istante, la detenzione dei titoli attraverso un ACS dovrebbe comportare lo stesso trattamento fiscale applicabile al possesso diretto delle attività finanziarie da parte dei fondi partecipanti.
Oltre agli investimenti gestiti tramite il veicolo ACS, l’Istante è altresì gestore di 8 mandati discrezionali e di consulenza per conto dei fondi pensione partecipanti.
Al momento della costituzione dello ALFA Central ACS, GAMMA ha trasferito, ovvero conferito talune delle proprie attività all’interno dello ACS, in cambio dell’emissione di quote dello stesso ACS.
Tra gli investimenti già detenuti da GAMMA e ora detenuti dallo ACS, vi sono azioni emesse da società fiscalmente residenti in Italia.
In base alla norma interna, i dividendi pagati da tali società allo ACS scontano la ritenuta del 26 per cento ai sensi dell’articolo 27, comma 3, primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Dal momento che ACS, in quanto fiscalmente trasparente, non è soggetto ad imposta nel Regno Unito, non può qualificarsi come residente ai fini dell’articolo 4 del trattato con l’Italia e, conseguentemente, ad ACS non spettano i benefici convenzionali.
Con l’istanza di interpello in esame si chiede se possano trovare applicazione le seguenti disposizioni:
– nei confronti di ACS, fino all’uscita del Regno Unito dalla UE, l’articolo 27, comma 3, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, laddove è previsto che « l’aliquota della ritenuta è ridotta all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo»;
– nei confronti di GAMMA, anche post Brexit, l’articolo 10, comma 2, del trattato tra Italia e Regno Unito, ove dispone che «tali dividendi possono essere tassati anche nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi».
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante fa presente che ai sensi dell’articolo 16, comma 5, del decreto 21 febbraio 2013 sono esenti dall’imposta sulle transazioni finanziarie:
– i fondi pensione sottoposti a vigilanza ai sensi della direttiva 2003/41/CE;
– gli enti di previdenza obbligatoria;
– le altre forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;
– i soggetti ed enti partecipati esclusivamente dai fondi di cui al periodo precedente.
Inoltre, i soggetti elencati devono essere istituiti negli Stati membri dell’Unione europea, e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir).
Con riferimento al caso in esame, l’Istante rileva come GAMMA ricada senz’altro tra gli “enti di previdenza obbligatoria”, mentre ACS potrebbe considerarsi quale entità “sottopost[a] a vigilanza ai sensi della direttiva 2003/41/CE” per conto proprio, o ente partecipato esclusivamente dai predetti fondi esenti (un pension fund pooling vehicle).
Ciò considerato, in assenza di una definizione di “fondo pensione”, l’Istante ritiene che nella fattispecie in esame trovi applicazione l’articolo 27, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, laddove è disposto che l’aliquota della ritenuta sia ridotta all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione, dal momento che ACS è da ricomprendere tra questi ultimi, essendo sottoposto a vigilanza per conto proprio ai sensi della direttiva 2003/41/CE, nonché partecipato esclusivamente e interamente da entità previdenziali vigilate. In relazione all’applicabilità, alla fattispecie rappresentata, dell’articolo 10, comma 2, della Convenzione contro le doppie imposizione stipulata tra l’Italia e il Regno Unito, l’Istante fa presente che ACS non è soggetto a imposta nel Regno Unito e, conseguentemente, non può qualificarsi come residente ai fini dell’articolo 4 del citato trattato e, quindi, beneficiare dei relativi regimi di favore ivi previsti. Tuttavia, l’Istante è dell’avviso che l’aliquota convenzionale possa essere applicata nei confronti dei partecipanti allo ACS, che costituisce un mero veicolo fiscalmente trasparente nei termini chiariti dall’Agenzia delle Entrate con circolare 30 marzo 2016, n. 6/E.
A supporto, l’Istante richiama le nozioni di trasparenza economica e trasparenza fiscale, chiarite nelle risoluzioni 27 gennaio 2006, n. 17/E e 21 aprile 2008, n. 167/E. La risposta al parere, peraltro, ha rilievo anche ai fini della gestione del periodo che segue all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
Al riguardo, l’Istante fa riferimento al decreto legge 25 marzo 2019, n. 22, che, all’articolo 2, lettera m), definisce il periodo transitorio come quello compreso tra la data di recesso e il termine del diciottesimo mese successivo.
Il successivo articolo 13 stabilisce che fino al termine del periodo transitorio continuano ad applicarsi le disposizioni fiscali e nazionali previste dall’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea. Secondo l’Istante, quindi, dopo il 31 luglio 2021, sarebbero possibili tre scenari:
– nel caso di adesione del Regno Unito all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, continuerebbe ad applicarsi l’aliquota dell’11 per cento; oppure – nel caso si raggiunga un Accordo post Brexit, troveranno applicazione i termini dell’Accordo; oppure – qualora non si verificasse nessuno degli scenari precedenti, troverebbe applicazione l’aliquota convenzionale.
Parere dell’agenzia delle entrate
In relazione all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, con particolare riferimento all’individuazione del periodo transitorio, durante il quale continuano ad applicarsi le disposizioni fiscali nazionali previste in funzione dell’appartenenza del Regno Unito alla UE, si osserva quanto segue.
Dopo il 31 dicembre 2020, il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale e fiscale dell’Unione Europea sulla base dell’accordo di recesso tra il Regno Unito e l’Unione Europea del 18 ottobre 2019.
L’accordo regola la Brexit in modo ordinato per cittadini e imprese, con un periodo transitorio che va dal 1° febbraio al 31 dicembre 2020. In questo periodo la normativa e le procedure UE in materia di libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali e delle merci manterranno la propria vigenza nel Regno Unito. Sul piano interno, il citato articolo 13 del decreto legge n. 22 del 2019, prevede che «1. Fino al termine del periodo transitorio si continuano ad applicare le disposizioni fiscali nazionali previste in funzione dell’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea, ivi incluse quelle connesse con l’esistenza di una direttiva UE. Le disposizioni derivanti dall’attuazione di direttive e regolamenti dell’Unione europea in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e accise si continuano ad applicare in quanto compatibili.
2. Con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità e i termini per l’attuazione della disposizione di cui al comma 1». Tuttavia, l’articolo 13 è inserito nella Sezione I che disciplina le Misure in caso di recesso del Regno Unito in assenza di accordo.
Poiché il 30 gennaio 2020 si è conclusa la ratifica dell’accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea con l’approvazione da parte del Consiglio della UE, non troveranno applicazione le norme contenute nel predetto decreto legge n. 22 del 2019.
Pertanto, qualora al termine del periodo di transizione, fissato al 31 dicembre 2020, non saranno stati raggiunti ulteriori accordi con l’Unione europea, al Regno Unito si applicherà la normativa relativa ai Paesi terzi.
Nel merito, si rileva che l’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, al secondo periodo del comma 3 prevede che «L’aliquota della ritenuta è ridotta all’11 per cento sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168 bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917».
Dalla lettera della noma si evince che affinché possa trovare applicazione l’aliquota agevolata dell’11 per cento, in luogo di quella ordinaria del 26 per cento, è necessario che gli utili siano corrisposti a fondi pensione e che questi siano istituiti in uno Stato facente parte dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo spazio economico europeo, ovvero inclusi nel decreto ministeriale 4 settembre 1996, e successive modificazioni ed integrazioni, contenente l’«Elenco degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la Repubblica italiana» (c.d. white list).
Al riguardo, si osserva che l’utilizzo, nella formulazione della disposizione riportata, della locuzione «sugli utili corrisposti» porta a ritenere che destinatario della stessa non sia il «beneficiario effettivo», ovvero i soggetti ai quali ricondurre il flusso degli utili maturati e, quindi, i percettori finali del reddito, ma esclusivamente la platea di soggetti indicati dalla stessa norma e aventi le caratteristiche sopra descritte. Nella fattispecie rappresentata, pertanto, la condizione per l’applicazione dell’aliquota agevolata sarebbe la configurabilità dell’ACS quale fondo pensione.
Al riguardo si rileva che l’ACS costituisce una delle forme contrattuali autorizzate dalla FCA attraverso le quali può avvenire la gestione collettiva degli investimenti nel Regno Unito, pertanto non può assimilarsi ad un fondo pensione.
Ciò posto, non si ritiene possibile applicare agli utili che saranno corrisposti ad ACS il regime previsto dal secondo periodo del comma 3 dell’articolo 27 sopracitato. Conseguentemente, su tali proventi le società e gli enti indicati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73 del Tuir opereranno la ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 26 per cento, ai sensi del primo periodo del citato comma 3 del medesimo articolo 27.
In relazione all’applicabilità dell’aliquota ridotta del 15 per cento di cui all’articolo 10, comma 2, del Trattato tra Italia e Regno Unito, anche a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, si osserva quanto segue.
L’assenza di soggettività passiva dell’ACS, nel Regno Unito, impedisce di considerare tale forma di investimento collettivo come “persona residente” in tale Paese ai fini convenzionali, in quanto entità fiscalmente trasparente, non assoggettata ad un’obbligazione fiscale illimitata.
Di conseguenza, come rilevato anche dall’Istante, non potrà essere applicato il Trattato a beneficio diretto dell’ACS.
Pur non riconoscendo l’applicazione della Convenzione rispetto all’ACS, del trattamento convenzionale, al ricorrere di determinate condizioni, possono beneficiarne i fondi pensione partecipanti.
Risultano, infatti, applicabili, al caso in esame, i chiarimenti resi nel Commentario all’articolo 1 del Modello OCSE con riferimento alle società di persone. In particolare, il paragrafo 5 del Commentario all’articolo 1 del Modello OCSE precisa che una partnership fiscalmente trasparente non può essere trattata come persona residente. In tal caso, si riconosce ai soci della società di persone la legittimazione a invocare la Convenzione stipulata dagli Stati di cui sono residenti, in relazione alla quota di reddito imputata, a condizione che tale reddito sia loro attribuito ai fini dell’imposizione nel loro Stato di residenza («Where, however, a partnership is treated as fiscally transparent in a State, the partnership is not “liable to tax” in that State within the meaning of paragraph 1 of Article 4, and so cannot be a resident thereof for purposes of the Convention. In such a case, the application of the Convention to the partnership as such would be refused (…)Where the application of the Convention is so refused, the partners should be entitled, with respect to their share of the income of the partnership, to the benefits provided by the Conventions entered into by the States of which they are residents to the extent that the partnership’s income is allocated to them for the purposes of taxation in their State of residence»).
Da quanto precede, si rendono applicabili le considerazioni svolte per le entità trasparenti, come chiarito nelle risoluzioni 27 gennaio 2006, n. 17/E e 21 aprile 2008, n. 167/E.
Dai citati documenti di prassi, infatti, si evince che i partecipanti a un veicolo che investe in Italia possono godere del trattamento convenzionale previsto dal Trattato concluso dall’Italia e il Paese in cui risiedono, purché i proventi generati dagli asset siano loro imputati ai fini dell’imposizione nel rispettivo Stato di residenza.
Tale condizione si ritiene verificata non soltanto in caso di sistematica distribuzione, ma anche quando lo Stato di residenza dei partecipanti qualifica il veicolo come fiscalmente trasparente e assoggetta a imposizione gli utili di gestione in capo agli investitori, indipendentemente dalla percezione.
Al riguardo, dall’istanza si evince che, in base alla legislazione fiscale britannica, il reddito che deriva dagli investimenti è imputato a ciascun partecipante in proporzione alla sua quota, come se lo avesse ricevuto direttamente, prescindendo dalla distribuzione.
Il trattamento convenzionale, inoltre, può essere riconosciuto purché i partecipanti integrino tutti i presupposti di applicazione del Trattato, ossia possano essere considerati treaty entitled.
Il treaty entitlement dell’investitore presuppone, in particolare, il requisito dell’assoggettamento a imposizione, inteso conformemente al significato convenzionale, ossia come attribuzione del reddito ai fini della assoggettabilità a tassazione, anche solo potenziale.
Ne consegue che il riconoscimento del vantaggio convenzionale è sempre subordinato al riscontro della qualifica di residente ai fini del Trattato, nel senso già chiarito di soggetto passivo d’imposta, nonché della sussistenza di tutte le condizioni a cui è subordinata l’applicazione del regime convenzionale. Al ricorrere delle suesposte condizioni, i fondi pensione partecipanti all’ACS possono beneficiare del trattamento previsto dall’articolo 10, paragrafo 2, della Convenzione.
Si ricorda, infine, che per una costante interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, (cfr. risoluzioni 24 settembre 2003 n. 183/E, 24 maggio 2000 n. 68/E, e 10 giugno 1999 n. 95/E-VII-14-60866), l’applicazione della ritenuta ridotta o dell’esenzione prevista dal Trattato costituisce una facoltà e non un obbligo per il sostituto d’imposta italiano.
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