La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 684 depositata il 15 gennaio 2014 intervenendo in tema di stress lavorativo ha statuito che è doveroso il riconoscimento di una correlazione tra infarto e superlavoro, nel caso in cui la crisi cardiaca colpisca un uomo appena quarantenne che smaltisca un’ingente mole di lavoro nei giorni precedenti l’intensità della fatica può ben essere considerata elemento scatenante. Per cui la riduzione permanente dell’attitudine al lavoro va determinata considerando la preesistente patologia non avente origine professionale.
Nel caso di specie gli Ermellini hanno chiarito che, ai fini dell’indennità INAIL, trova applicazione la c.d. formula Gabrielli (art. 79 del DPR n. 1124/65), secondo cui, ai fini del calcolo del grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro causata da infortunio, si deve tener conto di eventuali fattori patologici preesistenti; qualora, invece, il giudice intenda uniformarsi alle risultanze di una seconda consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) deve fornirne le motivazioni.
La vicenda ha visto protagonista un dipendente che era stato oggetto, a causa dello stress lavorativo, aggravando la sua patologia, diveniva causa violenta del conseguente infarto come postumo di infortunio sul lavoro. Per cui il dipendente citava in giudizio l’INAIL affinchè fosse condannata a corrispondergli l’indennità per invalidità temporanea, nella misura di legge. Il Tribunale accoglieva la domanda del ricorrente. L’INAIL avverso la decisione del giudice di prime cure proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Appello in riforma parziale della sentenza impugnata dichiarando:
1) che l’assenza dal lavoro di S.B. protrattasi fino al 31 ottobre 1997 è ascrivibile all’infortunio occorso al B.;
2) condanna l’INAIL a corrispondere all’infortunato l’indennità per invalidità temporanea, nella misura di legge, detratto quanto eventualmente già pagato a tale titolo, con interessi legali e, se superiore, rivalutazione monetaria a decorrere dal 121° giorno successivo alla domanda amministrativa.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure il lavoratore propone ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso proposto e rinviano alla Corte di Appello in diversa composizione. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte di Appello ha mal applicato i principi della giurisdizione di legittimità. In particolare il principio secondo cui in tema di consulenza tecnica di ufficio, se lo svolgimento di una prima consulenza non preclude l’affidamento di un’ulteriore indagine a professionista qualificato nella materia al fine di fornire al giudice un ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, è tuttavia necessario che il giudice che intenda uniformasi alle risultanze della seconda consulenza tecnica di ufficio non si limiti ad un’adesione acritica ad esse ma giustifichi la propria preferenza, specificando la ragione per la quale ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo consulente, salvo che queste abbiano formato oggetto di esame critico nell’ambito della nuova relazione peritale con considerazioni non specificamente contestaste dalle parti (Cass. 26 agosto 2013, n. 19572; Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063);
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