AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 12 febbraio 2019, n. 42
Articolo 28 del Decreto Legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 – individuazione dei soggetti chiamati all’eredità
Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212
Quesito
L’istante, residente in Francia, rappresenta quanto segue:
– in data 19 maggio 2016 è deceduta la cugina;
– il successivo 22 giugno 2017, sono stati pubblicati presso lo studio del Notaio numero due testamenti olografi della defunta cugina;
– dai due testamenti olografi risultano le seguenti volontà testamentarie: “…1982. Io sottoscritta … nata a … il … dichiaro che alla mia morte lascio la mia proprietà a mia mamma … e in mancanza di lei: metà sostanza ai suoi fratelli Alfa, Beta (defunto), Gamma (defunto), Delta, … .
L’altra metà invece, alla Diocesi … .
In fede … .”
“Io … nata a … il … dichiaro che alla mia morte se ci fossero dei Buoni postali fruttiferi, o comunque denaro depositato a solo mio nome vadano a beneficio di Sacerdoti … .
In fede …”
Nel primo testamento la de cuius ha istituito quali eredi tutti gli zii materni (germani della madre), incluso gli zii già deceduti, come dalla stessa indicato nelle disposizioni testamentarie in parola, aggiungendo al nome di questi la locuzione “defunto”.
A tale riguardo, l’istante chiede il parere della scrivente relativamente l’identificazione dei soggetti eredi nella dichiarazione di successione.
Infine, precisa che, nelle more del deposito della denuncia di successione, alcuni cugini hanno dichiarato di rinunciare all’eredità
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che assieme a sua sorella, anche gli altri restanti nipoti abbiano diritto a succedere, pur non avendo la de cuius inserito la parentesi “(defunto)” per il rispettivo genitore indicato nel testamento. A sostegno di ciò, evidenzia che la volontà della de cuius è stata quella di lasciare la sua eredità al solo ramo materno, escludendo invece sicuramente quello paterno, che manifestamente non vengono indicati nel testamento.
Il testamento deve quindi ritenersi valido sebbene per l’individuazione di tutti i beneficiari debba farsi necessariamente riferimento anche ad un ulteriore documento, quale il certificato di stato di famiglia degli istituiti eredi già defunti.
A parere dell’istante, infatti, con l’espressione “defunto”, il testatore intendeva indicare come eredi proprio i figli di Beta e Gamma, individuabili in modo chiaro ed univoco dal citato certificato amministrativo.
Quindi, conclude che devono ritenersi eredi e chiamati all’eredità della de cuius, per le rispettive quote, oltre alla Diocesi, tutti i figli viventi dei cugini materni come per legge e come anche indicati nel primo testamento
Parere dell’agenzia delle entrate
Con riferimento al quesito interpretativo attinente l’individuazione dei soggetti chiamati all’eredità, nei cui confronti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 28 e 36 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (TUS), grava l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione della de cuius e di corrispondere il tributo successorio si osserva quanto segue.
La successione per causa di morte è un evento attraverso il quale uno o più soggetti subentrano in tutti i rapporti giuridici, ad esclusione di quelli con carattere strettamente personale, di cui il de cuius era titolare.
La devoluzione ereditaria può avvenire per disposizioni di legge o mediante testamento. Nel primo caso si parla di successione legittima (artt. 565 e seguenti del codice civile), nel secondo di successione testamentaria (artt. 587 e seguenti del codice civile).
Nella successione testamentaria il testatore può disporre liberamente dei propri beni designando i suoi successori (“vocazione”), sebbene nei limiti che la legge riserva a favore dei cosiddetti eredi legittimari.
In tale caso, ai fini dell’imposta di successione, l’articolo 43 del d.lgs. n. 346 del 1990 prevede che “… l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, salvo il disposto, in caso di accoglimento dell’impugnazione o di accordi sopravvenuti, dell’art. 28, comma 6, o dell’art. 42, comma 1, lett. e)”.
Nel primo testamento olografo la de cuius ha indicato quale erede universale la propria madre. Ha aggiunto, inoltre, che, in caso di premorienza della prima istituita erede, le sue sostanze venissero devolute, per la metà, agli zii materni e per la restante metà, alla Diocesi, perché ne disponga per aiuti alle sue Missioni.
Successivamente, con il secondo testamento, la de cuius ha disposto un legato a favore dei sacerdoti della Diocesi attribuendo ad essi i buoni postali fruttiferi, o comunque denaro depositato a solo suo nome, eventualmente risultante alla sua morte.
Il testatore non ha previsto, quindi, altre clausole di sostituzione di cui all’articolo 688 e seguenti del c.c., oltre quella sopra menzionata nel primo testamento, operante in caso di premorienza della madre.
Al riguardo, si rappresenta che gli articoli 456 – 564 del Titolo Primo (“Disposizioni generali sulle successioni”) del codice civile disciplinano la successione in generale e sono di comune applicazione per entrambe le anzidette forme di successione legittima e testamentaria.
In particolare, l’articolo 479 del c.c. disciplina la trasmissione del diritto di accettare l’eredità: “Se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi”. La disposizione si applica qualora il chiamato all’eredità muoia dopo l’apertura della successione del de cuius ma prima di averla accettata. Difatti, come innanzi accennato, con la delazione ereditaria (che coincide con l’apertura della successione, ovvero la morte del de cuius) il chiamato non è immediatamente erede, bensì è titolare del diritto di accettare l’eredità. Se questi (“delato”) muore senza averlo esercitato, tale diritto si trasmette ai suoi eredi, unitamente al suo patrimonio ereditario.
L’articolo 674 del c.c. disciplina, invece, il diritto di accrescimento nell’ambito delle successioni testamentarie. Tale istituto prevede che la quota devoluta al chiamato che non abbia potuto o voluto accettare (quale che ne sia la causa: ad es. premorienza, rinuncia, ecc.) si devolve a favore degli altri beneficiari di una chiamata «congiuntiva», con la conseguenza che la quota spettante a questi ultimi si accresce. Il secondo comma del richiamato articolo stabilisce, inoltre, che “se più eredi sono stati istituiti in una stessa quota, l’accrescimento ha luogo a favore degli altri istituiti nella quota medesima”. Per cui, quando uno o più dei chiamati all’eredità muoiono prima del testatore, la quota dei restanti istituiti si accresce.
Dalle descritte disposizioni normative emerge che per l’individuazione dei soggetti chiamati all’eredità è indispensabile fare riferimento alle date di morte degli istituiti eredi testamentari.
Considerato che nell’istanza non sono state indicate le date del decesso di tutti gli zii istituiti eredi, ad eccezione del Sig. Delta, e degli istituiti Beta e Gamma, la cui morte è avvenuta già prima della redazione delle disposizioni testamentarie, la scrivente formula le seguenti considerazioni.
In primo luogo, si è del parere che la devoluzione dell’intera quota attribuita dalla de cuius agli zii materni debba avvenire a favore degli istituiti eredi eventualmente ancora in vita, rispetto alla data di apertura della successione, i quali saranno solidalmente obbligati a presentare la dichiarazione di successione. Al riguardo, si rammenta che il diritto di accettazione dell’eredità testamentaria degli istituiti eredi rimasti in vita dopo l’apertura della successione del testatore, è trasmissibile ai loro eredi (qualora decedono prima di accettare il lascito testamentario), i quali, ai fini del tributo successorio, divengono chiamati all’eredità di cui all’articolo 28 del d.lgs. n. 346 del 1990 ed obbligati a presentare la relativa denuncia se tale obbligo non è stato ancora adempiuto. In questo caso, si rammenta che, nella risoluzione n. 234/E del 2009, l’Amministrazione ha precisato: “… chi acquisisce il patrimonio relitto in via definitiva (a seguito di plurimi e temporalmente successivi decessi di propri danti causa) dovrà soggiacere all’onere di presentare, oltre alla propria dichiarazione anche le precedenti (nel caso in cui non vi abbiano o non abbiano potuto provvedervi i precedenti chiamati) e sottoporsi a più tassazioni per effetto del meccanismo successorio, secondo cui il chiamato all’eredità, che abbia o meno manifestato la volontà di accettare, è soggetto, per l’appunto, all’obbligo di presentare la dichiarazione di successione e di corrispondere l’imposta dovuta”.
In secondo luogo, qualora tutti gli istituiti eredi testamentari siano deceduti prima del testatore, per l’individuazione dei soggetti chiamati all’eredità in relazione alla quota ereditaria disposta a loro favore, si ritiene che si dovrà fare riferimento alle disposizioni di legge che regolano la successione legittima (artt. 565 e seguenti del c.c.) in luogo di quelle testamentarie, come previsto dall’articolo 677 del c.c., con la conseguenza che i chiamati all’eredità saranno i successori legittimi viventi della de cuius; ciò in quanto in tale ipotesi non trovano applicazione gli istituti dell’accrescimento e della trasmissione dello ius delationis.
Individuati i chiamati all’eredità per il lascito testamentario, secondo le indicazioni sopra riportate, si precisa che ai sensi del quinto comma dell’articolo 28 del d.lgs. n. 346 del 1990 sono esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione di successione i chiamati all’eredità o i legatari che hanno rinunciato all’eredità entro il termine di presentazione della dichiarazione di cui all’art. 31 del citato decreto legislativo.
Inoltre, si rammenta che i chiamati all’eredità sono legati da un vincolo di solidarietà, in quanto ai sensi del citato articolo 36 del d.lgs. n. 346 del 1990 sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai legatari. Diversamente, i legatari rispondono al pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati.
Infine, con riferimento al lascito testamentario disposto in favore della Diocesi ed al legato a beneficio dei sacerdoti della medesima Diocesi, l’articolo 3 del TUS prevede una serie di esenzioni di carattere soggettivo dall’imposta di successione e, in particolare, non sono considerati oggetto del tributo i trasferimenti a favore dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, né quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità.
Il comma 2 del suddetto articolo, inoltre, dispone che i trasferimenti a favore di associazioni e fondazioni legalmente riconosciute, che non perseguono come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità, non sono soggetti ad imposta a condizione che i medesimi siano stati disposti per le finalità di cui allo stesso comma. Per attestare l’effettivo impiego dell’oggetto del trasferimento per il raggiungimento di una delle finalità sopra citate, il legislatore al comma successivo dell’art. 3 stabilisce che l’ente dovrà dimostrare, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità di aver impiegato i beni o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante.
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